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7.12.2024

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I Vangeli hanno copiato?
31 Gennaio 2014

I Vangeli hanno copiato?

 

Un’iscrizione su una stele di pietra. Antichissima. Vi si parla di Resurrezione dopo tre giorni. Per qualcuno questo dimostra che la storia della Resurrezione di Gesù è un’invenzione. Non è così. Ecco perché


Recentemente è stata pubblicata e tradotta da Ada Yardeni una stele di pietra proveniente dall’area del Mar Morto o del Giordano, con un’iscrizione, di natura probabilmente apocalittica, di 87 linee in ebraico su due colonne, rovinata e di difficile lettura, insolitamente scritta con inchiostro e non incisa. È una rivelazione dell’arcangelo Gabriele, ricca di echi di Daniele, Zaccaria e Aggeo e datata paleograficamente e linguisticamente al tardo I sec. a.C. o agli inizi del I d.C., che fa discutere gli studiosi. Alcuni sostengono in base ad essa che la storia di Gesù quale narrata dai Vangeli sarebbe un’invenzione derivata da materiali giudaici precedenti. In realtà la stele non lo dimostra affatto.
Nella stele sembra emergere il tema del Messia risorto in tre giorni: «In tre giorni saprai, disse YHWH il Signore delle schiere, il Signore di Israele, che il male/maligno fu sconfitto al cospetto della giustizia» (ll. 19-21); in relazione a ciò è poi menzionato del sangue sacrificale. Alla fine si legge ancora: «In tre giorni, io Gabriele …» (l. 80) «allora (ri) sorgerai … per l’eternità (?)» (ll. 85-87). Israel Knohl vede attestato nella stele un Messia diverso dal trionfante figlio di David: il sofferente Messia figlio di Giuseppe (Efraim). Egli ha identificato il personaggio (menzionato dalla stele) che risorge con Simone, che si proclamò re, capeggiò una rivolta nel 4 a.C. e fu ucciso dalle armate di Erode. L’identificazione resta del tutto ipotetica. Ada Yardeni ritiene invece che l’autore del testo sostenesse la corrente davidica. Daniel Boyarin ha ragione nel dire che la storia di Gesù va letta anche alla luce di questa stele e della cultura giudaica del tempo. Ciò, però, non significa che la storia di Gesù sia stata inventata in base a questi elementi.
Infatti, la presenza del tema del Messia sofferente e della resurrezione dopo tre giorni nelle aspettative del Giudaismo era già ben nota anche prima della scoperta della stele, e parimenti non autorizza a concludere che le vicende di Gesù, storiche, siano state inventate in base ad essa. Tale presenza era già provata ad es. dal tema – di Isaia (Is 53) – del Servo sofferente di Dio che, caricato dei nostri peccati, muore ma poi risorge: «dopo il suo intimo tormento vedrà la luce». Si pensi anche al Salmo 21 (22), dove la sofferenza e la morte si uniscono alla speranza e alla gloria, salmo tradizionalmente messianico, e al Salmo 15,9-10: «non lascerai che il tuo Santo veda la corruzione». Il Santo di Dio è Cristo, poiché solo Cristo risorge prima che il suo corpo si corrompa nella morte. Infatti tale passo è citato da s. Pietro in riferimento alla resurrezione di Gesù in Atti 2,27.31.
La stele non dice niente di realmente nuovo: il tema della sofferenza e resurrezione del Messia è già attestato nella Bibbia.
Inoltre, che nella stele i tre giorni vadano riferiti alla resurrezione è incerto: ammesso, comunque, che vadano riferiti alla resurrezione del Messia, anche questo dettaglio era già attestato. Già nell’Antico Testamento, infatti, i tre giorni erano un intervallo di tempo tipico per l’avvenimento di qualcosa di importante; in tutto ho rinvenuto nella Bibbia quasi 50 occorrenze di «tre giorni» (treis hemerai). Specialmente significativo è Giona 2,1: Giona rimase per tre giorni e notti nel ventre della balena, un intervallo che molti Padri riferirono alla permanenza di Gesù nel ventre della terra prima della resurrezione. Basterebbe questo alla dimostrazione; ricordo solo anche Genesi 40, 12-13, ove – nell’interpretazione di un sogno di un dipendente del Faraone – Giuseppe dice: «fra tre giorni il Faraone solleverà il tuo capo e ti ricostituirà [apokatastései] nel tuo ufficio». I tre giorni segnano il ritorno a una condizione positiva da una negativa, come dalla morte alla vita. Si trova pure un riferimento sacrificale ai tre giorni in Esodo 3,18 e 5,3: gli Ebrei chiedono al Faraone di poter andare nel deserto per tre giorni per sacrificare al Signore (cfr. ad es. anche 1Mac 5,24; Es 8,23; 15,22; 19,15; Num 10,33; 33,8; Gios 2,16.22; Gdc 14,14; 2Sam 20,4; 24,13; 2Re 2:17; 1Cr 21:12; 2Cr 10,5; Ezr 10,9; Ester 4,16). In Giosuè 1,11 i tre giorni sono indicati come l’intervallo dopo cui viene la presa di possesso della Terra Promessa. Molto interessante è anche Esodo 10,22-23, relativo alla piaga delle tenebre in Egitto: «Mosè stese le mani verso il cielo, e ci fu una tenebra fitta in tutta la terra d’Egitto; per tre giorni non poterono vedersi l’un l’altro, né alcuno poté levarsi [exanéste, il verbo della resurrezione] dal suo luogo per tre giorni». Ancor più interessante è 1 Sam 30,12, dove i tre giorni segnano l’intervallo durante il quale una persona fu vicina alla morte per mancanza di cibo; dopo quell’intervallo si rianimò e tornò in vita: «gli diedero un pezzo di torta di fichi e due grappoli d’uva passita. E quando ebbe mangiato, il suo spirito rivisse.
Non aveva infatti assunto pane o bevuto acqua per tre giorni e tre notti».
La stele del Mar Morto conferma e riflette la presenza di motivi legati al Messia sofferente, che risorge dopo tre giorni, nel Giudaismo di poco tempo prima di Gesù. Questi motivi si trovano già nella Sacra Scrittura e sono ben lungi dal dimostrare che la storia di Gesù, quale narrata dai Vangeli e prima ancora, in nuce, da s. Paolo, sia semplicemente un’invenzione letteraria basata sui suddetti elementi preesistenti.
Tanto più che la storicità della sua figura e della sua morte, e l’annuncio della sua resurrezione, sono attestate anche da fonti non cristiane quali Tacito e, già nel I secolo, Flavio Giuseppe, o il siriaco Mara Bar Serapion, cui potremmo aggiungere anche gli atti senatoriali relativi al senatoconsulto del 35 d.C. (su cui cfr. il Timone, n. 82, pp. 28-29), la cui esistenza è attestata da Tertulliano e dall’insospettabile Porfirio, e la relazione di Pilato a Tiberio, nota a Giustino e ad altri autori del II secolo. La stele conferma semplicemente che nel Giudaismo del tempo di Gesù c’erano forti aspettative messianiche, e che queste erano orientate ad un Messia che doveva morire e risorgere (dopo tre giorni). Gesù venne a soddisfare quelle aspettative e a compiere le profezie. I suoi discepoli erano tanto lontani dall’inventarsi la notizia della sua resurrezione da non credere assolutamente a questo avvenimento quando Gesù era apparso risorto a Maria Maddalena e quando le pie donne avevano annunciato l’evento che sta a fondamento del Cristianesimo.




RICORDA

«Il Signore dispose che un grosso pesce inghiottisse Giona. Giona restò nel ventre del pesce tre giorni e tre notti.
Dal ventre del pesce Giona pregò il Signore […]. E il Signore comandò al pesce, ed esso rigettò Giona sull’asciutto».
(Libro di Giona, 2, 1)

BIBLIOGRAFIA
Israel Knohl, The Messiah Before Jesus, University of California Press, 2000.
Ada Yardeni-Binyamin Elitzur, Document: A First-Century BCE Prophetic Text Written on a Stone, Cathedra, 123 (2007), con la pubblicazione del documento.
Ada Yardeni, A New Dead Sea Scroll in Stone?, Biblical Archaeology Review, 34 (Jan/Febr 2008) 1.
Isreal Knohl, Dead Sea Scroll in Stone, Biblical Archaeology Review, 34 (Sept/Oct 2008).


 

IL TIMONE N. 87 – ANNO XI – Novembre 2009 – pag. 28 – 29

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