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11.12.2024

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Il culto a Dio
1 Febbraio 2014

Il culto a Dio



Sappiamo bene che il desiderio di Dio è profondamente inscritto nel cuore dell’uomo in virtù del fatto che questi è stato creato da Dio e per Dio. Inoltre, è opportuno ricordare come tale desiderio si sia manifestato esteriormente in tutti i tempi e i luoghi attraverso il bisogno naturale dell’uomo di prestare culto alla divinità.
In genere è possibile notare come il culto a Dio possieda sia una dimensione interna ed esterna, sia una dimensione individuale e comunitaria. Infatti, l’uomo rende culto a Dio non solo nel suo cuore, ma anche con gesti e riti esterni e ancora non solo isolatamente, ma soprattutto in quanto membro di una comunità di credenti.
Orbene, a differenza delle religioni naturali, nella tradizione giudaico- cristiana Dio stesso ha insegnato al suo popolo a ringraziarlo e adorarlo nel modo a Lui più gradito. In questa maniera l’uomo, essendo istruito da Dio stesso, è in grado di prestargli culto nel modo più conveniente, ottenendo, peraltro, due importanti risultati: la piena glorificazione di Dio e la copiosa santificazione di se stesso attraverso i doni del Creatore.
Caratteristica della religione rivelata è allora il fatto che l’essere umano non cerca di rendere culto a Dio solo in base alle sue proprie idee e intuizioni, ma è il Creatore che prende l’iniziativa e nel cammino verso la salvezza insegna all’uomo, in maniera graduale e potremmo dire pedagogica, il modo appropriato di rendergli culto. Prove di questo rapporto le troviamo già nell’Antico Testamento che, a dire il vero, presenta una accentuata dimensione normativa e prescrittiva dell’aspetto cultuale e rituale. Basterà ricordare le minuziose indicazioni che nel Libro dell’Esodo Dio dà a Mosè per la costruzione della Tenda-Dimora: «Faranno un’arca di legno d’acacia, lunga due cubiti e mezzo, larga un cubito e mezzo e alta un cubito e mezzo. La ricoprirai d’oro puro, la ricoprirai dentro e fuori: farai sopra di essa un bordo d’oro, d’intorno» (Es 25,10-11); oppure: «Farai un velo di porpora viola, di porpora rossa, di scarlatto e di bisso ritorto: sarà ornato artisticamente di cherubini. Lo porrai su quattro colonne d’acacia ricoperte d’oro, con gli uncini d’oro alle quattro basi d’argento» (Es 26,31-32); per la creazione delle suppellettili e delle vesti sacerdotali: «Ecco le vesti che faranno: pettorale, efod, mantello, tunica incastonata, turbante e cintura» (Es 28,4); fino alla puntuale descrizione dei vari riti tra i quali quello di consacrazione dei sacerdoti, quello di consacrazione dell’altare degli olocausti e quelli stabiliti per i vari sacrifici (Es 29; Lv 1-8).
E proprio in virtù del fatto che culto ed ethos sono profondamente legati, oltre all’insegnamento morale che Dio consegna nelle Tavole e che porterà il popolo eletto a riscoprire gradualmente la sua più profonda e veritiera umanità, smarrita dopo il peccato originale, che l’Onnipotente riconduce l’umanità verso l’autentico modo di pregarlo e adorarlo, inquinato fino a quel momento dall’idolatria.
Ma questo è solo il primo passo della rivelazione che culminerà con il mistero del Verbo incarnato il quale, donando il suo stesso Spirito che rende capace l’uomo di adorare il Padre in spirito e verità, come ci ricorda San Giovanni, introduce l’umanità nel modo più perfetto di rendere culto a Dio.
Quindi, sebbene con l’avvento di Gesù venga stabilito il culto perfetto e possano ritenersi abolite le prescrizioni cultuali dell’Antico Testamento, non solo non svanisce la premura del Signore di accompagnare il suo popolo, ma addirittura giunge al suo massimo livello.
Infatti Gesù, nel mistero della sua Pasqua, rende al Padre l’atto di culto perfetto che affiderà anche sacramentalmente alla sua Chiesa attraverso l’istituzione dell’Eucaristia e rende ugualmente i suoi discepoli capaci di adorare il Padre in spirito e verità. In altre parole, all’uomo viene offerta la possibilità di glorificare il Padre per il Figlio nello Spirito Santo.
Il Signore insegna agli Apostoli come pregare e dà loro delle precise indicazioni per la preparazione dell’Ultima Cena nella quale Egli conclude le parole dell’istituzione con il monito «fate questo», per sottolineare il dovere di fare perennemente quanto aveva loro comandato.
Si comprende allora come i principali atti della liturgia siano stati sostanzialmente stabiliti dallo stesso Fondatore della Chiesa: il Sacrificio, i Sacramenti, la preghiera pubblica; mentre per quanto riguarda le modalità, questi siano stati completati dalla Chiesa in virtù di quel potere che lo stesso Signore Gesù ha conferito a Pietro e ai suoi successori.
Solo la riscoperta del giusto e indispensabile equilibrio tra lo ius divinum, ovvero ciò che è immutabile e preminente, e l’apporto umano nella liturgia, può permettere all’uomo di adorare Dio come a Lui si conviene, cioè in spirito e verità.



IL TIMONE N. 125 – ANNO XV – Luglio/Agosto 2013 – pag. 47

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