Perché molti sacerdoti sembrano ignorare il Magistero pontificio? E perché non impariamo anche a “guardare” cosa e come fa il Papa? Senza confondere il gesto con l’insegnamento, ma senza sottovalutarne l’importanza.
Benedetto XVI è il Papa più popolare della storia. Le sue udienze, i suoi Angelus raccolgono il doppio delle presenze del suo predecessore, che aveva battuto ogni record. Mai come nell’età moderna, la Provvidenza ha posto sul soglio di Pietro una successione di pontefici straordinari, spesso canonizzati, capaci di guidare i fedeli non solo con l’insegnamento, ma anche con l’esempio. Proprio sull’importanza dell’esempio vorrei fare qualche riflessione.
Il Papa non va seguito solo quando insegna, cioè quando svolge il suo compito magisteriale. I fedeli (ma anche i vescovi e i sacerdoti) dovrebbero guardare anche ai gesti, alla scelta dei comportamenti, dei viaggi pastorali, alla decisione di voler parlare con tutti, anche con chi guida altre religioni, o rappresenta comunità cristiane scismatiche o separate da Roma, o addirittura professa idee inquietanti. Il Papa ha ricevuto il teologo suo antico collega universitario Hans Kung, da anni postosi fuori dall’ortodossia cattolica, così come ha dialogato con Oriana Fallaci e con altri intellettuali che, se non hanno il dono della fede, o non lo hanno coltivato, così perdendolo, hanno però dimostrato di voler usare la ragione. E quando il Papa entra in una moschea o in una sinagoga, o in un luogo di preghiera di qualsiasi altra religione, ci ricorda le caratteristiche pluralistiche del mondo nel quale viviamo, e ci invita ad andare ovunque possibile a ricordare che solo usando la ragione che Dio ha donato a tutti gli uomini sarà possibile conoscere la verità, incontrare la salvezza e costruire rapporti fra le diverse comunità religiose che garantiscano una convivenza pacifica. Questo è l’unico modo di rifiutare sia l’errore dell’uso fondamentalistico della religione sia l’errore opposto del laicismo o dell’indifferenza, che espelle la religione dalla vita pubblica delle nazioni.
Certamente non vanno confusi i comportamenti con la dottrina, che è infallibile quando frutto di un pronunciamento ex cathedra, ma che impegna all’osservanza anche quando si tratta del Magistero ordinario. Non mi riferisco né allo stile personale di ogni Pontefice né ai comportamenti privati, per i quali il Papa è un peccatore come tutti i cristiani e come tutte le creature chiede a Dio la grazia per diventare santo; mi riferisco invece ai comportamenti pubblici, coi quali un Pontefice indica delle priorità, dei possibili mutamenti di strategia rispetto ai o al predecessore, perché sollecitato da situazioni diverse. Sono proprio questi i comportamenti che i fedeli devono guardare con attenzione, per ricavarne indicazioni importanti. Per esempio, se si vuole veramente ritrovare l’unità dei cristiani bisogna incontrare anglicani, protestanti o ortodossi, e cercare le ragioni dell’unità senza sincretismi, senza negare la distanza che ancora separa, senza pensare che sia il dialogo a costruire la verità, e neppure credere di poter ottenere il dono dell’unità senza costruire legami con fatica e pazienza, senza aver preso la decisione che per il bene dell’unità vale la pena di rischiare tempo e umiliazioni, fraintendimenti, pur di superare quelle divisioni che sono un grande ostacolo alla testimonianza e alla missione.
Nello stesso modo, se si afferma che l’uso della ragione è la condizione del dialogo fra le diverse religioni, poi bisogna dare l’esempio, come in Turchia, dove il Papa è andato (28 novembre – 1 dicembre 2006) a chiedere il rispetto della libertà religiosa per tutte le comunità, rivolgendosi, come ha detto lo stesso Santo Padre commentando il suo viaggio nell’udienza generale del mercoledì successivo (6 dicembre), a uno, forse l’unico, Paese islamico con una società musulmana e una costituzione laica, un «Paese emblematico in riferimento alla grande sfida che si gioca oggi a livello mondiale: da una parte, cioè, occorre riscoprire la realtà di Dio e la rilevanza pubblica della fede religiosa, e dall’altra assicurare che l’espressione di tale fede sia libera, priva di degenerazioni fondamentaliste, capace di ripudiare fermamente ogni forma di violenza».
I gesti si legano alle parole e contribuiscono a rendere più evidenti gli obiettivi, soprattutto se qualcuno ha la carità di spiegarli. Il Papa tiene un discorso a Ratisbona, il mondo islamico lo contesta con violenza, una suora viene assassinata da un estremista musulmano, i cattolici sostengono (poco) il Pontefice e soprattutto pochissimi cercano di spiegare il seguito della vicenda.
Non sarebbe una buona cosa se, per esempio, i sacerdoti dicessero qualcosa ai fedeli nelle omelie domenicali su quanto dice e fa il Papa? Non potrebbe essere un modo per superare il distacco dalle parrocchie, che purtroppo si verifica, mentre aumentano le presenze alle udienze pontificie? I fedeli che accorrono dal Papa sempre più numerosi non hanno parrocchia?
Il Papa va in Turchia e rischia la vita. Perché? Che cosa rappresenta il territorio turco per la Chiesa cattolica e per le origini del cristianesimo? Basterebbe sfogliare L’Osservatore Romano dei giorni precedenti la visita del Papa per avere una risposta; non è necessario conoscere la storia dei Padri greci della Chiesa, non serve conoscere le sorti dettagliate delle prime comunità cristiane fiorenti in Asia, in territorio oggi turco, i santi che hanno operato da quelle parti, la piccola casa fatta costruire da san Giovanni evangelista a Efeso dove ha vissuto la Madre di Gesù; basta che qualcuno sfogli il quotidiano della Santa Sede e ricordi queste cose ai fedeli durante l’omelia o in qualsiasi altra maniera. Oppure legga l’interpretazione che lo stesso Papa ha dato del viaggio, al suo ritorno, ricordando l’importanza diplomatica del modo in cui è stato ricevuto dalle autorità turche, sottolineando la Dichiarazione congiunta con il Patriarca ecumenico di Costantinopoli, una tappa importante verso il ristabilimento della piena comunione di questa Chiesa, fondata dall’apostolo sant’Andrea, con la Chiesa di Roma, alla quale è rimasta unita per mille anni. Infine, bisognerebbe ricordare i legami riconfermati dal Papa con la piccola ma importantissima comunità di cattolici che vive in Turchia, segno e seme che ha ricevuto recentemente il dono del martirio nella persona del sacerdote italiano che viveva il suo ministero in Turchia, don Andrea Santoro.
Bisogna che i tutti i cattolici che sono in grado di farlo, leggano, ascoltino e trasmettano l’insegnamento del Papa, ma ne spieghino anche i gesti. Così come ha fatto l’arcivescovo di Bologna, card. Carlo Caffarra, in un’intervista sul Corriere della Sera del 14 dicembre 2006, dove ha spiegato la continuità fra il Papa del discorso di Ratisbona e quello che, ad Ankara, si è rivolto al Presidente del Direttorato degli Affari Religiosi e al corpo diplomatico accreditato presso la Repubblica di Turchia, una continuità basata sul fatto che la pace fra i popoli «si costruisce sulla base dell’esercizio di una razionalità che non si chiude alla dimensione religiosa, e di una fede che non voglia imporsi con altri metodi che non siano l’argomentazione ragionevole» (ne ha scritto anche Riccardo Cascioli nel numero di gennaio 2007 del Timone).
È troppo chiedere ai sacerdoti di leggere gli interventi del Papa, di presentarli nelle omelie o di farli presentare nelle loro chiese? So per certo che vi sono preti che hanno molte riserve su quanto fa e dice Benedetto XVI (alcuni li ho incontrati personalmente) magari perché seguono “cattivi maestri”, ma mi chiedo se lo leggono veramente, se sanno anteporre il Pontefice alla loro volontà, ai loro dubbi, alle incertezze che possono arrivare a chiunque, ma che devono essere affrontate.
Bibliografia
Il Papa ha incontrato il Presidente del Direttorato degli Affari Religiosi della Turchia il 28 novembre 2006; il discorso che gli ha rivolto si trova sul sito della Santa Sede
www.vati-can.va. Sullo stesso sito si può leggere la Dichiarazione comune fra il Papa e il Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo avvenuta il 30 novembre, festa di sant’Andrea apostolo, e l’Udienza generale del 6 dicembre in cui Benedetto XVI ha ripercorso le principali tappe del viaggio apostolico.
IL TIMONE – N.60 – ANNO IX – Febbraio 2007 pag. 58-59