Per il suo nuovo, bellissimo, romanzo, Rino Cammilleri ha tratto ispirazione da una vicenda di fede e martirio fra le meno conosciute: le persecuzioni scatenate nel Giappone del XVII e del XVIII secolo dagli spietati signori feudali, gli seii taishōgun, e la reazione, conosciuta come rivolta di Shimabara. Ne è nato Il crocifisso del Samurai (Rizzoli, € 17, pp. 275), un romanzo epico e potente ma anche delicato e poetico, che intreccia le vicende di una coppia di giovani sposi alla storica sollevazione dei cristiani del Giappone meridionale. Scene di massa, dettagli di vita quotidiana, quadri della vita sociale del Giappone antico, il resoconto dell'avventurosa evangelizzazione del Giappone meridionale, e la storia d'amore fra il giovane apprendista Kato e la bella Yumiko, figlia del samurai cattolico Hideo Kayata, si fondono in un racconto storico attento al generale come al particolare che affascina per le sue lezioni storiche senza sacrificare le emozioni del racconto, l'intreccio e i colpi di scena.
I primi missionari ad entrare nel paese del Sol Levante furono il gesuita san Francesco Saverio e i suoi compagni, già nel 1549. Riuscirono a convertire migliaia di giapponesi; tra loro si contavano persone umili ma anche autorità militari ed intellettuali. Purtroppo, coloro che temevano di perdere il potere a causa delle continue conversioni, aizzarono i signori militari insinuando che l'evangelizzazione non fosse che la prima tappa in preparazione di un'invasione militare tramata, in particolare, dai Portoghesi. I timori prevalsero, ispirando, a partire dal 1587, la promulgazione dei primi editti anticristiani. L'intolleranza divenne presto un'aperta repressione che andò inasprendosi, per oltre mezzo secolo, sino a quando il cristianesimo non fu, apparentemente, estinto.
Durante le prime fasi di questa persecuzione circolò in forma scritta una rivelazione privata ricevuta – pare – da un missionario, che preannunciava l'apparizione di un ragazzo inviato da Dio, Sanfruranshisuko, «simile a san Francesco", cui gli animali avrebbero ubbidito. E apparve, effettivamente: aveva sedici anni e fu chiamato Amakusha Shiro. Nel 1637, attorno a lui, si riunirono i cristiani sopravvissuti ai primi cinquant'anni di persecuzioni, che provenivano quasi tutti dalle isole meridionali dell'arcipelago giapponese, e in particolare da Kyūshū e dall'arcipelago Amakusha.
Decisero di sollevarsi in armi per difendere le loro case, le loro famiglie e la loro fede.
Inizialmente erano pochi e male armati, ma con il passare delle settimane aumentarono al punto da allarmare seriamente i potenti signori feudali. La resistenza si attestò per quasi sei mesi all'interno del castello di Hara, posto su un promontorio della penisola di Shimabara. È su questa fase che si concentra principalmente l'attenzione del romanziere Cammilleri, che sposta il fuoco del suo racconto ora sui drammi degli umili, ora sui tormenti dei potenti, ora sulle masse degli eserciti, in un'alternanza di scene d'interni e di esterni di grande effetto che bene rievoca l'atmosfera del Giappone di quel tempo, i suoi colori e la sua natura.
Assediati da un formidabile esercito composto da 200.000 uomini guidato prima dal vecchio generale Itakura Shigemasa e poi dallo spietato Matsudaira Nobutsuna, i cristiani resistettero alla fame, alle frecce incendiarie, alle incursioni dei micidiali ninja e alle proposte di resa in cambio dell'apostasia. Infine, dopo una resistenza eroica, protrattasi allo stremo, il castello di Hara fu espugnato nell'aprile del 1638. Nel massacro morirono circa 35.000 cristiani, metà dei quali donne e bambini, che cercavano soltanto libertà di culto e la possibilità di vivere senza essere rapinati da tasse e balzelli.
Su questa storia scese il silenzio e le rovine del castello di Hara vennero lentamente ricoperte dalla vegetazione. Nel 1639, il potere degli shogun decise per una rigida politica isolazionista senza deroghe e l'arcipelago divenne sakoku, il "paese chiuso". Per i successivi due secoli, il Giappone rimase impermeabile ad ogni influsso occidentale e ogni attività di evangelizzazione fu proibita. Sino al 1854, quando il periodo di isolamento si concluse. A partire all'anno successivo, i primi gesuiti ripresero la loro attività nella zona meridionale, dove due secoli prima si era consumata la grande tragedia. Uno di questi missionari fu padre Bernard de Petitjean al quale Cammilleri dedica un capitolo toccante.
Approdato a Nagasaki nel 1855, il sacerdote pensava di ricominciare da zero l'opera di Francesco Saverio. Accadde però l'inatteso. Mentre recitava il rosario nella piccola chiesa dedicata ai Ventisei Martiri crocifissi nel 1597, fu avvicinato da alcune donne che, commosse, gli rivolsero una frase strana: «Il nostro cuore è come il tuo». Alla sconcerto di Petitjean, le donne aggiunsero: «Siamo Kirishitan, cristiani». Il gesuita è incredulo: possibile che esistano ancora cristiani dopo duecento anni? Per convincerlo, le donne lo accompagnano in un villaggio distante dieci chilometri da Nagasaki, dove la fede è stata conservata per nove generazioni. I "cristiani nascosti", o Kakure Kirishitans, nei momenti peggiori furono costretti a nascondersi nelle grotte della valle del Kintsuba. La conoscenza della Bibbia veniva trasmessa oralmente; per la devozione nei confronti dei santi, di Cristo e di Maria, usavano delle statuette che assomigliavano al Buddha o alle figure della religione tradizionale giapponese, lo Shinto. La Madonna, per esempio, era raffigurata simile alla grande dea primordiale Amaterasu o all'effige buddhista della misericordia, Kannon.
Ma dentro alle statuette cave venivano conservati dei piccoli crocifissi. Anche le preghiere suonavano buddhiste ma contenevano tutti gli elementi che facevano di esse delle vere preghiere cristiane. Non c'erano preti (espulsi o uccisi nel corso dei primi cinquanta o sessant'anni di repressioni), ma laici diaconi e "battezzatori", che avevano conservato il ricordo della sollevazione del 1637-1638. Nel 1945, Nagasaki era tornata ad essere, come nel Cinquecento, la principale città cattolica del Giappone. Per insondabili ragioni fu prescelta come obiettivo della bomba atomica. Così fu incenerita, in un istante, gran parte della comunità cattolica del paese.
In conclusione, Il crocifisso del Samurai è una lettura da consigliare sia al curioso di storia che al lettore di romanzi. Scartando i tanti libri a sfondo storico pieni di "rivelazioni" fasulle e velenose, concedetevi un libro appassionante, ben scritto e ispirato ad una storia vera, nella quale, peraltro, non mancano aspetti misteriosi e provvidenziali.