Inizia con questo articolo un viaggio per conoscere da vicino le splendide realtà della Chiesa cattolica. Che è la “nostra casa”. Cominciamo da una famiglia religiosa ricca di spiritualità e di vocazioni
Molti avranno incrociato i Francescani dell’Immacolata in giro per l’Italia, magari in qualche santuario o in qualche parrocchia, con i loro sandali e la medaglia miracolosa appuntata sul saio grigio azzurro. Altri li avranno notati per le iniziative teologiche controcorrente, come il convegno di analisi critica su Karl Rahner, che si è tenuto a Firenze nel 2007; o il contributo dato in questi anni alla ricezione del motu proprio sulla celebrazione della Messa nell’antica forma del Rito Romano; o gli studi su temi scomodi e abbandonati dalla cultura cattolica, come massoneria e dintorni; o il ruolo nella discussione sul Vaticano II e la sua interpretazione; o l’aria fresca portata nella mariologia italiana, vedasi l’ultimo dei simposi internazionali mariani aperto a settembre dal cardinale Raymond Burke; o le meditazioni improntate a una spiritualità robusta e tradizionale, riportate su uno dei loro tanti spazi su internet, la Tv dell’Immacolata. Giovani, militanti nell’apostolato, cresciuti rapidamente e al di fuori dei riflettori dell’informazione cattolica “ufficiale”.
La storia di questa famiglia religiosa da una parte è l’ennesima prova della vitalità della pianta francescana, che dopo 800 anni continua a dare germogli. Dall’altra sembra un’ironia del primissimo post-Concilio, quello più turbolento e drammatico, quello dell’autodemolizione ecclesiale, per usare l’espressione famosa di Paolo VI.
A metà degli anni ’60, infatti, un religioso della provincia napoletana dei Frati Minori Conventuali, padre Stefano M. Manelli, prendeva sul serio proprio il decreto conciliare Perfectae caritatis, rivolto agli istituti di vita consacrata perché riscoprissero il carisma originario e si misurassero coi tempi nuovi. Solo che mentre gran parte dell’universo religioso circostante interpretava l’aggiornamento come un allentamento della disciplina e un’inalazione dello spirito del mondo, padre Manelli pensava al ritorno a una vita più austera, centrata sull’essenziale, scegliendo come bussola Massimiliano Maria Kolbe, la cui santità e il cui martirio ad Auschwitz esercitavano in quegli anni un richiamo potente soprattutto fra i Conventuali.
Padre Manelli era figlio di Settimio, preside di scuola media nato a Teramo, e Licia Gualandris, di 21 anni più giovane del marito, originaria di Bergamo. Entrambi terziari francescani, entrambi discepoli di Padre Pio (ed entrambi oggi avviati alla beatificazione) avevano messo al mondo ben 21 figli. Anche padre Manelli era cresciuto a stretto contatto con il frate di Pietrelcina. Da lui aveva ricevuto la prima comunione, la direzione spirituale e la conferma della vocazione a 12 anni. Non nei cappuccini però, aveva sentenziato il santo, perché il Signore aveva su di lui un progetto diverso. Nel 1967 il giovane Conventuale si consacrava a Dio attraverso l’Immacolata per le necessità della Chiesa, sempre sotto la guida di padre Pio che lo incoraggiava a dare inizio a una forma nuova di vita francescano-mariana.
Nell’agosto del 1970, dopo aver chiesto all’allora superiore generale dei Conventuali padre Basilio Heiser il permesso per dare corpo alla propria ispirazione, e dopo aver ricevuto l’approvazione del programma di rinnovamento scritto di suo pugno, la Traccia mariana di vita francescana, padre Manelli e un confratello, padre Gabriele Maria Pellettieri, si installavano in un convento di Frigento, in provincia di Avellino, accanto al santuario della Beata Vergine Madre del Buon Consiglio. Nasceva la prima Casa Mariana, modellata sulle Città dell’Immacolata kolbiane. «Si riposa sul letto di tavole, senza giaciglio nei mesi meno freddi», scriveva un francescano dell’Immacolata nella cronistoria di quegli inizi, «si sopporta il duro freddo nei lunghi mesi invernali con temperature di frequente sotto lo zero. Si va con i sandali a piedi nudi, sotto l’acqua e nella neve. Si portano i capelli tagliati corti, mortificazione che costa non poco, specie oggi. Si mangia alla buona il cibo che la Provvidenza fa arrivare: non si acquista nulla per il sostentamento, proprio nulla, neppure un chilo di pane o un litro di latte. Ma il necessario arriva sempre. E se c’è di più, si cerca di donarlo a chi è più povero e bisognoso».
La nascita ufficiale della nuova famiglia religiosa – padre Manelli fu superiore maggiore della provincia napoletana dei Conventuali ancora a metà degli anni ’80 – avvenne nel 1990, con l’erezione canonica come istituto di diritto diocesano e poi nel 1998 con il riconoscimento di istituto di diritto pontificio. Un iter veloce rispetto ad altre fondazioni, anche per l’intervento personale, in occasione del primo riconoscimento canonico, da parte di Giovanni Paolo II, che venne a conoscenza di questi figli spirituali di padre Pio e di padre Kolbe tramite l’amica Wanda Poltawska.
Stando agli ultimi dati resi noti, i Francescani dell’Immacolata oggi contano 352 frati, di cui un centinaio di sacerdoti, sparsi in 55 case religiose: 24 in Italia, 5 nel resto d’Europa, 6 nelle Filippine – uno dei Paesi in cui si è sviluppato di più l’Istituto già a partire dal 1984 – 5 negli Stati Uniti, 2 in Kazakistan, Brasile, Argentina, Australia, Benin, 1 in India, Nigeria, Camerun e Ciad. Accanto a quella dei frati è nata anche la congregazione delle Suore Francescane dell’Immacolata, presenti nei cinque continenti con 47 case e 350 religiose. Caratteristica comune dei due rami è il voto mariano, emesso nella professione religiosa al primo posto seguito dai voti di povertà, castità e obbedienza: una donazione totale e illimitata nelle mani dell’Immacolata. Un voto pubblico, a differenza di quello voluto da Massimiliano M. Kolbe per i suoi frati, che era privato. Cambia leggermente la forma e la sottolineatura del carisma, ma non la sostanza, che fa riverberare su questi religiosi lo zelo del loro “mentore” polacco. Dall’impegno nei media, con la combattiva rivista di apologetica teologica Fides catholica, il Settimanale di padre Pio, la radio di Frigento, quella a copertura nazionale in Benin o la nuova emittente nello stato del Goiás in Brasile. Alla mobilitazione del laicato, con la “Missione dell’Immacolata Mediatrice” (MIM), l’associazione pubblica di fedeli con diversi gradi di consacrazione all’Immacolata. Alle iniziative missionarie come la Onlus Missio Immaculatae International.
Fra le suore francescane ha preso vita una forma di vita contemplativa, nei monasteri chiamati Colombai dell’Immacolata: 2 in Italia, 1 in Inghilterra e 1 nelle Filippine. Nel 2006 sono state aggregate ai Francescani dell’Immacolata anche le Clarisse dell’Immacolata, che contano 3 monasteri in Italia con una quarantina di monache di clausura. E tra i vari progetti, per quanto riguarda la formazione interna, c’è la creazione di una facoltà teologica, l’Immaculatum.
Un turbinio di attività e di vocazioni che danno l’idea del boom discreto dell’opera di padre Manelli – da lui ancora guidata – con la sua riproposizione di devozioni tradizionali, l’attenzione alla vita dei santi, le catechesi focalizzate sui tre “amori bianchi” – l’Eucaristia, Maria e il Papa –, l’opzione preferenziale per le celebrazioni liturgiche nel rito straordinario e la difesa intransigente della dottrina cattolica, a costo di pestare qualche callo ecclesiale. Una piccola risposta a chi vede la vita religiosa nella prospettiva di un lento ma inesorabile declino e una delle gemme poco note della Chiesa post-conciliare che vorremmo documentare sul Timone, in un viaggio di cui questa puntata è l’incipit.
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