I diritti umani non sono creati dalla volontà dell’individuo, né dello Stato, bensì appartengono all’uomo in forza della sua esistenza.
Ma la loro elaborazione è spesso carente.
Urge interrogarsi sul loro fondamento, cioè la natura umana, sul rapporto tra uomo e Dio, e tra i diritti e i doveri.
L'ONU promulgò la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo alla fine della seconda guerra mondiale, quando apparve evidente che la causa profonda del conflitto stava nel mancato riconoscimento del fatto che tutti gli uomini hanno pari dignità, che tutti nascono liberi e che, perciò, ciascuno è soggetto di diritti fondamentali, tra cui il diritto alla vita, all’integrità fisica e psichica, alla non discriminazione di razza o di sesso, alla libertà di coscienza e di religione, di espressione e di associazione. Dopo gli stermini, i genocidi programmati, l’esplosione della bomba atomica, gli uomini sembrano aver compreso che non si possono difendere dei diritti e tacere su altri, oppure contrapporne alcuni ad altri; tutta la sofferenza causata dalla violazione dei diritti sembra aver reso chiaro che ciò che è in gioco è la sorte stessa dell’uomo, la sua dignità e il suo destino. L’ONU chiedeva perciò ad ogni nazione d’impegnarsi a rispettare i diritti umani ed a tradurli concretamente nei propri ordinamenti.
L’elaborazione e l’approvazione del documento dell’ONU era avvenuta tra molti compromessi. Gli Stati firmatari, pur essendo d’accordo sul contenuto della Dichiarazione, non erano altrettanto d’accordo sul fondamento dei diritti proclamati. Per fondare con chiarezza i diritti umani bisognava esprimersi su problemi riguardanti la definizione del concetto di natura umana, il rapporto tra uomo e Dio, il rapporto tra i diritti e i doveri.
Su tali questioni i Paesi firmatari non raggiunsero il consenso, perciò la Dichiarazione nacque con delle carenze che hanno origine in problemi culturali di cui i redattori erano consapevoli. Sono queste carenze, in particolare il fatto che Dio non viene nominato come fondamento della dignità dell’uomo, a spingere il Papa allora regnante, Pio XII, a non fir-mare la Dichiarazione. Successivamente, il Magistero della Chiesa interverrà in occasioni diverse cercando di colmare le lacune religiose presenti nei documenti internazionali, sostenendo sempre con forza il dovere dell’ONU d’intervenire nei casi di violazione della dignità dell’uomo.
Sarà Giovanni Paolo II a sottolineare che, nella trama della storia contemporanea, la Dichiarazione dell’ONU costituisce un evento importante, soprattutto perché, pur non avendo risolto tutti i nodi culturali, si pone come un passo nel cammino opposto a quello che ha prodotto le tragedie del XX secolo.
Il 2 ottobre 1979 Giovanni Paolo II, parlando dalla tribuna delle Nazioni Unite, ricorda che la Dichiarazione internazionale dei diritti dell’uomo è nata dall’esperienza dolorosa di milioni di persone; egli leva la voce in difesa della dignità dell’uomo riflessa nei suoi diritti.
L’atteggiamento di apprezzamento di Giovanni Paolo II si colloca in un percorso in cui la Chiesa, sempre attenta ai «segni dei tempi», è stata in dialogo con la storia dell’umanità. Quando la Rivoluzione francese in nome dei diritti umani, in realtà rivendicando i «diritti» dell’individuo borghese maschio, aveva commesso crimini orrendi portando al limite la persecuzione contro la Chiesa, quest’ultima aveva condannato tali «diritti». Successivamente, già a partire da Leone XIII, il Magistero, consapevole del venir meno di una cultura e quindi anche di un linguaggio comune, si è sforzato di definire e di ricostruire il contenuto delle nozioni implicate nella definizione dei diritti umani, sino a giungere con Giovanni Paolo II alla loro fondazione su un’antropologia rispettosa della realtà.
La coscienza dell’uomo contemporaneo considera giusto che ciascuno possa ottenere tutti i diritti che gli spettano come persona. Allo stesso tempo assistiamo a un vero e proprio abuso dell’espressione «diritti umani». Per molti il fondamento dei diritti umani deve essere trovato nel consenso; essi cioè nascerebbero da una procedura attraverso cui si giunge a definire ciò che è giusto. Secondo costoro è giusto ciò che è legale, cioè ammesso dalla legge, e poiché si pensa che il diritto alla libertà sia assoluto, si ritiene di conseguenza che la legge debba riconoscere la legittimità di ogni comportamento riguardante la cosiddetta «sfera privata» dell’individuo.
Si pone perciò il problema dei criteri che permettono d’individuare i veri diritti umani per impegnarsi nella loro difesa e smascherare gli abusi; tali criteri che riguardano sia l’origine che il contenuto dei diritti.
Quanto all’origine, bisogna ricordare che non basta l’esistenza di una legge emanata dall’organismo competente perché sia fondato un diritto autentico. Se la legge non è giusta, cioè non è conforme alla verità circa il bene, non è legge, ma corruzione della legge e non può obbligare in coscienza. I diritti umani non nascono dalla volontà dell’individuo, né vengono conferiti all’uomo da un’istituzione, essi appartengono all’uomo in forza della sua esistenza, prima di qualsiasi istituzione. Il riconoscimento giuridico è solo espressione di ciò che spetta all’uomo in quanto tale. Quanto al contenuto, perché si possa parlare di diritto umano autentico bisogna considerare quale sia la concezione dell’uomo da cui si parte, se essa nasce da una visione dell’uomo reale e completa o ideologica e parziale.
Un’antropologia adeguata riconosce che l’uomo per la sua origine e per il suo destino non dipende mai totalmente da un altro uomo, ma solo dalla causa che l’ha posto e lo mantiene nell’essere. Perciò il primo diritto costitutivo è quello della libertà della relazione con Dio.
Inoltre, poiché l’uomo non solo esiste e sa di esistere, ma ha anche ricevuto il proprio essere in possesso (cioè decide di sé stesso), non può agire senza che le sue azioni abbiano un significato morale: l’uomo è obbligato a seguire la legge dell’uomo, cioè a discernere tra vero e falso, bene e male. La coscienza ha la funzione di guidare l’uomo conformandosi ad un ordine oggettivo, osservando le inclinazioni della natura umana e il dinamismo di quest’ultima, che è orientato allo sviluppo e all’attuazione della totalità umana; in questo consiste la legge naturale. Un altro aspetto da considerare per discernere i diritti umani autentici è la dimensione sociale o comunitaria dell’uomo. L’essere umano non è un’astrazione, ma una concretezza esistente all’interno di relazioni che sono costitutive, non accidentali. Nasce in una famiglia, cresce grazie a relazioni educative, di amicizia, d’amore, di lavoro. La tentazione di concepire l’uomo come una realtà astratta ha condotto all’individualismo e alla negazione della necessità delle relazioni attraverso cui la persona si realizza.
Applicando questi criteri ai diritti che vengono rivendicati sarà possibile distinguere quelli autentici da quelli falsi, perché se è vero che non è possibile fare un elenco chiuso e immutabile dei diritti umani non potendo prevedere tutte le situazioni, tuttavia ogni diritto autentico è fondato su un’antropologia adeguata, sviluppa la libertà del soggetto umano e si esprime attraverso leggi giuste perché la legge morale ha valore non solo privato, ma anche pubblico.
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«I diritti dell’uomo non hanno vigore, per la verità, che dove sono rispettati i diritti di Dio e l’impegno per i primi è illusorio, inefficace e poco duraturo, se si realizza al margine o nel disprezzo dei secondi».
(Giovanni Paolo II, Lettera ai vescovi del Brasile, 10 dicembre 1980).
Bibliografia
Sull'uomo come persona fondamento dei diritti umani cfr. specilamente l'Enciclica Evangelium vitae di Giovanni Paolo II.
Giovanni Paolo II, Discorso all'ONU, 2 ottobre 1979.
Sulla nozione di legge naturale cfr. san Tommaso d'Aquino, Somma teologica, I-II, q. 94.
Antonio Canizares Llovera, Diritti umani: loro fondazione, in Pontificio Consiglio per la Famiglia (a cura di), Lexicon, EDB, 2006.
Abelardo Lobato, Nuovi diritti umani, in Pontificio Consiglio per la Famiglia (a cura di), Lexicon, EDB, 2006.
IL TIMONE – N.64 – ANNO IX – Giugno 2007 pag. 30-31