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14.12.2024

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Il Kattolico. Carlo Alianello
1 Febbraio 2014

Il Kattolico. Carlo Alianello

Ci sono libri fondamentali, nel senso letterale che diventano fondamento. Sono quei libri che improvvisamente ti aprono gli occhi e di colpo spalancano davanti a te una prospettiva capace, anche, di cambiarti la vita.
Nella mia personale formazione, di libri del genere ce ne sono stati in verità pochi (ma i libri così sono pochi per definizione). Uno di essi è La conquista del Sud di Carlo Alianello. Avevo dieci anni nel 1960 e frequentavo l’ultima classe delle elementari in Sicilia. Era, quello, il centenario della Spedizione dei Mille e per mesi il minculpop democratico e repubblicano aveva martellato noi ragazzini con l’Epopea, obbligandoci a mandare a memoria ed eseguire in coro il macabro Si scopron le tombe, si levano i morti o il trionfale Suona la tromba intrepido, mentre La spigolatrice di Sapri con i suoi «trecento giovani e forti» che ahimè erano morti era stata materia dell’anno prima. A chiusura dell’anno scolastico, in giugno, fummo costretti a marciare per le strade inquadrati con la camicia rossa e il fazzoletto blu al collo, capeggiati da un alunno che, avendo trovato in casa un tappeto adatto, se l’era drappeggiato addosso a mo’ di poncho e faceva la parte di Garibaldi. Ricordo che mio padre si era arrabbiato moltissimo quando gli dissi che doveva comprarmi una camicia rossa e un paio di calzoni blu per la marcia. Non si arrabbiò per la commemorazione. Lui, cresciuto sotto il fascismo, di retorica patriottarda ne aveva vista e subìta anche di più. Solo che, allora, se lo Stato ti ordinava di indossare qualche divisa stravagante, almeno te la forniva gratis. Invece, con la democrazia, non solo dovevi fare il garibaldino ma pure a spese tue. Mio padre, uomo di principio, non ne volle sapere. Mia madre, per risparmiarmi l’umiliazione a scuola, mi ricavò la camicia rossa da un suo vecchio indumento. I pantaloni, però, nisba. Così, marciai in terza fila, perché indossavo i miei soliti calzoni corti marrone.
Naturalmente, non dubitai mai della provvidenziale eroicità di quei bergamaschi che erano venuti a liberare la mia Sicilia dalla tirannide borbonica. Né, ovviamente, di quella dell’Eroe per definizione, talmente Eroe che lo era di ben Due Mondi. Né del genio di Cavour, né di quello «apostolico» di Mazzini, né del Re Galantuomo. Nemmeno della corruzione dello Stato Pontificio e di quanto bene avesse arrecato all’Italia la determinazione dei Piemontesi di prendersela tutta, l’Italia, Roma compresa. Da buon siciliano, avevo legioni di bisnonni, nonni, zii e prozii emigrati all’estero per sopravvivere. Ancora nei favolosi anni Sessanta vedevo miei compagni di giochi andarsene per sempre in America, in Australia, nel Nordeuropa per lo stesso motivo. che nessuno sapesse alcunché di diverso dalla versione ufficiale. Così, a nessun bimbetto sarebbe mai venuto in mente, giocando, di tifare per gli Austriaci. Sarebbe stato come fare la parte di Mefisto contro Tex, di Paride contro Achille, di Polifemo contro Ulisse.
Ero già a buon punto degli studi universitari quando qualcuno mi mise in mano La conquista del Sud. Non suoni irriverente il paragone, ma fu come se la Madonna delle Tre Fontane mi avesse tolto il velo dagli occhi, così come aveva fatto nel 1947 a Roma col pastore protestante e comunista Bruno Cornacchiola. Oggi, grazie a un dvd sul suo autore (Carlo Alianello, la voce dei vinti, Il Cerchio, € 14,00), so come aveva fatto lui, Alianello, a conoscere la verità. Nato nel 1901 a Roma, era di origini lucane (terra di «briganti») ed era cresciuto ascoltando i racconti di suo nonno, che era stato ufficiale borbonico prima della disfatta delle Due Sicilie. Nei nostri anni, fu il sorgere del fenomeno leghista e la sua primigenia polemica contro i terùn meridionali a causare in questi ultimi, per contraccolpo, una riscoperta di radici che ha dato la stura a una valanga di pubblicazioni (alcune, veri bestseller) di orgoglio duosiciliano. Ma Alianello fu il primo in assoluto, il primo a puntare il dito sul re nudo. Senza il suo lavoro, non ci sarebbe stato quel che seguì ed è grazie a lui se il Mito è diventato nella testa degli italiani il mito col minuscolo. Proprio nell’anno in cui nacque, il 1901, l’Italia riusciva a estinguere l’ultima rata dei debiti che aveva contratto il Piemonte per la Guerra di Crimea (del 1853!), e ciò malgrado l’incameramento manu militari della florida cassa delle Due Sicilie. Pochi italiani lo sapevano e Alianello era tra questi.
Quando uscì il suo romanzo L’Alfiere, nel 1943, il fascismo minacciò di mandarlo al confino per leso Risorgimento. Ma nello stesso anno fu il fascismo a dover fare fagotto e Alianello la scansò. E insistette con L’eredità della priora. Queste due opere, con l’avvento della televisione, divennero poi sceneggiati di successo per la regia di Anton Giulio Majano (sono attualmente reperibili in dvd, anche se la qualità del bianco e nero televisivo di allora è, ahimè, scarsa). In fondo, quelle opere erano le nostre Via col vento, la nostra guerra nordisti-sudisti raccontata per la prima volta con rispetto per questi ultimi. Non a caso Tomasi da Lampedusa, l’autore del Gattopardo, teneva sul suo tavolo L’Alfiere e non è azzardato pensare che ne sia stato influenzato. Alianello era anche sceneggiatore cinematografico e in tale veste lavorò a capolavori come Senso di Luchino Visconti e Cielo sulla palude di Augusto Genina. Il primo, com’è noto, narrava di una italiana che perde la testa per un ufficiale austriaco e tradisce i patrioti indipendentisti. L’altro, premiato a Venezia, non è che la vita di santa Maria Goretti e costituisce l’apripista del filone detto neorealismo, un filone che avrebbe spalancato all’Italia i cinema di tutto il mondo. Con i suoi lavori Alianello vinse diversi premi prestigiosi, come il Marzotto, il Bagutta, il Campiello. E questo malgrado fosse un cattolico di ferro e non ne facesse mistero. Nel dvd che ne ripercorre la memoria, i figli ricordano il suo rigore al proposito: non sopportava che non andassero a messa, che le figlie vestissero in modo inappropriato, che tornassero a casa tardi. Faceva anche parte, forse come terziario, di una delle tante realtà ecclesiali legate all’Immacolata, forse la famosa Milizia fondata da san Massimiliano Kolbe in chiave antimassonica. Questo scrittore, drammaturgo e sceneggiatore, che collaborò pure con la Rai e perfino col regista Rossellini, è il capostipite del cosiddetto revisionismo storico risorgimentale, anche se non negò mai il valore teorico dell’unità politica italiana. Tra tutti i mezzi possibili per raggiungere la quale (e allora ce n’erano) prevalse il peggiore. Ma la cosa più insopportabile risulta, quando si può scoprire finalmente l’altra faccia della medaglia, l’occultamento ossessivo e pervasivo della verità. Come in un film poliziesco in cui l’assassino riesce a convincere gli inquirenti che l’aggressore era la vittima. E da allora riceve premi e complimenti per aver liberato la città da un mostro. E i figli del mostro, perseguitati e ridotti alla fame, devono scappare.
Eh, la storia la fanno i vincitori, per il semplice motivo che chi poteva raccontarla diversamente è morto. L’unico esempio storico di perdente e morto che ribalta la situazione è Gesù Cristo. Ma è appunto l’unico, perché Lui era Dio. Di Carlo Alianello, oltre alle opere, rimane oggi un piccolo museo di foto, manoscritti e cimeli, il Fondo Alianello, a Tito, in provincia di Potenza. In terra lucana, la terra per eccellenza dei «briganti» antipiemontesi. Chissà se, fosse vissuto nei nostri giorni, Carlo Alianello avrebbe avuto tutti i riconoscimenti e le entrature che ebbe. Di certo, avrebbe scritto sul «Timone».

Per saperne di più…

DVD – Carlo Alianello. La voce dei vinti, regia di Rosso Fiorentino, con interviste a Franco Cardini e Adolfo Morganti, Bile produzioni – Il Cerchio-iniziative editoriali, in collaborazione con Identità Europea.



IL TIMONE N. 125 – ANNO XV – Luglio/Agosto 2013 – pag. 20 – 21

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