I Dieci Comandamenti sono il “libretto d’istruzione” che Dio ha consegnato alla sua creatura. E all’uomo giova osservarli: per rispettare la volontà divina e seguire la sua umana natura
I Premesse
1. I Dieci comandamenti
Le «Dieci Parole» («Decalogo») o i «Dieci Comandamenti » sono presentati dalla Bibbia come comunicati direttamente da Dio a Mosè, e ci sono offerti in due versioni sostanzialmente concordanti: quella del libro dell’Esodo (Es 20,2-17), che è la più antica, e quella del Deuteronomio (Dt 5,6-21). In questo elenco c’è la normativa fondamentale dell’agire umano.
2. Il parere di Gesù
Gesù accoglie questa normativa fondamentale dell’agire umano nel suo Evangelo (cf Mt 5,17: «Non pensate che io sia venuto ad abolire la legge»). Ad essa egli fa diretto riferimento nel rispondere a chi lo interroga su cosa bisogna fare per avere la vita eterna (Mc 10,19; Mt 19,17: «Se vuoi entrare nella vita osserva i comandamenti »). La sola novità che egli apporta è quella di chiarire che i dieci comandamenti, restando tutti in vigore, sono riassunti, illuminati, ispirati dal “comandamento dell’amore”.
3. Una diffusa allergia
Dobbiamo riconoscere che dagli uomini del nostro tempo, i comandamenti sono percepiti come imposizioni arbitrarie e comunque estrinseche al soggetto che agisce, il quale invece si ritiene giudice insindacabile del suo comportamento. «Non fare questo, non fare quest’ altro» è un discorso che pare inaccettabile ai nostri giorni. Soprattutto all’umanità “postsessantottina” – che ha tra i dogmi più venerati della sua mentalità che “è vietato vietare” – i comandamenti riescono particolarmente antipatici. Ma è un pensiero ingannevole e singolarmente insipiente: basterà riflettere un poco sulla loro vera natura.
II Che cosa sono i comandamenti?
1. Il libretto delle istruzioni
Non si tratta affatto di ingiunzioni insensate da parte di un Padrone tirannico e capriccioso: si tratta della nostra stessa natura, che in conformità all’autenticità della sua indole si rivela come legge a se stessa.
Se si è persuasi che esista un Creatore dell’uomo, diventa poi logico e necessario supporre che egli ci informi sui meccanismi e sull’uso corretto della natura umana che ci ha fornito. Non è, la sua, un’invadenza nei nostri affari; è semplicemente un attenersi al suo dovere di “costruttore” e un preoccuparsi del vantaggio dei suoi clienti. Possiamo tentare di rendere più chiaro e puntuale il discorso con un paragone: chi acquista un’automobile, poniamo una FIAT, riceve insieme il “libretto delle istruzioni”, dove sta scritto, per esempio, che bisogna immettere un tipo determinato di carburante, che bisogna cambiare l’olio ogni tanti chilometri, che bisogna controllare le gomme, ecc. Non è che con questo la fabbrica torinese attenti alla nostra sovranità di proprietari della vettura. Noi restiamo liberi, se vogliamo, di disattendere le sue cortesi avvertenze, e di fare il pieno con l’olio di fegato di merluzzo o con l’acqua ossigenata. Ma in tal caso la macchina ha il diritto di non partire e magari anche di guastarsi. Ebbene, il Decalogo non è che il “libretto delle istruzioni” che, per gentilezza del Creatore, accompagna la sua opera: se vogliamo avvalerci senza guai della natura umana che ci è stata elargita, sarà bene conformarci a quanto egli ci dice di fare.
2. Le clausole dell’Alleanza
Nella Rivelazione ebraico-cristiana i comandamenti – che pure sono anche iscritti nell’intimo di ogni uomo (così come le norme per l’uso di un’automobile, prima di essere un testo stampato, sono un dato oggettivo del meccanismo) – vanno inquadrati entro la vicenda d’Israele: evocano il dramma della storia salvifica e possiedono la carica appassionata del rapporto con il Dio che, riscattando, compagina la nazione che è suo possesso: «lo sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla condizione di schiavitù» (Es 20,2; Dt 5,6).
Non costituiscono dunque un insieme asettico di prescrizioni giuridiche: sono le clausole di un’alleanza, e sono motivate anche dalla gratitudine e dall’amore verso il nostro liberatore. Tra il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe e il suo popolo è stato sancito un patto: Dio si è impegnato a salvarci, e noi ci impegniamo a rispettare i suoi voleri come ci sono notificati dal Decalogo. Violare i comandamenti non è perciò un venir meno a un regolamento astratto e impersonale; è piuttosto un mancare di parola e tradire un amico.
3. Le «regole del gioco»
I Dieci Comandamenti sono anche le regole fondamentali del gioco della vita. Senza regole, nessun gioco è possibile; solo se ci sono regole comunemente riconosciute, il gioco è praticabile e divertente. In una partita di calcio, quasi tutti i partecipanti prima della fine commettono qualche infrazione, castigata da qualche intervento punitivo; ma poiché nessun giocatore contesta il regolamento, l’incontro può proseguire con soddisfazione sino alla fine. Se un gruppo di ragazzi si mette svogliatamente a tirar pedate alla palla, stabilendo che è possibile fare di tutto, senza limiti all’arbitrio di ciascuno, dopo cinque minuti si stancano e vanno a casa.
Perché oggi così tanti – anche fra i giovani – sembrano non provare molto gusto a vivere, sicché s’infittiscono i suicidi, le “stragi spensierate del sabato notte” e la micidiale stupidità della droga? È anche perché la mentalità diffusa non accetta più nessuna normativa morale; e una vita dove tutto è consentito è un gioco che a lungo andare si fa noioso e non è più sopportabile. Se Dio non esiste, tutto è lecito (come dice ineccepibilmente un personaggio di Dostoevskij); ma se tutto è lecito, tutto è banalizzato e insignificante.
Quello della nostra epoca è un caso serio. Sappiamo bene che anche in passato gli uomini hanno sempre trasgredito il Decalogo. Però in genere lo riconoscevano come norma; e la stessa ipocrisia del comportamento aveva almeno il valore di un’accettazione teorica e ideale di ciò che è giusto. Il male di oggi è nuovo: è quello di credere, di proclamare, di insegnare alle nuove generazioni che si può fare tutto ciò che si vuole e che i comandamenti non tengono più.
E invece tengono ancora per tutti, poveri e ricchi, privati cittadini e pubblici amministratori, uomini oscuri e personaggi osannati e famosi.
Tornare ad ammettere la loro universale efficacia imperativa significa dare ancora un po’ di speranza alla famiglia umana.
III «Non avrai altri dèi di fronte a me»
Il primo comandamento ha un’indole non solo fondamentale ma addirittura onnicomprensiva: tutti gli altri vi si possono considerare già inclusi. Perciò gli riserviamo un’attenzione unica, che vale per la retta intelligenza dell’intero Decalogo.
Il Dio che ha redento Israele non sopporta nessun concorrente: «Non avrai altri dèi di fronte a me» (Es 20,3; Dt 5,7). Può essere istruttivo e stimolante notare che questa pretesa di esclusività è un “unicum” nella storia delle religioni, perché i culti nell’antichità si tolleravano a vicenda e lasciavano sempre libertà ai fedeli di ricercare benedizioni anche da altre divinità. Invece, il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, come si vede, non ha nessuna propensione ecumenica: è il Dio della pace e della salvezza offerta a tutti i popoli (basterà citare a questo proposito il libro di Giona), ma non c’è in lui nessun irenismo nei confronti degli altri culti. E il Nuovo Testamento non ha un parere diverso. «Quale accordo ci può essere – scrive san Paolo – tra il tempio di Dio e gli idoli?» (2 Cor 6,16).
Sotto il profilo comportamentale si può anche aggiungere che questo comandamento totalizzante è il solo a essere davvero arduo e oneroso: chi riesce a rispettare integralmente il primo (e a capirlo in tutta la sua verità), non fa molta fatica ad accettare e a rispettare tutti gli altri. Nonostante che a prima vista non si direbbe, il difficile non è essere casti, onesti, veritieri: il difficile è avere un rapporto autentico, pieno, esauriente con il Dio che è il solo e che è tutto; il difficile è sgombrare la nostra mente e la nostra esistenza da ogni possibile idolo.
Sintesi per la catechesi
Ascolta Israele! Io sono il Signore Dio tuo:
1. Non avrai altro Dio all’infuori di me.
2. Non nominare il nome di Dio invano.
3. Ricordati di santificare le feste.
4. Onora il padre e la madre.
5. Non uccidere.
6. Non commettere atti impuri.
7. Non rubare.
8. Non dire falsa testimonianza.
9. Non desiderare la donna d’altri.
10. Non desiderare la roba d’altri.
IL TIMONE N. 105 – ANNO XIII – Luglio/Agosto 2011 – pag. 48 – 49
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