Se siete cattolici credenti e praticanti, e se usate perciò pregare, vi sarete accorti di un curioso fenomeno: a Dio potete chiedere tutto, tranne soldi. Croci, rovesci, malattie, umiliazioni e pedate nei denti, quanti ne volete. Ma soldi e benessere, nisba. Infatti, fa parte del contratto: se uno vuol essere Mio discepolo, prenda la sua croce e Mi segua, e dove sono Io sarà anche il Mio servo. Cioè, in croce.
Oh, certo, ci sono le eccezioni. Ma la regola è quella che ho enunciato. So bene, naturalmente, che non è Dio a mandare le avversità; queste fanno parte della Valle di Lacrime in cui siamo stati sputati all’atto della nascita (infatti, la prima cosa che fa il neo-nato è piangere disperatamente: se non lo fa, gli danno manate sul didietro perché lo faccia, tanto per fargli capire dov’è finito). Senno’, non saremmo costretti a ripetere per tutta la vita «Signore, salvaci!», che riassume in toto la nostra fede.
Ma perché Dio è così avaro? Suppongo che sia per smazzare il campo: se si spargesse la voce che elargisce donne-cavalli-champagne a chi prega, ci sarebbe la fila e non potrebbe distinguere chi lo cerca/ama davvero. In fondo, anche noi lo faremmo. Esempio: sono ricco e molte signorine spergiurano di amarmi alla follia, così che non saprò mai se cercano me o i miei soldi. Ho un solo modo per sapere chi tiene a me sul serio: fingermi perdente e sfigato; l’unica che restasse quando le altre se ne fossero andate sarebbe quella giusta. E poi, diciamolo: se uno stesse bene in questa vita, farebbe un sacco di storie all’ora di doverla lasciare; invece a Dio interessa solo l’altra, di vita, quella eterna. Perciò si assicura che quelli che Lo seguono veramente e sinceramente non abbiano rimpianti nel momento finale.
Venendo a noi apologeti del “Timone”, vi immaginate cosa direbbero i nostri (tanti) antipatizzanti? Direbbero che abbiamo fatto i soldi parlando bene di Gesù. Ergo, parliamo bene di Gesù perché ci conviene e ci marciamo. Per questo, la prova principale del nostro disinteresse è la nostra indigenza. È anche vero che, nella società dell’immagine, presentarsi come morti di fame è un pessimo biglietto da visita. I poveracci non piacciono a nessuno, nemmeno ai preti, soprattutto se mitrati. Sì, perché i poveracci chiedono, mentre a tutti (anche ai preti, soprattutto se mitrati) piacciono quelli che danno. Vi prego, non mi presentate eccezioni: ne conosco anch’io. Qui parlo solo della regola. Ma come – direte voi – con tutto il clero che non fa altro che occuparsi dei “poveri” e dei “drop out”? Anzi, sembra che questa sia diventata l’unica occupazione lecita e apprezzata del clero cattolico! Apprezzata, di sicuro. Anche da me, che pur sono kattivo. Ma solo san Francesco abbracciava i lebbrosi e gli “piacevano”, perché ci vuole un Santo, e un grande Santo, per vedere davvero nel poveraccio il volto di Cristo. Gli altri, tutti gli altri, tutt’al più li soccorrono, i “poveri”. Ma la regola, umana, umanissima, è ahimè questa: se sei ricco e potente, tutti ti cercano; se non conti niente, la porta è quella di servizio.
Guardate che non sto dicendo niente di scandaloso, è una realtà ovvia e facile da constatare. Solo qualche collotorto professionista potrebbe trovare le mie parole eccessive o, addirittura, poco cristiane. Ma non è a lui che mi rivolgo, bensì a voi affezionati del vostro Kattolico di quartiere.
Torniamo a noi. Il Dio cattolico ha un modus operandi univoco, pur nella sua multiformità. Pensiamo ai grandi Santi, quelli “della Provvidenza”. Hanno creato opere colossali, però loro andavano con le pezze al sedere, e così sono morti. Non a caso “provvidenziale” è diventato sinonimo di “all’ultimo momento” e “quanto basta”. Detti Santi vedevano arrivare quel che occorreva loro per le loro opere, ma sempre quando avevano già infilato in bocca la canna del gas, e mai un centesimo, una briciola, un grammo in più di ciò che serviva in quel momento. Gesù, nel Vangelo, manda i suoi discepoli in giro a predicare praticamente nudi. Poi, al ritorno, chiede loro, retoricamente: vi è mai mancato qualcosa? La risposta è no, e sempre no. Ma, se non si è Santi, bisogna andare avanti a Xanax. Non a caso, i grandi Santi delle Grandi Opere erano tutti “chiamati”, cioè scelti appositamente tramite un sogno soprannaturale, un’apparizione, una caduta da cavallo con trasporto al settimo cielo. Dio, insomma, sa chi ha i talenti giusti per fare Grandi Opere.
E noi apologeti del “Timone”, come sappiamo, allora, di essere stati “chiamati”? Be’, per quanto riguarda il mio caso (che è quello che conosco meglio), è presto detto. Non so fare altro, nella vita, che leggere e scrivere. So farlo benino e l’unico tema che mi ha appassionato fin dall’inizio e in cui ho, perciò, maturato una certa competenza è Gesù. Altri non hanno questo tipo di talenti, dunque è chiaro cosa si vuole da me nelle Sfere Superne. Se si fosse voluto altro, mi sarebbe stata fornita una diversa mano di carte. Quando tornerà il Padrone, che è un uomo duro, pretenderà la restituzione dell’unico talento che mi ha affidato, almeno con gli interessi bancari. È un uomo duro, lo dice il Vangelo, e non sentirà scuse (la crisi economica, l’oppressione fiscale…). Ma il gioco (pur con una mano perdente) deve essere condotto secondo le regole. E le regole sono quelle che ho fin qui descritto: niente soldi, solo quel che basta per continuare a giocare, non uno spiccio in più.
Orbene, noi apologeti del “Timone” abbiamo un ulteriore handicap: la libertà di espressione, intesa non nel senso illuministico (cela va sans dire), bensì in quello evangelico. Non possiamo permetterci di mangiare nel piatto di nessuno, perché potremmo dover esse- re costretti a sputarci dentro. Da qui, alcune scelte precise: niente veste grafica ricercata, niente pubblicità, niente edicola, solo abbonamenti e cappello continuamente in mano. Se qualcuno vi dice, cari lettori, che ci pagano i preti, vi invito a sghignazzargli in faccia. Sarei tentato di esclamare: magari! Ma subito mi mordo la lingua. Esperienza. No, no, va bene così. Dio è il nostro solo committente e si tratta di un datore di lavoro – l’unico – affidabile. Date retta.
Bene, questa lunga tirata, cari amici, è la necessaria premessa alla frase (fatta, è vero) che costituisce il succo di questa puntata: “Il Timone” siete voi. In soldoni: voi lo volete così com’è, e voi, solo voi, lo mantenete. Noi apologeti timoniaci e voi lettori & seguaci siamo due facce di una stessa medaglia, e insieme stiamo in piedi e insieme cadremo (se a Dio così piacerà). Noi sappiamo osservare, raccogliere e raccontare quel che a voi interessa, e che non trovate in alcun altro posto. Voi siete quelli che ci danno i mezzi (non di più) per farlo. Noi e voi, e nessun altro. Così, avventurosamente avvinti in questo atto comune, pedaliamo sul tandem di cui il Padreterno ci ha dotati per raggiungerLo. Altri, lo so, vanno in Maserati, altri arrancano sulle grucce. Noi abbiamo questi pedali. Dovranno bastarci. E fin qui sono bastati. Vi è mai mancato niente (dice il Signore ai discepoli)? No, Signore. Bene, fate allora un altro giro.
Ed ecco l’altro giro dei pazzi del “Timone”: un nuovo sito (che costa) e “JuniorT”, il “Timone dei ragazzi” (che costa ancor di più!). Proprio quando l’editoria crolla del 30% (per ora) e anche i colossi editoriali sono costretti a tagliare (sedi, lavoratori, perfino librerie…).
Siamo pazzi? Eh, se non lo fossimo, avremmo creato “Il Timone”? Un mensile di apologetica kattolica? Proprio quando essa sembrava, per dirla con Dante, «a Dio spiacente e a li inimici sui»? Nella frase dantesca, al posto di «Dio», naturalmente, dovete mettere «certo clero » (tranne, ovvio, quello che sul nostro mensile mette la faccia e la firma). No, siamo pazzi e, se permettete, ce ne vantiamo pure. Il più pazzo di tutti è, ve ne sarete accorti, il nostro direttore, Barra, la cui fiducia nella Provvidenza e in voi (che è lo stesso) talvolta sconcerta persino me. È lui il responsabile del novanta per cento dei “salti nel buio” incoscientemente perpetrati in tutti questi anni.
Perciò, non stupitevi, e non stufatevi, se spesso lo vedrete stendere la mano verso di voi e bussare a denari. Siate sicuri che lo fa solo con voi e con nessun altro. Perché, ripeto, “Il Timone” siete voi. Noi siamo solo quelli che lo riempiono.
IL TIMONE N. 119 – ANNO XV – Gennaio 2013 – pag. 20 – 21
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