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14.12.2024

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I figli di Giacobbe
31 Gennaio 2014

I figli di Giacobbe

 

 

 

Giacobbe, che avrebbe voluto avere in sposa solo Rachele, si trovò ad avere due mogli e, di esse, solo Lia era feconda. Sia Rachele che Lia avevano una loro schiava: Sila quella di Rachele, Zilpa quella di Lia. Ciò che è scritto in Genesi 29 può sorprendere chi ben conosce quanto dice Gesù riguardo al matrimonio che, nel progetto di Dio, esige l’unione di un solo uomo con una sola donna.
Da Adamo a Noè, ad Abramo e Isacco, quel progetto fu rispettato. Abramo si rassegnava a non avere figli per non avere una seconda moglie, se Sara, che era sterile, non lo avesse indotto a unirsi alla sua schiava Agar, pur di dargli una discendenza. Egli non poteva immaginare che Dio avrebbe reso feconda Sara all’età di 90 anni! Ed ora Giacobbe, contro la sua volontà, si trova ad avere due mogli che, pur di dargli dei figli, gli offrono anche le loro schiave.
La legge “non commettere adulterio” fu data a Mosè qualche secolo dopo Giacobbe.
Scrive Paolo: “Per mezzo della legge si ha solo la conoscenza del peccato” e “il peccato non può essere imputato quando manca la legge”.
Diciamo questo perché Giacobbe non venga giudicato negativamente, quasi fosse un poligamo. Dio si nomina da lui “lo sono… il Dio di Giacobbe”. Ma egli non amava Lia che gli era stata data in moglie, con inganno, da Labano. È scritto che “Il Signore vedendo che Lia veniva trascurata, la rese feconda, mentre Rachele rimaneva sterile. Così Lia concepì e partorì un figlio e lo chiamò Ruben, perché disse: «Il Signore ha visto la mia umiliazione; certo, ora mio marito mi amerà», Poi concepì ancora un figlio e disse: «il Signore ha udito che io ero trascurata e mi ha dato anche questo».
E lo chiamò Simeone. Concepì ancora e partorì un figlio e disse: «Questa volta mio marito mi si affezionerà, perché gli ho partorito tre figli». Per questo lo chiamò Levi. Concepì ancora e partorì un figlio e disse: «Questa volta loderò il Signore». Per questo lo chiamò Giuda. E cessò di avere figli”.
Tutto questo è entrato nella storia di Israele. Ogni figlio di Giacobbe doveva divenire il capostipite di una delle dodici tribù che formarono il popolo ebreo.
Ma quello che un po’ ci sorprende è la rivelazione di un aspetto veramente drammatico della famiglia di Giacobbe.
Lia non si vergogna di dire che è trascurata, umiliata, non amata e, se di questo soffre terribilmente, tuttavia vede, nella nascita di ogni suo figlio, quasi un dono per ottenere l’amore del marito.
Rachele non si rallegra certo per le gravidanze di Lia e si dispera per la sua sterilità. Ci sarà detto poi che Rachele aveva trafugati al padre certi idoletti. Confidava, forse, in essi più che nel Signore? Sarebbe stata punita per questo peccato? La verità “spietata” della storia biblica emerge anche da queste pagine. Se fossero state “inventate”, perché mai lo storico ebreo avrebbe evidenziato le debolezze morali delle madri del suo popolo? Finalmente è scritto che “Dio si ricordò anche di Rachele; Dio la esaudì e la rese feconda. Essa concepì e partorì un figlio e disse: «Dio ha tolto il mio disonore». E lo chiamò Giuseppe, dicendo: «Il Signore mi aggiunga un altro figlio!»”. La gioia di Giacobbe fu grande: Rachele è divenuta madre, non è maledetta da Dio. Tali, infatti, erano considerate le donne sterili. Ma Lia è nella più grande amarezza:
Rachele, la sposa amata, ora lo sarà ancora di più.
Tutto questo è umano, ma Gesù venne ad insegnare l’amore.
Nella luce dello Spirito Santo, Lia avrebbe “sofferto” della sterilità di Rachele, avrebbe “pregato” che potesse avere figli, avrebbe “gioito” della nascita di Giuseppe.
Un’altra cosa vorremmo rilevare: l’avere un figlio è un evento grandioso e, purché questo si verifichi, anche due schiave ne divengono tramite. Oggi tutto questo è inconcepibile: spesso la maternità è temuta e il frutto del concepimento è soppresso. Gesù dice: “La donna… quando ha dato alla luce il bambino non si ricorda più dell’afflizione per la gioia che è venuto al mondo un uomo”.
L’unione sponsale è quindi finalizzata, soprattutto, a questo evento: una vita nuova sulla terra! Forse nessuna madre sa elevarsi spiritualmente fino a questo vertice: non pensa che la “sua” creatura è anche un dono fatto all’intera umanità.

(continua)

IL TIMONE N. 26 – ANNO V – Luglio/Agosto 2003 – pag. 58

 

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