Breve sintesi della filosofia di uno dei più grandi pensatori di tutti i tempi.
Le sue opere consentono di ragionare con chiarezza, di stabilire certezze solide, e molto spesso di scoprire come effettivamente stanno le cose
Se è vero che la metafisica rappresenta il centro e il vertice della filosofia di Aristotele (cfr. Il Timone, 89 [2009], pp. 30-31), è altrettanto certo che il grande pensatore di Stagira ha sviluppato riflessioni di altissimo livello per quanto riguarda anche altri campi del sapere.
L’opera aristotelica si presenta come un edificio assai solido, ben strutturato e composto da vari piani.
Per visitare questa splendida costruzione, si può iniziare dalla logica, alla quale Aristotele attribuì massima importanza, considerandola lo strumento (Organon in greco; e proprio questo termine costituisce il titolo dato alla raccolta dei testi aristotelici di logica) essenziale per portare avanti ogni studio ed ogni ricerca. La logica, infatti, a suo giudizio, si occupa della retta organizzazione del pensiero e del ragionamento, e per questo si interessa della validità delle dimostrazioni e dei giudizi. In tale contesto, Aristotele scrisse cose importantissime sulla verità, l’intuizione, l’induzione, la deduzione, il sillogismo e, soprattutto, affermò con chiarezza l’esistenza di alcuni principi che stanno alla base del ragionamento corretto: sono i principi di identità, di non contraddizione e del terzo escluso, che si sono rivelati degli autentici pilastri della razionalità dell’uomo occidentale e che si dimostrano sostanzialmente validi ancora oggi.
Molto significativi sono pure gli studi aristotelici di fisica, nei quali viene elaborata un’innovativa teoria del movimento che supera definitivamente alcuni ostacoli posti dal pensiero di Parmenide.
Inoltre, Aristotele si soffermò a lungo sul tema dell’anima, e la sua psicologia è particolarmente interessante. Egli ritenne che l’anima fosse la forma, l’atto del corpo, ovvero ciò che dà vita a esso, e affermò che ci sono tre tipi di anima: quella vegetativa, quella sensitiva e quella intellettiva. Soltanto l’uomo le possiede tutte e tre, e la terza gli permette di ottenere la conoscenza della realtà, mentre le prime due presiedono alle funzioni inferiori, proprie delle piante e degli animali.
Il sommo maestro di Stagira fu molto attento anche alle questioni morali e politiche. Egli pensò che il vero fine della vita umana fosse il raggiungimento della felicità, ma negò che tale felicità potesse essere procurata dai beni materiali. A suo giudizio, l’uomo sarà pienamente felice, e dunque pienamente realizzato, soltanto quando giungerà a praticare le virtù dianoetiche, che sono quelle connesse con l’intelligenza e con la contemplazione della verità: dunque, solamente la saggezza e la sapienza garantiranno all’uomo l’ottenimento della felicità.
Nello stesso tempo, però, per Aristotele, nella gerarchia delle attività che rendono felici, dopo l’attività del sapiente e del saggio vengono le attività della vita in cui si esercitano le virtù etiche. Infatti, Aristotele attribuì notevole importanza anche alle virtù etiche, considerandole dei veri e propri baluardi contro la forza degli istinti e di quelle passioni che degradano l’uomo: tali virtù sono quegli atteggiamenti che rifuggono qualsiasi eccesso; per esempio, tra due sentimenti opposti quali la codardia e la temerarietà, si impone la virtù etica del coraggio, che si fa apprezzare come il giusto mezzo tra due estremi da rifiutare.
Aristotele valutò assai positivamente la vita politica, partendo dall’assunto che l’uomo è per sua natura un animale sociale, cioè destinato a convivere con gli altri e a trovare la propria giusta collocazione solo all’interno di una comunità. Va detto che a suo giudizio coloro che meritano appieno il titolo di cittadini sono una minoranza, in quanto tale titolo spetta soltanto a chi prende parte all’amministrazione della polis; né i contadini, né gli operai possono essere considerati cittadini: essi devono stare al servizio di coloro che, al contrario, cittadini lo sono, a motivo del fatto che esercitano l’autorità e l’amministrazione. Del tutto sottomessi troviamo gli schiavi, che Aristotele considera puri e semplici strumenti atti alla produzione di beni e servizi. È vero però che nell’Etica Nicomachea Aristotele mitiga questa tesi, affermando che tra il padrone e lo schiavo è possibile una certa forma di amicizia, in quanto essi sono entrambi uomini.
Lo Stagirita prese in esame le diverse forme di Stato, tenendo presenti i differenti tipi di potere che possono essere esercitati: scartate la tirannide, l’oligarchia, la democrazia, la monarchia, le sue simpatie andarono a quella che egli definì «politia», una forma di governo intermedia tra l’oligarchia e la democrazia. Aristotele, inoltre, attribuì allo Stato la missione morale di incrementare la virtù: a tal fine, ritenne opportuno che la città perfetta non fosse né troppo né poco popolata e con una superficie limitata. In essa sarebbero state valorizzate le qualità migliori degli abitanti, sempre tenendo conto del criterio della giusta misura, in virtù del quale si debbono trovare soluzioni improntate a equilibrio e assennatezza, senza perdere mai di vista lo scopo più alto da raggiungere: la contemplazione come vertice della vita intellettuale.
Quanto all’estetica, a differenza di Platone, Aristotele non condannò l’arte, anzi la considerò dotata di una positiva capacità di purificare gli animi, attribuendole così una funzione catartica.
Per concludere questa breve presentazione della filosofia aristotelica, mi affido alle seguenti parole di Enrico Berti, uno dei maggiori conoscitori italiani dello Stagirita: «Oggi ci si sta rendendo conto che […] Aristotele è, tutto sommato, poco conosciuto […]. Inoltre, fatto ancor più significativo, ci si sta rendendo conto che […] il contatto diretto col suo pensiero consente, al di là di tutte le deformazioni prodotte dalla filosofia successiva, […] di ragionare con più chiarezza, di stabilire certezze più solide, di riscoprire come effettivamente stanno le cose».
RICORDA
«Poi che innalzai un poco più le ciglia, / vidi il maestro di color che sanno [Aristotele] / seder tra filosofica famiglia / tutti lo miran, tutti onor gli fanno».
(Dante, Inferno, 129-132).
BIBLIOGRAFIA
All’interno della sterminata bibliografia su Aristotele, segnalo:
Giovanni Reale, Storia della filosofia greca e romana – 4. Aristotele e il primo Peripato, Tascabili Bompiani, 2004.
IL TIMONE N. 91 – ANNO X II – Marzo 2010 – pag. 32 – 33