È UN CARISMA ECCEZIONALE. Il pensiero di Gesù sull'argomento ci è notificato con straordinaria forza espressiva: "Vi sono eunuchi che sono nati così dal ventre della madre; ve ne sono alcuni che sono stati resi eunuchi dagli uomini, e vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il Regno dei cieli. Chi può capire, capisca" (Mt 19,12). Questa frase è inquadrata nella problematica circa la legittimità o illegittimità del ripudio, ma la trascende: non si tratta più del marito che in ogni caso deve stare unito alla moglie, ma dell'uomo che si pone nella situazione di non unirsi a nessuna donna. Il termine "eunuco" indica uno stato senza ritorno: niente è piùlontano dal pensiero di Cristo di un impegno a scadenza o di una dedizione soltanto provvisoria. Il Vangelo non conosce contratti a termine.
Gesù dice: "Non tutti possono capirlo, ma solo coloro ai quali è stato concesso" (Mt 19,11). Come si vede, la preferenza del Signore è nettissima; ma al tempo stesso egli suppone che sia un dono parsimoniosamente distribuito. In ogni caso, non così largamente come il dono dello stato sponsale. Dice anche: "Chi può capire, capisca". "Chi può capire": non è quindi una proposta rivolta a tutti. "Capisca" [chorèìto]: è un imperativo che manifesta il vivo desiderio che la possibilità sia di fatto tradotta in pratica.
PER IL REGNO. Il "Regno di Dio" o il "Regno dei cieli" (che finalizza il celibato evangelico e gli assegna la motivazione più profonda) esprime una realtà che è al tempo stesso escatologica ed ecclesiale. La castità perfetta liberamente decisa è una presenza nella vicenda annebbiata della storia del Regno futuro ed eterno al quale tutti aneliamo: essa è quindi profezia e anticipazione dell'universo risorto e glorioso, nel quale "non si prende né moglie né marito, ma si è come angeli nel cielo" (Mt 22,30).
Ma "per il Regno" vuoi dire anche: per favorire l'instaurazione e la dilatazione del Regno di Dio quaggiù e adesso, nella realtà della Chiesa, la quale è il Regno già presente sacramentai mente, come dice il Concilio Vaticano Il (Lumen gentìum 3: "Ecclesia seu Regnum Christi iam praesens in mysterio"). La storia della Chiesa lo conferma: basti pensare all'immensa carica di energia apostolica e di carità che lungo i secoli è stata immessa nel popolo di Dio dal carisma della verginità consacrata.
NECESSITÀ ECCLESIALE. La Chiesa, che vive pellegrina e quasi straniera sulla terra, ha un'assoluta necessità di tenere desta la sua speranza, cioè la sua tensione fiduciosa di arrivare a identificarsi pienamente con la Gerusalemme del cielo. A questo fine, essa ha bisogno che la realtà sovrumana e sovratemporale sia tenuta davanti ai suoi occhi e sia in qualche modo già delibata nei giorni del suo viaggio terreno. Le pregustazioni sono varie e tutte irrinunciabili: la parola di Dio, che già riflette la divina verità che nella gloria contempleremo apertamente; i sacramenti, che già ci comunicano, sia pure sotto i veli, la vita celeste; il banchetto eucaristico, in cui cominciamo a partecipare del banchetto escatologico. Allo stesso modo, la Chiesa non può far senza in nessun momento della sua storia del presagio e dell'anticipazione della nostra futura esistenza "come angeli del cielo" (Mt 22,30); presagio e anticipazione che ci sono offerti appunto dal "celibato per il Regno". Perciò la Chiesa deve salvare questo elemento del progetto del Padre e questa "preferenza" manifestata dal Signore, se vuoi essere integralmente fedele al suo Sposo e a se stessa.
PER LA REDENZIONE DELLA VITA SESSUALE. La "preferenza di Cristo" è stata per tutto il mondo antico – ebraico, greco, romano – una novità sconcertante e quasi "scandalosa".
Oggi è più attuale e urgente che mai tornare a presentare con energia questo aspetto "rivoluzionario" dell'Evangelo del Regno, perché ridoni equilibrio a una "cultura" che in questo campo appare largamente dissestata. La mentalità oggi dominante ritiene l'attività sessuale una specie di "assoluto", senza ragioni superiori che la illuminino, senza finalità e senza regole. Con questi risultati: il sesso è diventato angosciante e alienante, come tutto ciò che è naufragato nella palude dell'insignificanza.
Questa "cultura" non deve essere accarezzata, deve essere sfidata. Proponendo la castità totale e definitiva come libero, possibile, auspicabile ideale di vita, il cristianesimo sfida l'insipienza mondana con la provocazione della "stoltezza di Dio", che è la sola sapienza da cui possiamo essere salvati. La prima e più impellente misericordia di cui abbiamo tutti bisogno è la luce della verità.
Secondo questa verità, il rapporto sessuale, lungi dall'essere un "assoluto", è di sua natura "relativo": relativo all'amore, del quale deve essere conseguenza e manifestazione; relativo alla vita, alla cui trasmissione deve essere aperto; relativo, nel fondo del suo essere, al mistero sorgivo di questo ordine di cose, cioè il mistero del "Christus totus" (del "Cristo totale", "Capo" più "Corpo" uniti in una "sola carne", secondo Ef 5,22-32), del quale la realtà nuziale è immagine palpitante.
La verginità cristiana, offrendosi come altra e più immediata "icona" delle nozze eterne tra il Signore e l'umanità redenta, richiama la relazione uomo-donna al suo ideale e alla sua giusta misura; ideale e misura che non le consentono alterazioni mondanizzanti se non a prezzo di snaturarsi e di perdersi.
IL CELIBATO ECCLESIASTICO. Appunto perché è attenta alla "preferenza di Cristo", la Chiesa ha istituito un collegamento organico tra celibato volontario e sacerdozio ministeriale. È una decisione sua, di indole storica, libera, di fatto. Ma è una decisione legittima, perché è posta entro l'ambito della sua potestà disciplinare e non lede i diritti di alcuno. Ed è una decisione intrinsecamente motivata, il cui significato bisogna saper cogliere e avvalorare, alla luce della missione salvifica del Signore Gesù.
IL CELIBATO DI CRISTO. Domandiamoci: perché Gesù non si è sposato, pur essendo arrivato a un'età considerata matura, ed essendo vissuto in una società che non aveva la consuetudine celibataria tra le scelte apprezzate? Non è possibile considerare questo fatto come occasionale e irrilevante, perché tutto in Cristo è finalizzato e significante. Il celibato di Cristo ha senza dubbio un'indole manifestativa: è la prova che l'umanità non è rimasta preda dell'abbandono e della solitudine, ma al contrario è chiamata a entrare in una comunione sponsale col suo Salvatore e Signore.
IL CRISTO SPOSO. Gesù è solo apparentemente celibe. In realtà è lo "Sposo" in senso assoluto: non si sposa perché è già sposato. Egli è sposo nei confronti dell'umanità redenta e rinnovata, cioè della Chiesa.
Che cosa vuoi dire il suo "essere sposo" nei confronti della Chiesa? Vuoi dire che Cristo è "capo" della Chiesa, la quale è perciò il suo "corpo", ed è sottomessa a lui. Vuoi dire che l'ha presa dalla corruzione del mondo, le ha dato il suo nome, e così l'ha riscattata: egli è "il salvatore del corpo" (Ef 5,23). Vuoi dire che l'ha amata e la ama, al punto da dare se stesso per lei (Ef 5,25). Vuoi dire che la rigenera e la purifica continuamente per mezzo dei sacramenti e della parola di Dio (Ef 5,26).
Come si vede, l'indole sponsale di Cristo evoca tutte le funzioni di "guida", di "maestro", di "santificatore", alle quali il Risorto, mandato dal Padre, associa gli apostoli (Mt 19-20) cioè coloro che sono mandati da lui: "Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi" (Gv 20,21).
IL "SACRAMENTO" DEL CRISTO SPOSO. Il sacerdozio ministeriale sostanzialmente è perciò un'oggettiva partecipazione (mediante l'ordine sacro che immette nella trama della missione che si diparte dal Risorto) alla prerogativa nuziale del Signore Gesù. Il sacerdote è dunque una specie di sacramento del Cristo Sposo nell'atto della sua multiforme donazione alla Chiesa, ed è chiamato a condividere il medesimo amore sponsale – o, che è lo stesso, la medesima carità pastorale che colma il cuore del Salvatore.
Per la sua diretta comunione con la natura sponsale del Crocifisso risorto e vivo, anche il sacerdote ministeriale – come lui, con lui e in lui – possiede già quel "mistero" nuziale originario, di cui il matrimonio tra l'uomo e la donna è solo figura. Anche lui "possiede la sposa"; e "chi possiede la sposa è lo sposo" (Gv 3,29).
Sotto questo profilo, il sacerdote già ordinato che volesse contrarre matrimonio darebbe luogo a un non-senso teologico: aspirerebbe ad avere "in figura" ciò che è già suo nella pienezza della realtà.
Questa conclusione trova conferma nella disciplina canonica che, dopo qualche incertezza, alla fine è prevalsa tanto nella Chiesa orientale (anche ortodossa) quanto in quella occidentale. Per venire incontro alle necessità pastorali delle comunità cristiane sono ammessi sì casi precisi di ordinazione di coniugati (diaconi e presbiteri per la Chiesa orientale, diaconi per la Chiesa occidentale); ma tutte le Chiese che hanno conservato un'effettiva dimensione sacramentale e un vero sacerdozio ministeriale convengono nel non riconoscere la facoltà di contrarre matrimonio ai sacri ministri (diaconi, presbiteri, vescovi).
UNA VISIONE DI FEDE. È evidente a questo punto che ogni ragionevolezza, ogni stima, ogni praticabilità del celibato – sia del celibato di consacrazione sia del celibato sacerdotale – sussistono all'interno di una piena adesione, per illuminazione dello Spirito Santo, all'effettivo disegno salvifico del Padre e all'avvenimento pasquale. Solo condividendo la mentalità di Cristo, unico Signore e Maestro, si può operare una scelta come questa che tocca le radici della nostra umanità.
Coloro che non hanno la "mentalità" di Cristo (vedi 1 Cor 2,16) non potranno mai capirlo, ed è inutile ascoltare il loro parere: "L'uomo naturale non comprende le cose dello Spirito di Dio; esse sono follia per lui, e non è capace di intenderle, perché se ne può giudicare solo per mezzo dello Spirito" (1 Cor 2,14). È un fondamentale insegnamento di san Paolo, di cui dovremmo oggi ricordarci più spesso.
IL TIMONE N. 37 – ANNO VI – Novembre 2004 – pag. 48 – 49
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