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13.12.2024

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Il «Facebook» della preghiera
2 Aprile 2014

Il «Facebook» della preghiera

Il successo di un social network creato da tre giovani spagnoli in cui le persone che hanno bisogno di un aiuto spirituale lo possono trovare da altre sparse in tutto il mondo. Non sempre è possibile vedere i frutti dell’orazione, ma qualche volta sì: come nel caso di Antonia Cabrera, la cui guarigione ha commosso il Cile

L’8 gennaio i media hanno dato risalto a una delle tante “improvvisazioni” del Papa in piazza San Pietro, quando passando in mezzo alla folla ha fatto salire sulla papamobile un emozionato sacerdote che lo salutava. Si trattava dell’argentino Fabián Báez, parroco di Nuestra Señora del Pilar, nell’esclusivo quartiere di Recoleta a Buenos Aires, conoscente di Bergoglio e a Roma di ritorno da un pellegrinaggio a Medjugorje.
Una coincidenza che ci dà il destro per introdurre il tema della puntata di questa rubrica. Don Fabián, infatti, oltre a essere un prete iperattivo nel suo ministero è anche un appassionato frequentatore del web, con i suoi profili Facebook e Twitter, ma anche con il sito della parrocchia che ha realizzato con gusto e professionalità. In patria si è fatto anche promotore di un progetto che viene dalla Spagna ma è in America Latina che ha incontrato un particolare favore, una delle scommesse più interessanti della galassia cattolica su internet. Si chiama “May Feelings” ed è un social network, come Twitter, Facebook o Linkedin, solo che, a differenza di questi, fa perno sulla preghiera.

Gioventù ribelle… con il rosario
La storia parte da tre ragazzi spagnoli che si incontrano in un collegio universitario a Madrid: Joaquín de los Rios del Campo, Santiago Requejo e Juan Bosco Ybarra. Tutti alle prese con studi di economia e diritto, uniti dalla fede e dal desiderio di riversare le proprie energie in qualche apostolato innovativo. E quale via più efficace oggi di internet? Iniziano con dei video, grazie anche alle competenze di Santiago, che ha fondato una piccola casa di produzione di audiovisivi. Nel 2008 lanciano “May Feelings” (“sentimenti di maggio”), un filmato studiato e girato a puntino. L’idea è quella di presentare, soprattutto a un pubblico giovane, la potenza e la bellezza del Rosario. Il video diventa il più visto del mese in Spagna su YouTube. Seguono altre tre versioni, sempre sul Rosario, usando spunti diversi: la figura di un vecchio prete che si aggira curvo con la sua coroncina (il Rosario come forma per sostenere i sacerdoti che si sacrificano nel cuore della Chiesa), il Rosario come una delle “armi” preferite di Giovanni Paolo II, e poi il Rosario come segno distintivo della nuova gioventù cattolica. I video vengono tradotti in nove lingue, finiscono trasmessi dal network televisivo EWTN e proiettati davanti a 200mila persone a Lisbona, in occasione della visita di Benedetto XVI in Portogallo nel 2010.

Una rete spirituale in 120 Paesi
Il successo è tale che i tre decidono di alzare il livello. Organizzano le idee, mettono insieme un po’ di soldi propri come base per un investimento e alla metà del 2012 lanciano May Feelings (mayfeelings.com) in versione social network. L’intuizione è brillante, anche se a qualcuno può far storcere il naso. È quella cioè di creare una sorta di Facebook dove si incontrano non richieste di “amicizia” generiche, ma una domanda e un’offerta di tipo spirituale. Nel mondo ci sono milioni di persone che pregano e un numero incalcolabile di persone che hanno bisogno di preghiere, per una sofferenza, una necessità, un momento delicato della vita. Persone tante volte sole o quasi nelle proprie piccole e grandi prove. Con “May Feelings” funziona così: ci si registra e si entra a far parte di una grande comunità sparsa per il mondo. Nella bacheca collettiva uno può scrivere un messaggio, una richiesta o segnalare una causa che necessita di preghiere. L’equivalente del “mi piace” su Facebook è il pulsante virtuale “pray”, prego. Un click equivale a un impegno di preghiera, nella forma che uno preferisce. Su una grande mappa appaiono tutti coloro che nel mondo stanno dedicando orazioni o stanno facendo fioretti per la persona che ha lanciato il suo S.O.S (c’è anche la segnalazione delle 10 richieste più «pregate » del mese). E non è raro, come è immaginabile e come spiegano i tre “Zuckerberg” spagnoli, che da questi contatti nascano anche veri legami e vere amicizie. Un social network a tutti gli effetti. Il suggerimento all’utente ogni giorno di cinque “casi” (che assomiglia alle “persone che potresti conoscere” su Facebook) è uno degli stratagemmi pensati da Joaquin, Santiago e Juan per far sì che nessuna richiesta di aiuto cada nel vuoto. Del resto, chi si iscrive fa di per sé un piccolo gesto di generosità, dà già implicitamente la propria disponibilità a sostenere all’occorrenza qualcun altro. In un anno e mezzo di vita “May Feelings” ha superato le 100mila iscrizioni, in 120 Paesi, con 10mila preghiere quotidiane che si incrociano da una parte all’altra del globo e con oltre 1.000 petizioni pubblicate ogni giorno. Il tutto facilitato da “Rezar”, un’ottima applicazione per i cellulari e i tablet, destinata a diventare la piattaforma principale di questa avventura.
Il progetto cresce e oggi impiega a tempo pieno due ingegneri informatici e uno dei tre cofondatori. Tutti e tre sono comunque impegnati nella ricerca di finanziamenti per sostenere una struttura sempre più complessa e onerosa. Un’impresa certamente non facile, ma la Spagna da questo punto di vista sembra vivere, pur nella dura crisi economica, un momento incoraggiante. Dopo decenni di secolarizzazione brutale e una sorta di selezione darwiniana, la Chiesa rimasta, soprattutto là dove sono arrivati vescovi di buona formazione e proiettati verso la nuova evangelizzazione, è diventata una fucina di iniziative, anche su internet (non è un caso che una delle menti più lucide sulle modalità per risvegliare le parrocchie, don Andrea Brugnoli, fondatore delle Sentinelle del Mattino, abbia trovato in tante diocesi spagnole un terreno fertile su cui lavorare).

I miracoli esistono
Ma per chi appunto storcesse il naso di fronte una novità come “May Feelings” e avesse qualche legittima perplessità sull’opportunità di abbinare la preghiera a un social network, c’è una storia che dice molto. Nel 2012, a 15 anni, la cilena Antonia Cabrera sembra la fotografia dell’adolescente perfetta: molto bella, con i suoi occhi azzurri e i capelli biondi, spigliata, figlia di una famiglia benestante di Santiago, iscritta in una scuola d’élite della capitale. In aprile inizia ad accusare dei mal di testa, prima leggeri poi più insistenti. Il dolore aumenta fino a sintomi allarmanti, come difficoltà a parlare, perdita di sensibilità in parti del corpo. Viene immediatamente portata in ospedale e i medici, che pensano di primo acchito a un tumore al cervello, la sottopongono ad esami ma senza capire la causa del problema, cioè un ictus. Antonia entra in coma, con un’emorragia che per tre giorni riversa sangue nel cervello. Il suo caso sembra disperato. Nel frattempo su “May Feelings” una tale Bernardita chiama il popolo del social network a raccolta sul caso. Nel giro di pochi giorni sulla ragazzina che giace in una terra di nessuno, tra la vita e la morte, si concentra una potenza di fuoco fatta di preghiere da ogni dove. E qualcosa succede. Dopo due settimane Antonia si sveglia, fra la gioia dei familiari, degli amici e anche dell’opinione pubblica cilena, perché il suo caso viene ripreso dai giornali e commuove il Paese. Le prospettive restano ovviamente le più incerte, l’entità del danno subito è ancora tutta da valutare. Ma nel giro di poco tempo inizia un lento recupero, che le permette di tornare a parlare e a camminare, superando di volta in volta le aspettative dei medici e dei fisioterapisti. Il suo risveglio e il suo ritorno a una quasi normalità (porterà sempre con sé i segni dell’accaduto) Antonia lo attribuisce senza dubbi alle preghiere di “May Feelings” e a quella Bernardita che non ha mai conosciuto e il cui appello alla preghiera finiva con una frase eloquente: «I miracoli esistono ». «So che la mia vita non sarà mai più quella di prima – ha detto la ragazza in una toccante video-testimonianza –, ma se mi chiedete qual è la cosa migliore o peggiore che mi sia capitata nella vita, dico che la migliore è stata la mia malattia, l’ictus. Perché ho imparato moltissimo, è stato un regalo prezioso. Qualcuno può pensare che io sia stata sfortunata, ma io non lo penso. Sarei potuta rimanere senza parlare, camminare o respirare… Penso che la buona fortuna non si manifesti dal nulla. Se ho superato tutte le aspettative è perché molta gente ha pregato per me. I miracoli esistono, io sono qui… e chi dice che non si possa essere felici con solo un braccio, con una mano o anche meno?».
Non sempre vediamo i frutti delle nostre preghiere, recitano i titoli di coda del video, ma alle volte sì.  

IL TIMONE – Aprile  2014 (pag. 28-29) 

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