Dall’ateismo pratico alla preghiera
I credenti vivono in realtà da atei quando non pregano. Senza Dio, e senza la preghiera che li unisce a Dio, essi sono privi di luce, e Satana li seduce facilmente con le sue finte luci insinuate fra i pensieri. «Vegliate e pregate per non cadere nella tentazione» (Mt 26,42). Senza la preghiera si è anche privi di forza: «Senza di Me non potete far nulla» (Gv 15,5). Il primo passo è dunque quello che ci porta dalla trascuratezza alla preghiera costante, fervida, incessante: «Occorre pregare sempre, senza stancarsi mai» (Lc 18,1).
Se la preghiera è difettosa, Dio l’aggiusta, cosa che però non è possibile se nemmeno si prega. «Chi prega si salva, chi non prega si danna», diceva S. Alfonso. E il primo livello della preghiera è la preghiera vocale, accessibile a tutti: «Siamo corpo e spirito, e quindi avvertiamo il bisogno di tradurre esteriormente i nostri sentimenti», «di associare i sensi alla preghiera» (CCC 2702). Sant’lgnazio di Loyola, grande maestro di preghiera, suggeriva, per i momenti di stanchezza in cui le formule sembrano dirci poco, di utilizzare come contenuti d’orazione i dieci comandamenti, o i dodici articoli del Credo, i sette doni dello Spirito Santo, le virtù teologali e cardinali, od altro; ma il metodo si può applicare ricordando i membri di una famiglia, gli alunni di una classe, le persone che ho incontrato, le intenzioni della giornata.
Dalla preghiera vocale alla meditazione
Tutti conosciamo le principali formule della preghiera cristiana: alcune, come il Padre Nostro, ci sono state insegnate direttamente da Gesù, e quindi sono certamente gradite a Dio. Ma se, oltre a recitarlo, ci mettiamo a meditarlo nelle sue singole espressioni, esso si trasforma per noi in una vera e propria scuola di preghiera. Che cos’è la meditazione? È la preghiera approfondita con la riflessione. «I metodi di meditazione sono tanti quanti i nostri maestri spirituali. Un cristiano deve meditare regolarmente, altrimenti assomiglia ai tre primi terreni della parabola del seminatore» (CCC 2707). Meditando sui singoli contenuti della nostra preghiera, si scava fino al profondo senso delle parole, se ne scoprono le connessioni con l’intera Rivelazione, e le relative implicazioni con la nostra vita. Sant’lgnazio suggeriva perfino di non proseguire la preghiera se una delle sue parole ci sta parlando. Non è importante dire tante parole, ma entrare nel loro contenuto semantico e dischiuderne tutti gli arcani significati che il Verbo ha in esse impresso.
Dalla meditazione alla preghiera del cuore
Per la Bibbia il cuore è il centro irradiante che integra tutte le facoltà dello spirito umano, pur restando nascosto nella sua misteriosa profondità. La preghiera del cuore non consiste nel trasporto emotivo o nel fervore sensibile, che può anche mancare senza che la preghiera sia meno perfetta. Consiste nel varcare le soglie della preghiera contemplativa, nella quale l’esplorazione dell’intelligenza, pur non venendo abbandonata, lascia spazio ai puri atti dell’anima. In particolare, gli atti della volontà si appropriano di quanto preghiamo, si inizia cioè a volere ciò che si chiede. Sembrerebbe scontato, eppure quante volte nel Padre Nostro abbiamo detto «sia fatta la tua volontà» ma al sopraggiungere di una situazione dolorosa ce ne lamentiamo subito con Dio? Ciò significa che quelle parole non appartenevano realmente alla nostra anima. Gli atti di volontà vanno di pari passo con il progresso spirituale. Quanto più il cuore si purifica, tanto più gli atti dell’anima nascono retti, volitivi, efficaci, atti a trasformare la vita. Macario, maestro di spiritualità copta, diceva: «Il cuore comanda e regge tutto il corpo. La grazia si impossessa dei pascoli del cuore». E suggeriva come aiuto la tecnica dell’esicasmo: un particolare stato di quiete interiore in cui il respiro del corpo diventa quello dell’anima, e il respiro dell’anima si fonde con quello di Dio (Ruah). La spiritualità cristiana orientale da una parte e quella occidentale dall’altra si sono sempre scambiate le proprie scoperte, facendo evolvere nei secoli la prassi dell’orazione. La meta ultima è l’unione sponsale dell’anima con Dio. «Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me” (Gal 2,20).
Ci si consegna incondizionatamente a Dio e non si desidera altro che la sua volontà. Scrive Macario: «Colui che ogni giorno si sforza di perseverare nella preghiera, è consumato dall’amore spirituale, da un eros divino e dal desiderio infiammato di Dio, e riceve la grazia della perfezione santificante». L’essere umano è deiforme nella sua stessa struttura, e destinato alla comunione deificante. È capace di conoscere Dio nella misura della propria capacità di riceverlo, perché «Dio si dona agli uomini secondo la loro sete».
IL TIMONE N. 81 – ANNO XI – Marzo 2009 – pag. 60
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