Il diciannovesimo concilio ecumenico. Convocato per rispondere alla crisi del corpo mistico di Cristo e all’eresia della Riforma. Modificò profondamente l’assetto pastorale della Chiesa e affrontò con precisione tanti dubbi sollevati dalla polemica protestante
La diffusione della Riforma
Martin Lutero (1483-1546), il rude monaco agostiniano di Wittenberg, agitò acque divenute stagnanti. Dominato da un radicale pessimismo circa la natura umana (homo semper peccator), ritenne che solamente lo Stato avesse la forza per imporre il compimento del bene ai sudditi e perciò volle lanciare la nota parola d’ordine “via da Roma”, affidando tutto il potere ai principi. Tolta alla Chiesa l’interpretazione autentica della Sacra Scrittura, ogni fedele si riteneva in grado di capire le Scritture. I sacramenti furono ridotti a due, Battesimo ed Eucaristia, ma quest’ultima ridotta a semplice rievocazione della Cena del Signore. Il monachesimo fu abolito perché giudicato contro natura; i ministri del culto si sposavano ritenendo il celibato fonte di abusi; le pratiche ascetiche come digiuno e astinenza furono abbandonate come inutili; il patrimonio della Chiesa fu confiscato e i ministri del culto ridotti a funzionari statali. La vera Chiesa era invisibile e formata solamente dai predestinati alla salvezza.
Uldrych Zwingli (1484-1531), a Zurigo, fu ancora più radicale di Lutero. Escluse che nell’Eucaristia ci fosse qualcosa di più di una mera presenza spirituale di Cristo. Giudicò idolatria il culto delle immagini, delle reliquie, della Madonna e dei Santi, favorendo una vera e propria iconoclastia che ha distrutto gran parte del patrimonio artistico presente in Europa.
Giovanni Calvino (1509-1564), a Ginevra, ritenne di edificare la nuova Gerusalemme assegnando il potere nella città al Concistoro, formato da Anziani e Pastori, l’organo democratico che vigilava sulla moralità pubblica e provvedeva all’istruzione e all’assistenza pubblica mediante i Dottori e i Diaconi. L’Accademia di Ginevra divenne una severa scuola superiore di addestramento a predicatori che si recavano in ogni parte d’Europa per combattere l’idolatria papista.
Anche l’Inghilterra di re Enrico VIII (1491-1547), nel 1534, passò alla Riforma nella peculiare forma anglicana che, almeno all’inizio, si proponeva solamente lo scisma, conservando intatto il patrimonio dottrinale dell’antica Chiesa. In seguito, le mutevoli esigenze della politica imposero numerosi aggiustamenti che collocano la Comunione anglicana tra le comunità cristiane uscite dalla riforma protestante.
L’importanza del “sacco di Roma”
Nel 1527 avvenne un fatto di enorme importanza simbolica, il “sacco di Roma” attuato da lanzichenecchi luterani e da reparti dell’esercito spagnolo, ossia di cattolici, ma con enormi conseguenze pratiche sul futuro sviluppo del Rinascimento italiano. Infatti, gli umanisti e gli artisti che avevano dato vita a quella stagione artistica, per alcuni versi ineguagliata, si dispersero in giro per l’Italia. Gli intellettuali percepirono quegli avvenimenti come un giudizio di Dio che condannava il neopaganesimo implicito nel Rinascimento: molti perciò indirizzarono la loro azione in direzione propriamente religiosa. Papa Clemente VII (1523-1534) temeva un concilio che, indetto in quelle condizioni, si sarebbe espresso in termini ostili all’accentramento romano. Per di più c’era una guerra continua tra la Francia di Francesco I e l’Impero di Carlo V.
Clemente VII morì nel 1534 e a succedergli fu eletto il cardinale Alessandro Farnese, Paolo III da papa (1534-1549), ben deciso a operare la riforma interna della Chiesa ricorrendo al Concilio, convocato e rimandato più volte, finché poté riunirsi a Trento nel dicembre del 1545. Il lavoro compiuto a Trento, nel corso di diciotto anni, fu enorme, reso possibile dalla riforma avvenuta in precedenza nella Chiesa di Spagna per opera del cardinale Francisco Jiménez de Cisneros (1436-1517) e dalla celebre Università di Salamanca, illustrata dal magistero di Francisco de Vitoria (1483-1546). Dalla scuola di Salamanca uscirono i teologi che a Trento fornirono il supporto filosofico ai canoni che precisavano le dottrine da ritenere ortodosse.
A Trento
I lavori del concilio di Trento si svilupparono in tre periodi. Il primo, sotto Paolo III, conobbe quattro sessioni solenni. Nella prima fu stabilito il canone definitivo dei libri da ritenere ispirati nella Bibbia per l’Antico e il Nuovo Testamento (De Sacris Scripturis), compresi i libri deuterocanonici, ossia non riconosciuti dagli Ebrei, e la Lettera di Giacomo, rifiutata da Lutero. Poi cominciarono le discussioni sui sacramenti, ma i lavori si arrestarono nel 1547 quando era in discussione l’Eucaristia. La sede del concilio fu trasferita a Bologna, ma ben presto i lavori furono sospesi a causa dell’opposizione dell’imperatore Carlo V d’Asburgo (1500- 1558).
Papa Giulio III (1550-1555) decise la ripresa dei lavori nel 1551, alla presenza di qualche vescovo luterano che avrebbe voluto ricominciare tutto da capo, ma i lavori furono interrotti da un rovescio militare di Carlo V, che corse il rischio di essere catturato. Nei dieci anni successivi il Concilio non fu più riunito a causa delle guerre europee e della nomina, nel 1555, del papa Paolo IV (1555-1559), che riteneva di poter riformare la Chiesa mediante il solo magistero papale e con il ricorso ai metodi forti, come l’Inquisizione e l’Indice dei libri proibiti, mentre è chiaro che quei metodi, da soli, non procurano la conversione dei cuori. Nel 1559 fu nominato il cardinale Gianangelo Medici, Pio IV da papa (1559- 1565), aiutato da un giovanissimo nipote, Carlo Borromeo (1538- 1584). Nelle ultime sessioni, dalla ventiduesima alla venticinquesima, fu compiuto un lavoro gigantesco: fu conclusa la discussione sull’Eucaristia, evidentemente il sacramento più importante; sulla Messa come rinnovamento del sacrificio del Calvario e rievocazione della Cena; sul sacramento dell’Ordine sacro; sul sacramento del matrimonio; sul Purgatorio e le indulgenze; sulla pia venerazione delle immagini sacre. Altre questioni, come l’inerranza papale in tema di dogma e di morale, furono rimandate per non compromettere i risultati raggiunti.
Quando fu letto per intero il testo da sottoporre all’approvazione papale, l’assemblea dei vescovi fu colta da profonda commozione. Molti dei presenti ebbero l’impressione quasi fisica dell’intervento dello Spirito Santo. La dottrina dei sacramenti appariva ben fondata e in continuità con la Tradizione. Il linguaggio filosofico impiegato era condiviso e sembrava in grado di assicurare l’unità dottrinale. I mezzi per trasmettere la dottrina, in primo luogo il potere dei vescovi che riassumevano la completa responsabilità della guida pastorale delle loro diocesi con la creazione dei nuovi seminari vescovili, sembravano prospettare una nuova primavera della Chiesa. La riforma morale degli antichi Ordini religiosi e l’approvazione di nuove fondazioni che assunsero la forma più agile di Congregazioni religiose sembravano assicurare alla Chiesa il ritorno ai tempi del maggiore fervore religioso.
Papa Pio IV si affrettò ad approvare i decreti. Dopo la sua morte fu eletto il cardinale Michele Ghislieri, Pio V da papa (1504-1572), che si incaricò di completare il lavoro compiuto con il Messale, il Breviario, il Catechismo del concilio di Trento. Il cardinale Carlo Borromeo raggiunse Milano, la sua diocesi, dove dette inizio alle visite pastorali, all’istituzione dei seminari, a una predicazione più abbondante e qualificata, alle scuole di dottrina cristiana per giovani e per adulti, alla diffusione della devozione alla Madonna con Santuari e Sacri Monti che conquistarono il favore popolare. In particolare fu rinnovato l’impegno per l’assistenza (ospedali, orfanotrofi, ospizi, scuole ecc.), l’unica forma di assistenza pubblica di allora.
Il giudizio degli storici
La storiografia più recente appare critica nei confronti delle decisioni del Concilio di Trento. Secondo alcuni storici avvenne una specie di chiusura nei confronti del protestantesimo. Ci sarebbe stato un eccesso di attività legislativa in luogo di più adeguate attività pastorali. In altre parole, a Trento sarebbe stata creata una Chiesa in assetto di combattimento, pronta al duello con i protestanti. Tuttavia si può obiettare che occorreva fissare la dottrina cattolica in modo più rigoroso, per evitare l’equivoco che aveva caratterizzato i primi decenni di diffusione del protestantesimo, approfittando della diffusa ignoranza, della mancata comprensione del mistero cristiano. Intorno al Concilio di Trento ci furono alcuni santi che hanno impresso un’immagine duratura alla teologia spirituale, alla mistica cattolica, in qualche modo rese popolari. Le scuole domenicali di catechismo diffusero una buona conoscenza della morale e delle esigenze del matrimonio cristiano. Il clero assunse un prestigio e un decoro molto superiore al passato. Anche la pietà popolare apparve più profonda, meno intrisa di superstizioni o di credulità miracolista. La storia della pietà popolare rivela che, quando cominciò la Rivoluzione francese, solamente le élites illuministe erano ostili alla Chiesa e che la miscredenza era un fenomeno marginale a livello popolare. Appare chiaro che non si vive di rendita: per salvare la cultura occorre continuare a creare nuova cultura anche nella Chiesa. Gli istituti approvati a Trento possono non rispondere pienamente ai problemi attuali, caratterizzati da aspetti che non è necessario ricordare. Sarebbe un errore rimpiangere i bei tempi passati, ma è un errore ancora più grave misconoscere l’importanza avuta dai mezzi pastorali decisi a Trento per traghettare la Chiesa cattolica fino al Concilio Vaticano II, il ventunesimo di una serie che include il diciannovesimo come anello di estrema importanza.
IL TIMONE N. 100 – ANNO XIII – Febbraio 2011 – pag. 22 – 24
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