Nel 2001 cadono diverse ricorrenze che possono interessare i cattolici. Uno è il ventennale dell’inizio delle apparizioni di Medjugorje. L’altro è un centenario che nessuno ricorderà, e forse è meglio così perché non rammenta niente di buono. Val la pena, però, di rifarne qui la cronistoria, che sarà istruttiva. Infatti, esistono due tipi di persecuzione: una è quella classica, cruenta; l’altra è più sottile ma non meno insidiosa.
Quest’ultima, conscia del fatto che il sangue dei martiri è seme di cristiani, sceglie la via dell’intimidazione, dello scoraggiamento, dello stillicidio burocratico. Sa che, antropologicamente, i fedeli sono persone pacifiche, politicamente moderate, refrattarie alle piazzate e ai tumulti. Diversamente da quanti pongono tutte le loro speranze in ideologie terrene, lavorano e pregano senza strepito, incuranti di chi comanda: purché applichi la giustizia e faccia funzionare le cose, si assida in trono chi vuole. Ci sono minoranze che scatenano l’iradiddio al minimo attentato ai loro “diritti”; non credendo alla Provvidenza, non possono far altro che lottare con i denti per la loro fetta di “paradiso” qui e adesso. E, possibilmente, imporre la loro idea di “paradiso” a tutti. Cento anni esatti fa, il governo francese sparava a raffica tutta una serie di leggi che di fatto dissolvevano gran parte delle congregazioni religiose. Tra queste ultime, una in particolare ci interessa, quella dei Padri Missionari di Garaison, che servivano nel santuario di Lourdes fin dal 1866. Era la prima mossa di un piano più ambizioso che prevedeva la nazionalizzazione dei beni della Grotta. Il vescovo locale, Schoepfer, fece (ci si passi l’espressione) il diavolo a quattro per opporsi a questo abuso amministrativo, una delle vie soft con cui le élites anticlericali al potere in Francia cercavano di far morire per asfissia la “superstizione” cattolica.
Alle “masse fanatizzate dal clero” andava, per così dire, tolta la sedia da sotto le terga; in particolar modo quel santuario pirenaico che vedeva crescere in proporzione geometrica l’affluenza di pellegrini da tutto il mondo. E il vescovo alle misure legali rispose per vie legali. Fortunatamente c’era un giudice a Berlino; anzi, a Bagnères-de-Bigorre, il cui tribunale in data 28 gennaio 1904 diede ragione a lui. Il pubblico ministero fece ricorso, ma anche la corte d’appello di Pau non potè fare altro che confermare la sentenza di primo grado il 7 febbraio 1905. I due gradi di giudizio stabilirono che del tutto legittimamente i beni della Grotta facevano parte della mensa episcopale, salvo tre ettari che vennero venduti all’asta. E che il vescovo dovette svenarsi per ricomprare. Se ancora oggi tutta la spianata del santuario e della Grotta è al riparo dalle bancarelle e dalle rivendite di qualsiasi cosa (dai rinfreschi ai ricordini) è proprio grazie alla lungimiranza del parroco Peyramale (quello che protesse Bernadette) e del suo vescovo, i quali si diedero immediatamente da fare per acquistare l’intera area onde riservarla alla Chiesa e al culto. Ma si trattava di una preda golosissima per la speculazione: se si fosse riusciti ad assegnarla allo Stato “laico”, questo l’avrebbe sicuramente messa all’incanto, coi risultati che possiamo immaginare. Infatti, pochi mesi dopo la sentenza definitiva, il governo corse ai ripari con un’altra legge, sancendo il 9 dicembre 1905 la totale separazione della Chiesa dallo Stato. La legge era nuova; e i tribunali aditi dal vescovo avevano dato ragione a quest’ultimo, sì, ma alla luce della legge precedente.
Morale: il 26 gennaio 1907 un alto funzionario statale arrivò a Lourdes per eseguire l’inventario dei beni dei ventiquattro ettari del dominio della Grotta. Il vescovo dovette invitare la popolazione alla calma.
Tutto fu scrupolosamente censito: basilica, cripta, chiesa del Rosario, vasi sacri, paramenti, la casa del vescovo e dei canonici, gli ospizi per i malati eccetera.
Il giorno seguente, il vescovo cedette ogni cosa in usufrutto novennale a due fidati cattolici di Lourdes. Questa mossa era perfettamente legale e il governo dovette abbozzare.
Ma ritornò alla carica con un’ulteriore legge nell’aprile del 1908; quest’ultima assegnava ai comuni gli oggetti attinenti al culto e il resto all’Ufficio (statale) di Beneficenza. Il 9 aprile 1910 un decreto precisava che anche il dominio della Grotta ricadeva sotto il dettato della legge. Ma non si erano fatti i conti col consiglio comunale di Lourdes. Il quale, cinque giorni dopo, decise all’unanimità di assegnare quei beni all’autorità diocesana come deposito intangibile. E, qualche mese appresso, il sindaco Justin Lacaze assegnò al vescovo, in usufrutto per diciotto anni, quel che rimaneva. Alla morte del vescovo il dominio della Grotta passò in affitto al parroco di Lourdes, Méricq. E così, di escamotage in escamotage, si dovette giungere al febbraio 1941 per veder risolvere questa storia una buona volta. Poiché la Francia a quel tempo era occupata dai tedeschi, fu il governo di Vichy, retto dal maresciallo Pétain, a restituire definitivamente il dominio della Grotta all’Associazione diocesana di Tarbes e Lourdes. Erano passati ottantatré anni meno un mese dall’ultima delle apparizioni della Madonna a S. Bernadette. Nel 1935 il legato pontificio Eugenio Pacelli aveva visitato la Grotta. Nel 1939 diventò Pio XII, il papa che pubblicò un’enciclica sul pellegrinaggio di Lourdes.
Nel 1946 ci andò il nunzio apostolico Giovanni Roncalli.
IL TIMONE N. 14 – ANNO III – Luglio/Agosto 2001 – pag. 52-53