C’è un passo biblico, nel primo Libro dei Re (21,1-29), che mostra l’avidità e la bramosia dell’uomo e quanto può essere grande il desiderio smodato delle cose. Come ha raccontato Giovanni Verga (1840-1922) nella sua novella La roba, l’accumulo della ricchezza acceca l’uomo, in questo caso il contadino Mazzarò, che grida prima di morire: «Roba mia, vientene con me!». È simile al ricco stolto della parabola di Luca (12,13-21), che muore all’improvviso quando si era garantito un’apparente sicurezza con l’accumulo dei suoi beni materiali facendo dire al Signore: «Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio» (Lc 12,21).
Il primo libro dei Re, dunque, racconta di un uomo di nome Nabot che possedeva una vigna vicino alla casa del Re di Samaria, Acab, che gli chiese di vendergliela in cambio di un’altra vigna o di denaro. Essendo lui il Re, si aspettava una risposta positiva da Nabot. Invece, costui si rifiuta di vendere il terreno dei suoi padri. Acab, amareggiato e sdegnato, tornato a casa, si sdraia sul letto senza voler mangiare. La moglie, la crudele Gezabele, vedendolo ridotto così, si fa spiegare ogni cosa e decide di ottenere la vigna facendo calunniare pubblicamente Nabot da uomini perversi che diranno il falso su di lui. La calunnia gli costerà la lapidazione e, con la morte di Nabot, la vigna potrà finalmente essere presa e usurpata da Acab, che nel frattempo era stato avvisato da Gezabele del perfido progetto riuscito.
Colpisce la crudeltà di questa donna, Gezabele, sulla quale si abbatterà la “vendetta” di Dio, come sul marito, il Re Acab. Colpisce soprattutto la differenza con le parole di Gesù nel Vangelo di Matteo: «Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? (5,43-45). Certamente, Gesù non vuole con il Discorso della montagna (Mt 5-7) favorire l’impunità o l’anarchia della giustizia, ma promuove un nuovo modo di vedere l’altro, di guardarlo, di amarlo. È il dono totale di sé fino a dimenticarsi, è la completa accettazione dell’altro senza vendetta e senza rancore. Nabot era per di più innocente. Gezabele calunnia l’innocente e l’uccide. Anche il Re Davide commette adulterio con Betsabea, moglie di Uria l’Ittita, e lo fa uccidere per portarla in casa con sé e farla diventare sua moglie (cf. 2 Sam 11). Davide però si pentirà, e sarà perdonato da Dio, in modo tale che un discendente della sua stirpe sarà lo stesso Figlio eterno fatto uomo (cf. Lc 1,32).
Gesù ha vissuto in prima persona le parole che ha pronunciato nel Vangelo di Matteo: con la sua Passione. Ci ha mostrato che il perdono e l’amore non sono un’utopia. L’ha mostrato sulla sua pelle. Basta leggere i racconti del suo martirio nei quattro Vangeli. Ma pensiamoci: quanti nostri rapporti e relazioni sono improntate all’egoismo, allo stile di Acab e Gezabele, allo stile di Satana, «omicida fin da principio» (Gv 8,44)? Forse diversi, forse molti…
Non è poi cambiato molto dai tempi di Acab. La sopraffazione, l’arroganza, la prepotenza e l’odio la fanno da padrone. Ma il piccolo seme gettato nell’orto cresce e, inesorabilmente, germoglia e porta frutto (cf. Mc 4,26-32). Così è il Regno di Dio. Se noi gettiamo il seme del perdono e dell’amore, Dio farà crescere (cf. 1 Cor 3,6). Dorma o vegli l’uomo che semina (cf. Mc 4,27), il seme marcisce e cresce inesorabile. E alla fine il Regno vince, perché Gesù è il Regno di Dio. Occorre rinascere dall’alto (cf. Gv 3,3), è necessario convertirci allo stile di Cristo: la non vendetta cristiana non è un’ideologia, o uno slogan, è un alto criterio evangelico. Il perdono va al di là della logica umana e distrugge il male, perché l’amore è più forte dell’odio e dell’indifferenza, è più forte della morte.
IL TIMONE – Aprile 2014 (pag. 60)
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