Uomo di fede, cattolico convinto. Si può definire così Napoleone Bonaparte? Che perseguitò la Chiesa e sequestrò il Papa? Forse sì, almeno alla fine della sua vita. Lo rivela un libro appena uscito. Con il consenso dell’editore, pubblichiamo la Prefazione del card. Biffi
Materialista e saccheggiatore di chiese e di conventi, miscredente e fedifrago, anticlericale e sequestratore del papa: questa è l’opinione che molti hanno di Napoleone Bonaparte, opinione tanto diffusa quanto acriticamente accolta. Se andiamo alle fonti, e in particolare a queste conversazioni, scopriamo qualcosa di strabiliante. Napoleone grida con fierezza: «Sono cattolico romano, e credo ciò che crede la Chiesa». Durante gli anni di isolamento a Sant’Elena Napoleone si intratteneva spesso con alcuni generali, suoi compagni di esilio, a conversare sulla fede. Si tratta di discorsi improvvisati che – come rivela uno dei suoi più fidati generali, il conte de Montholon – furono trascritti fedelmente e poi dati alle stampe da Antoine de Beauterne nel 1840. Dell’autenticità e della fedeltà della trascrizione possiamo essere certi, visto che, quando de Beauterne pubblica per la prima volta le conversazioni, sono ancora in vita molti testimoni e protagonisti di quegli anni di esilio. Napoleone ammette con candida onestà che quando era al trono ha avuto troppo rispetto umano e un’eccessiva prudenza per cui «non urlava la propria fede». Ma dice anche che: «Allora se qualcuno me lo avesse chiesto esplicitamente, gli avrei risposto: “Sì, sono cristiano”; e se avessi dovuto testimoniare la mia fede al prezzo della vita, avrei trovato il coraggio di farlo ». Soprattutto attraverso queste conversazioni impariamo che per Napoleone la fede e la religione erano l’adesione convinta, non a una teoria o a un’ideologia, ma a una persona viva, Gesù Cristo, che ha affidato l’efficacia perenne della sua missione di salvezza a «un segno strano», alla sua morte sulla croce.
Perciò non ci stupiamo se Alessandro Manzoni nell’ode Cinque Maggio, composta pochi mesi dopo la morte di Napoleone, dà prova di conoscere la sua fisionomia spirituale quando scrive:
Bella Immortal! Benefica
Fede ai trïonfi avvezza!
Scrivi ancor questo, allegrati;
che più superba altezza
al disonor del Golgota
giammai non si chinò.
L’Imperatore si sofferma a lungo con il generale Bertrand, dichiaratamente ateo e ostile alle manifestazioni di fede del suo superiore, regalandoci un’inaudita prova dell’esistenza di Dio, fondata sulla nozione di genio, e una lunga conversazione sulla divinità di Gesù Cristo. Degni della nostra ammirazione sono anche le considerazioni sull’ultima Cena di Gesù e i confronti tra la dottrina cattolica e le dottrine protestanti. Alcune affermazioni di Napoleone mi trovano singolarmente consonante. Ad esempio, quando dice: «Tra il cristianesimo e qualsivoglia altra religione c’è la distanza dell’infinito», cogliendo così la sostanziale alterità tra l’evento cristiano e le dottrine religiose. Oppure la convinzione che l’essenza del cristianesimo è l’amore mistico che Cristo ci comunica continuamente: «Il più grande miracolo di Cristo è stato fondare il regno della carità: solo lui si è spinto ad elevare il cuore umano fino alle vette dell’inimmaginabile, all’annullamento del tempo; lui solo creando questa immolazione, ha stabilito un legame tra il cielo e la terra. Tutti coloro che credono in lui avvertono questo amore straordinario, superiore, soprannaturale; fenomeno inspiegabile e impossibile alla ragione».
Alla luce di queste pagine non possiamo non ammettere che Napoleone non solo è credente, ma ha meditato sul contenuto della sua fede maturandone una profonda e sapienziale intelligenza. Questa a sua volta si è tradotta in fatti molto concreti: ha domandato con insistenza al governo inglese di ottenere la celebrazione della Messa domenicale a Sant’Elena; ha espresso gratitudine verso sua madre e de Voisins, vescovo di Nantes, perché da loro è stato «aiutato a raggiungere la piena adesione al cattolicesimo »; ha concesso il suo perdono a tutte le persone che lo hanno tradito.
Infine, le conversazioni riferiscono le convinzioni di Napoleone sul sacramento della confessione e i suoi rapporti con il papa Pio VII, rivelando che: «Quando il papa era in Francia, gli assegnai un palazzo magnifico a Fontainebleau, e 100.000 corone al mese; avevo messo a sua disposizione 15 vetture per lui e per i cardinali, anche se non uscì mai. Il papa era esausto per le calunnie in base alle quali si pretendeva che io lo avessi maltrattato, calunnie che il papa smentì pubblicamente».
Queste conversazioni non solo hanno lasciato un segno indelebile nella memoria dei generali compagni di esilio, ma hanno anche concorso alla loro conversione. Lo stesso generale de Montholon ammette che: «L’Imperatore era cristiano; presso di lui, la fede era un fatto naturale ed essenziale; amava manifestare i propri sentimenti religiosi, anche in occasioni non forIl mali. Era molto turbato quando gli capitava di assistere, o di evocare, comportamenti contrari alla religione. Allora, si dimostrava a disagio, non riusciva a celare il proprio malessere, la propria contrarietà e indignazione. Questo posso testimoniare, io che, durante la vita militare, avevo trascurato e addirittura dimenticato la mia religione, che peraltro non praticavo affatto. All’inizio, questi comportamenti di Napoleone mi stupivano, ma gradualmente sono arrivato a una consapevolezza intima e profonda delle mie stesse convinzioni religiose. Ho visto la religiosità dell’Imperatore, e mi sono detto: “è morto nella religione, con il timore di Dio”. Anch’io invecchio, e la morte si sta avvicinando anche per me, e perciò vorrei morire anch’io come il mio Imperatore.
Anche il generale Bertrand farà lo stesso percorso dell’Imperatore e mio, e anche lui diventerà credente come noi». Ci auguriamo, quindi, che il rinnovato e attento ascolto di queste conversazioni renda onore alla memoria di Napoleone e ottenga frutti di conversione.
DIO ESISTE! La “prova” di Napoleone
«Che cosa è Dio? Che cosa ne so io? Risponda lei, generale Bertrand, a questa domanda: Come giudica se un uomo è geniale? È una cosa che lei ha mai vista, dico il genio? Che cosa ne sa lei, per credere nel genio? La risposta è: si vede l’effetto, e da questo si risale alla causa, e si crede che questa causa esista. Le faccio questo esempio: quando durante una battaglia le cose si mettono al peggio, lei cosa fa? Comincia a guardare verso di me, per trovare una via d’uscita. Perché guarda a me? Perché ha l’istinto di credere nel mio genio; ne ha bisogno. Nel folto della mischia, quando le sorti della battaglia erano incerte, perché lei, generale, mi cercava con lo sguardo, e da ogni parte si sentiva gridare: dov’è l’Imperatore? E questo era il grido dell’istinto, e della fede in me.
Ecco, anch’io ho un istinto, una fede, una certezza, un grido che mio malgrado esce dal mio petto, quando rifletto e guardo la natura, e mi dico: Dio! Resto ammirato e grido: Sì, Dio c’è! Come le mie vittorie hanno convinto lei a credere in me; così l’universo mi fa credere in Dio. Io credo in Dio, a causa di ciò che vedo, e di ciò che sento. Questi effetti mirabili dell’onnipotenza divina non sono altrettanto eloquenti delle mie vittorie? Cosa vuole che sia la manovra militare più brillante, a confronto del movimento degli astri? Lei che crede al genio, mi dica, la prego, da dove vengono all’uomo di genio l’inventiva, l’ispirazione, l’intuito? Mi risponda! Qual è la causa prima di tutto ciò? Lei dirà che lo ignora. Anch’io. Ma il talento di cui parliamo non è forse altrettanto evidente e tangibile di tanti fatti?
Se ci sono tante differenze tra gli uomini, Qualcuno ha creato queste differenze, e questo Qualcuno non è né lei, né io. Resta che il genio è solo un vocabolo che non ci dice niente sulle sue cause. E se qualcuno mi obietta: Sono gli organi! Ecco, questa è una sciocchezza buona per un sempliciotto, non certo per me: mi capisce? Il suo spirito, generale, è forse uguale a quello del pastore che di qui vediamo nella valle a sorvegliare le pecore? Non c’è, tra il suo spirito e quello del pastore, la stessa differenza che c’è tra quello di un cavallo e quello di un uomo? Sì? Ma come fa ad affermarlo con tanta sicurezza? Lei in realtà non ha mai visto lo spirito di quell’uomo, perché lo spirito è invisibile. Però, lei ha parlato con quel pastore, gli ha fatto delle domande e dalle risposte lei ha capito chi egli sia; cioè lei ha capito la causa dagli effetti, e ha ragione. Certamente, la sua intelligenza, la sua ragione, insomma le sue facoltà sono superiori a quelle del pastore.
Ecco, a me gli effetti divini fanno pensare a una causa divina, perché c’è una ragione superiore, un Essere Infinito, che è la causa delle cause, ed è anche la causa della sua [di Bertrand] intelligenza. C’è un Essere Infinito in confronto al quale lei non è che un atomo; in confronto al quale anch’io, Napoleone, con tutto il mio genio, sono niente: lo capisce? Io lo sento, questo Dio, lo vedo, ne ho bisogno, credo in lui. E se lei non crede, peggio per lei. Ma a me la cosa sta a cuore alla buon’ora, generale, lei crede in Dio! Io perdono molte cose,ma ho orrore degli atei e dei materialisti. Cosa vuole che io abbia in comune con un uomo che non crede all’esistenza dell’anima, e che crede che l’uomo sia un mucchio di fango? Cosa vuole che io abbia in comune con un uomo che pretende che io sia, come lui pensa di essere, solo un mucchio di fango?». (tratto da: Napoleone Bonaparte, Conversazioni sul Cristianesimo. Ragionare nella fede, Pref. di Giacomo Biffi, Edizioni Studio Domenicano, 2013).
IL TIMONE N. 127 – ANNO XV – Novembre 2013 – pag. 48 – 49
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