Ha cento anni ma non li dimostra. È il catechismo di San Pio X per i fanciulli. Ha formato generazioni di cattolici con il geniale sistema delle domande e risposte da mandare a memoria. Dal giorno in cui venne messo da parte è iniziato “l’inverno dottrinale” delle nuove generazioni. Urge il suo recupero
Correva l’anno 1912. L’anno dell’affondamento del Titanic, della nascita di Renato Rascel e di Elsa Morante, delle guerre dell’Italia contro la Turchia e contro la Libia, della direzione di Benito Mussolini all’Avanti. È il 18 ottobre quando Papa Pio X (1835- 1914) pubblica un nuovo catechismo – versione più breve del precedente promulgato nel 1905 (il c.d. Catechismo Maggiore) – fatto di 433 domande e risposte. Si chiama “Catechismo della dottrina cristiana”. Sono passati 100 anni, e per moltissime generazioni quel catechismo è stato lo strumento fondamentale per imparare il cattolicesimo. Se siamo stati a lungo un popolo cristiano lo dobbiamo a quel benedetto formulario di domande e risposte messo a punto dall’ultimo Papa santo. Giuseppe Sarto era stato parroco e catechista, esperienza che gli aveva fatto comprendere tutta l’importanza dell’insegnamento della dottrina cattolica. Egli aveva ben chiaro, come del resto i suoi predecessori, che senza le fondamenta del catechismo la fede diventa puro sentimento religioso. Con la conseguenza che l’anima farà le sue scelte di vita in modo caotico, in totale sudditanza della mentalità del mondo e delle mode del momento. Insomma: senza catechismo non c’è cristiano.
Attualità del catechismo di San Pio X
Pio X aveva ben chiara questa verità, e nella lettera che accompagna l’uscita del Catechismo egli scrive: «Fin dai primordi del nostro Pontificato rivolgemmo la massima cura all’istruzione religiosa del popolo cristiano e in particolare dei fanciulli, persuasi che gran parte dei mali che affliggono la Chiesa provengono dall’ignoranza della sua dottrina e delle sue leggi». Questa diagnosi, fatta cent’anni fa, non ha perso nulla della sua attualità: oggi, molto più di allora, possiamo dire che la mancata conoscenza della dottrina e delle leggi della Chiesa sono la causa di molti mali che l’affliggono.
Contrariamente alla vulgata progressista, che accusa il Catechismo dei fanciulli di nozionismo e di rigidità pedagogica, il Papa era ben consapevole che la trasmissione della fede avviene da uomo a uomo, nella relazione fra persone, seppure mediante strumenti adeguati. Tanto è vero che nella stessa lettera di presentazione del Catechismo aggiungeva: «Esortiamo vivamente nel Signore tutti i catechisti, ora che la brevità stessa del testo ne agevola il lavoro, a volere con tanto maggiore cura spiegare e far penetrare nelle anime dei giovanetti la dottrina cristiana, quanto maggiore è oggidì il bisogno d’una soda istruzione religiosa, per il dilagare dell’empietà e dell’immoralità. Ricordino sempre che il frutto del Catechismo dipende quasi totalmente dal loro zelo e dalla loro intelligenza e maestria nel rendere l’insegnamento più lieve e gradito agli alunni». Osservazione che rinvia a un altro fronte caldo nella situazione attuale della Chiesa: il reclutamento dei catechisti, che avviene non di rado con sconcertante superficialità.
Negli anni successivi al Concilio Vaticano II, il Catechismo di san Pio X cadde in disuso e fu progressivamente abbandonato. Ma nel 2003, in un’intervista al settimanale “30 Giorni”, l’allora cardinale Ratzinger dichiarava che «la fede come tale è sempre identica. Quindi anche il Catechismo di san Pio X conserva sempre il suo valore».
La grandezza di questo catechismo
Dunque, il futuro Papa restituiva ai fedeli uno strumento insostituibile. Che infatti era stato pensato e progettato con ogni cura possibile: la commissione che aveva lavorato al Catechismo di San Pio X si era preoccupata innanzitutto del linguaggio, affinché la complessa materia fosse resa con appropriatezza e facilità di comprensione.
In tal senso, fu geniale l’idea di formulare singole domande brevi con relative risposte incisive ed essenziali. Ne derivò un capolavoro, una cattedrale slanciata e luminosa nella quale il bambino avrebbe riconosciuto con nitidezza tutti gli elementi essenziali della fede. Crescendo, avrebbe poi gustato la ricchezza e la profondità di quelle nozioni, che fin da fanciullo il Catechismo gli aveva impresso nel cuore e nella mente come una preziosa abc della Salvezza eterna. La prestigiosa Enciclopedia Cattolica non a caso definiva il catechismo come «un breve compendio delle principali verità della fede e morale cristiana, steso in maniera chiara, precisa, facile a comprendere e ritenere, e prevalentemente in forma dialogica di domande e risposte fra maestro e discepolo». Chiarezza, precisione, facilità: il capovolgimento metodologico di questo sistema ha prodotto, negli ultimi decenni, effetti devastanti. Infatti, mettere il bambino davanti alla complessità del fenomeno cristiano significa condannarlo a un’approssimazione e a uno stato confusionale che si manifesta nella ignoranza sistematica intorno alle verità fondamentali della fede. I sacramenti, i sette vizi capitali, le opere di misericordia corporale e spirituale, i doni dello Spirito Santo, i novissimi, i cinque precetti generali della Chiesa, i dieci Comandamenti, le condizioni per una buona confessione sono – diciamoci la verità – ignoti alla maggior parte dei ragazzi battezzati, comunicati e cresimati. Se questo è accaduto, lo si deve in buona parte all’accantonamento del metodo e del “mezzo” di San Pio X.
Un evento di portata storica
Va anche ricordato che Papa Sarto, nel promulgare quel Catechismo, compiva un atto di straordinaria importanza per la storia della Chiesa. Infatti, fino a quel momento i catechismi erano stati una pluralità, frutto dell’iniziativa di singoli cattolici – per quanto autorevoli – e mai del Magistero ufficiale. Furono il Concilio di Trento e il clima controriformista scatenato dall’eresia luterana ad avvertire l’urgenza di una sintesi pedagogica della dottrina cristiana. Anche per rispondere a Martin Lutero, che nel 1528 pubblicò il Klein Katechismus, un catechismo per i fanciulli, dapprima in tavole – affinché si potessero appendere nelle case, come facevano i cattolici fin dai tempi di Carlomagno – e poi in un libretto in forma di domande e risposte semplici e chiare. In casa cattolica nel XVI secolo si diffusero il catechismo di San Pietro Canisio (1555), nelle due forme di maggiore (per i catechisti) e minore (per fanciulli e popolo). Nel 1566 venne dato alle stampe il Catechismo romano, frutto del Concilio di Trento. Che ispirò a San Roberto Bellarmino i suoi celebri catechismi, adottati da San Francesco di Sales e dal Cardinale Federico Borromeo. Nei secoli seguenti ne furono redatti molti altri, ma non pochi risultarono infetti di idee gianseniste e di gallicanesimo, il che obbligò la Chiesa a condannarli. Il Catechismo del 1912 costituisce una svolta epocale, perché sancisce un linguaggio e una formulazione unitari della dottrina. Le doti essenziali del Catechismo di San Pio X sono:
a. Dottrina sicura, per evitare errori e contraddizioni;
b. Scienza proporzionata alla cultura e allo sviluppo dei destinatari;
c. Conoscenza della psicologia evolutiva del fanciullo e del giovane, in modo da andare incontro a capacità e aspirazioni naturali;
d. Profonda convinzione religiosa, in modo da fare breccia nei lettori grazie a un sincero entusiasmo per la verità e la sua trasmissione;
e. Amore per Dio e per i discepoli, nella convinzione che ogni uomo ha un’anima da salvare anche grazie a quella dottrina da insegnare;
f. Naturalezza, intesa come conformità agli uditori, e capacità di ricorrere a parabole, immagini, esempi, aneddoti, racconti che sono il naturale sviluppo e approfondimento delle formule da imparare a memoria;
g. Chiarezza, affinché nessuna confusione o incertezza sia alimentata.
Papa Pio X – spesso descritto dalla pubblicistica progressista come uno zotico integralista – era ben consapevole della complessità della catechesi, e nella lettera di premessa al suo Catechismo scriveva, con freschezza commovente, lui che aveva “inventato” il sistema delle domande e risposte: «È sempre vantaggioso obbligare gli alunni ad esprimere anche con parole proprie le risposte studiate a memoria». Lo scriveva 100 anni fa.
IL TIMONE N. 118 – ANNO XIV – Dicembre 2012 – pag. 54 – 55
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