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I grandi fatti della Bibbia. Talenti
7 Febbraio 2015

I grandi fatti della Bibbia. Talenti

Talenti

«Avverrà […] come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”.
“Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”. Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”»
(Mt 25,14-30).

Ognuno di noi ha delle capacità. Anche chi, secondo la logica del mondo, sembrerebbe non averne alcuna. Un malato inchiodato a letto, un portatore di handicap, un povero incapace di produrre qualunque cosa, anche il servizio più elementare. La capacità che ogni uomo ha, in quanto uomo, è la sua libertà, quindi la sua capacità di amare. «Alla sera della vita, saremo giudicati sull’amore» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1022. Cfr. San Giovanni della Croce, Parole di luce e di amore, 1, 57).
Questo è il senso autentico della vita: imparare ad amare. Tutti lo possono fare. Che cosa vuol dire amare? In una parola: liberamente dare di quello che si ha a chi non l’ha. Ma se io non ho nulla? Non puoi avere nulla: hai dei doni, tu stesso sei un dono. Non vergognarti del poco che hai, daresti retta alla mentalità del mondo che giudica le cose con il metro del puro fare e produrre.
Pensiamo a un bambino appena nato. Che cosa è capace di fare? Una sola cosa: piangere. Con il suo pianto chiede aiuto e la mamma e il papà si piegano su di lui e gli offrono ben volentieri il loro aiuto. Il bambino è un dono, che si manifesta in mille modi. Con il suo pianto, con il suo sorriso, con il suo sguardo.
Anche le nostre capacità sono di questo tipo. La nostra intelligenza, la nostra fantasia, le nostre “abilità”, il nostro tempo. Chi ha grandi capacità, particolarmente apprezzate dal mondo, corre maggiormente il rischio di ritenerle sue, solo sue, e di non metterle al servizio di Dio e del prossimo. Ci sono santi che sono stati dotati da Dio di grandi capacità. Pensiamo a san Giovanni Bosco e al suo straordinario e intelligentissimo spirito imprenditoriale. Se avesse servito il mondo, sarebbe certamente diventato un grande affarista e avrebbe accumulato per sé e per i propri comodi un bel capitale. Ma a lui Dio avrebbe rivolto queste parole: «Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse». Ma è proprio quello che avrebbe fatto, verrebbe da pensare. Se rispondiamo così, non abbiamo capito la parabola. La capacità date da Dio sono un dono del suo amore e sono delle possibilità di amare, perché anche noi diventiamo soggetti del suo amore.
Se tu le usi per amare (anche un imprenditore può far soldi non per sé stesso, ma per offrire possibilità di lavoro a tante persone…) allora le restituisci a Dio colme di amore e lo fai felice.
Torniamo a san Giovanni Bosco: è diventato santo non perché ha aperto tante case e raccolto tanti giovani, ma perché ha amato in modo eroico: con le doti che aveva avrebbe potuto servire il mondo e se stesso, invece le ha usate per servire Dio e il prossimo.
Anche chi ha poco o nulla può essere un eroe: non ascoltando la voce del mondo che lo disprezza e lo spinge a disprezzarsi, ma mettendo se stesso al servizio dell’amore, che è l’unica cosa che veramente conta. Questa parabola ci chiede una conversione radicale. Un cambiamento di mentalità totale: mettere al primo posto non le cose, i risultati, quello che brilla davanti agli occhi del mondo, ma l’amore con cui vengono usate, fatte, prodotte. Questo amore non brilla agli occhi del mondo («l’essenziale è invisibile agli occhi» insegna la volpe al piccolo Principe), ma è luminoso per chi ha la fede e i suoi raggi colpiscono anche il cuore di ogni uomo di buona volontà. Funziona anche con cose da nulla, ma le vuole fatte alla perfezione, con tutto te stesso, con amore.
Un sorriso in fondo è la cosa più facile del mondo.
Ma un sorriso fatto a chi ti sta torturando è un’altra cosa. Che cosa vuoi che sia per un Vescovo dare
una benedizione? Fu il gesto con cui benedì e perdonò coloro che lo stavano fucilando il beato mons. Florentino Asensio Barroso (1877-1936), dopo essere stato da loro castrato poco prima… â–

 
Il Timone – Febbraio 2015
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