Luci e ombre del mondo dei giovani. Permissivismo, culto del successo, scetticismo, cinismo.
Ma anche desiderio di verità, disponibilità a pensare e a operare “in grande”, propensione alla solidarietà.
Una sfida che la Chiesa affronta fiduciosa, memore delle parole di Cristo, che ha vinto il mondo.
La cultura dominante
I ragazzi e i giovani sono oggi oggetto di molte attenzioni, non tutte però disinteressate e benefiche.
Da più parti sono visti come auspicabili consumatori di articoli di moda sempre più raffinati e complessi. Si guarda a loro come a preziosi clienti di un mercato, che non è organizzato tanto per soddisfare a reali esigenze quanto per creare necessità fittizie sempre più estese. A molti ideologi e pedagogisti l’infanzia e la giovinezza si sono offerte e si offrono come facili campi di sperimentazione di teorie antropologiche ed educative, che talvolta sono ritenute scientifiche solo perché si pongono in clamoroso contrasto con il comportamento tradizionale e il naturale buon senso.
I giovani sono talvolta oggetto di un’ammirazione irragionevole e di un’adulazione senza senno e senza vera stima, solo perché la cultura dominante esalta la bellezza, la salute, l’efficienza, considerandoli i beni supremi dell’uomo.
Il risultato è che spesso i modelli invidiabili di vita non sono più gli uomini saggi, giusti, altruisti, capaci di donarsi per qualche ideale, ma appunto coloro che possiedono il fascino e la prepotenza degli inizi della vita; coloro cioè che più degli altri avrebbero bisogno di esempi da studiare e da imitare.
Allevati in un mondo dove lo spontaneismo senza norme, la libertà senza contenuti, la possibilità di affermare in assoluto i propri diritti, sono ritenuti da molti i soli valori ai quali ispirare ogni azione educativa, i giovani oggi arrivano spesso fragili e sprovveduti ad affrontare le immancabili difficoltà dell’età adulta.
Poveri di verità
Con l’allungarsi del tempo scolastico e il moltiplicarsi dei mezzi di comunicazione e di elaborazione messi al loro servizio, essi diventano senza dubbio sempre più ricchi di impressioni, di nozioni, di stimoli, ma si fanno anche sempre più poveri di verità, dal momento che né il mondo della scuola né quello dell’informazione riescono a proporre ragioni plausibili per impegnarsi a vivere né regole persuasive e indiscusse di comportamento.
La crisi della famiglia
Si aggiunga infine che un numero ogni giorno più grande di ragazzi e di giovani del nostro tempo – i quali sono dotati come in nessun’altra epoca, mediamente parlando, di una copiosa possibilità di alimentazione, di istruzione, di esercitazione fisica e di svago – è spesso defraudato di alcuni fondamentali diritti: il diritto di crescere in una famiglia stabile, concorde, in pace; il diritto di avere dei genitori che sappiano sacrificarsi per il bene dei figli; il diritto di avere un padre e una madre che come educatori vicendevolmente s’integrino; il diritto di non essere vezzeggiati e colmati di regali da un padre e da una madre in discordia tra loro e quindi in gara per accaparrarsi con i doni e le concessioni l’affetto del figlio.
Il tesoro della giovinezza
Di fronte a queste innegabili zone d’ombra ci sono anche le luci, che ci aiutano a tenere intatta e desta la nostra fiducia.
Giovanni Paolo II ci ricordava alcune caratteristiche della giovinezza, che noi grazie a Dio verifichiamo quotidianamente nei ragazzi e nei giovani, quando riusciamo a incontrarli nella loro autenticità, di là dai travestimenti e dai condizionamenti dell’ambiente. «Giovinezza – ci ha detto – vuol dire libertà da preconcetti e sclerotizzazioni ideologiche, che impediscono di aprirsi alla verità nella sua interezza. Giovinezza vuol dire capacità di speranza e di tensione verso traguardi non puramente utilitaristici; vuol dire disponibilità a pensare e a operare “in grande” senza lasciarsi intimidire dalle presunte esigenze di leggi e meccanismi inadeguati alla dignità della persona; vuol dire saper cogliere in ogni situazione e avvenimento la possibilità di procedere oltre, di cercare ancora e di operare più profondamente per consentire all’uomo di non chiudersi in prigioni da lui stesso edificate. Giovinezza è infine propensione alla solidarietà e al desiderio di comunione che sono insiti nell’animo umano, non ancora soffocato dalla ricerca smodata dell’interesse individuale».
L’iniziale conformità a Cristo
Queste positive connotazioni hanno una ragione teologica profonda. Ogni uomo nasce sì col peccato originale, che lascia nel suo cuore anche dopo la rinascita del battesimo
– quasi cicatrici di ferite rimarginate – un cumulo di inclinazioni perverse. Può sì essere immerso in un’atmosfera per molti aspetti ostile alla mentalità cristiana e sfavorevole alla verità. Ma resta sempre uomo, cioè resta costituito in una natura che dall’inizio è esemplata su Cristo, derivata da lui e intrinsecamente orientata a lui come a suo congeniale traguardo.
Questa iniziale conformità al Signore Gesù è non di rado nascosta e quasi soffocata sotto i contrari condizionamenti acquisiti da una cultura di vanità, di menzogna, di morte; ma in nessuna creatura umana viene mai totalmente annientata.
E quanto meno questa cultura di vanità, di menzogna, di morte ha avuto tempo di infierire con i suoi influssi malefici, tanto più l’uomo è ancora nativamente aperto alla luce e alla grazia.
Sotto questo profilo, i ragazzi e i giovani – più che non gli adulti e gli anziani – sono «docibili» da parte dell’unico vero Maestro e capaci di ascolto.
Questo non va mai dimenticato da parte di chi si accinge a educare nel nome del Signore. Per quanto siano poco propizie alla comunicazione della verità evangelica e della vita divina le situazioni esteriori, abbiamo sempre alleati potenti nell’intimo dei nostri interlocutori; e cioè: la loro mente che è fatta per la verità, il loro cuore che anela invincibilmente alla giustizia, il loro spirito che è originariamente aperto all’influsso dello Spirito Santo, tutto il loro essere più autentico che aspira d’istinto a diventare pienamente se stesso assimilandosi al Figlio di Dio crocifisso e risorto.
La personalità cristiana
Va detto inoltre che i ragazzi e i giovani, nei quali di solito ci imbattiamo, non sono soltanto immagini sbozzate di Cristo in virtù del loro essere uomini. Il divino Artefice ha già avviato e condotto a buon punto il lavoro di rifinitura: nel battesimo essi hanno già ricevuto gli elementi costitutivi essenziali della loro personalità cristiana; nella confermazione l’opera di iniziazione è arrivata al suo oggettivo compimento; essi sono stati ripetutamente nutriti del Pane di vita; sono state poste le premesse della loro psicologia soprannaturale con l’infusione delle virtù della fede, della speranza e della carità; già i misteriosi e molteplici doni dello Spirito Santo hanno adornato la loro anima.
Nell’ardua impresa della formazione alla maturità dell’uomo redento – nella quale troppo spesso sembra impari la nostra lotta contro le forze del male e quotidianamente vanificata la nostra fatica – dobbiamo conservarci ben consapevoli di tutte le sovrumane energie che favoriscono il nostro lavoro, anche quando non ci si manifestano nella loro sperimentabilità. Il Signore, che le ha donate, le saprà lui attivare secondo un disegno e un ritmo che – purtroppo per noi, per le nostre consolazioni e per i nostri compiacimenti – non sempre corrispondono agli itinerari pedagogici da noi auspicati, ma sempre sono efficaci ai fini del vero bene dell’uomo.
Il tramonto dei miti e la benefica spregiudicatezza
È da aggiungere, a rianimare la nostra speranza, che le nuove generazioni si trovano di questi tempi per qualche aspetto avvantaggiate nei confronti degli ultimi decenni trascorsi. I miti e le ideologie, che possono distoglierle dalla verità e traviarle, sono ancora sulla scena, ma, dopo i ripetuti fallimenti, si sono fatti un po’ meno aggressivi.
Le sane certezze esistenziali, che danno consistenza e senso al vivere, sono ancora irrise e quasi colpevolizzate da parte di molti maestri del niente e di molti annunciatori dell’universo deserto; ma questi apostoli della vuotezza e del dubbio sembrano oggi meno sicuri di sé e dei loro squallidi postulati.
Qualcuno comincia a non essere più così risoluto nel proclamare la morte di Dio, la fine del sacro, l’anacronismo della Chiesa. Al contrario, si fa strada nelle persuasioni di quanti sono ancora capaci di analisi spregiudicate, che la Chiesa, il sacro, Dio sono ciò che rimane di vivo, di nuovo, di sensato in mezzo al declino generale di tutte le dottrine terrestri totalizzanti, all’invecchiamento di tutti gli avanguardismi, alla sempre più manifesta assurdità delle cose e degli accadimenti. Anche il gusto dell’autonomia e dell’insubordinazione, che c’è in molti giovani, può perfino giocare a favore della loro salvezza, consentendo loro di reagire felicemente contro «la possibile influenza negativa del mondo degli adulti, nel quale – sono parole di Giovanni Paolo II – talvolta prevalgono sentimenti di chiusura egoistica sullo sfondo di una società che spesso non ha saputo sviluppare valori duraturi e fecondi».
L’insidia della debolezza morale
Tutti questi dati positivi ci allargano il cuore, anche se con la stessa oggettività dobbiamo altresì rilevare che il permissivismo imperante, il culto del successo, l’eclis-si di ogni ideale meritevole di abnegazione e di fedeltà, l’atmosfera di scetticismo e di cinismo nella quale sono state costrette a crescere, l’edonismo che vedono vantato dagli adulti come una conquista sociale, infiacchiscono le nuove generazioni più di quanto non sia mai avvenuto e le espongono al rischio di decadenze precoci e senza ritorno.
Ma se questa è la pericolosa e amara condizione mondana, nella quale i nostri figli sono chiamati a farsi uomini nuovi in Cristo, non dimentichiamo che è ancora vera la parola con la quale Gesù, secondo il Vangelo di Giovanni, ha concluso le appassionate raccomandazioni dell’ultima cena: «Abbiate fiducia, io ho vinto il mondo!» (Gv 16,32).
IL TIMONE – N. 63 – ANNO IX – Maggio 2007 pag. 48-49