La Bibbia è un libro diverso da tutti gli altri che sono stati o saranno scritti nel mondo. Perché è diverso il suo “autore” e il suo “contenuto”. Perché per leggerlo correttamente e capirlo bisogna “essere Chiesa”.
L’autore divino
Tutto questo è giusto, importante, doveroso. Non deve però farci dimenticare nemmeno per un istante che la ragione decisiva per cui oggi nella Chiesa ci occupiamo di queste antiche composizioni semitiche o greche è la persuasione che esse non sono state stese soltanto da autori umani, ma da autori umani attraverso i quali ci parla l’unico Dio vivo e vero.
Da questo convincimento fondamentale derivano alcune notevoli conseguenze.
• Tutto ciò che gli scrittori umani hanno voluto esplicitamente e direttamente insegnarci, ci è insegnato da Dio; e perciò dalla loro penna ci viene trasmesso «con certezza, fedelmente e senza errore» la verità che giova alla nostra salvezza (Dei Verbum 11).
• Poiché proviene dall’unico Dio, il discorso che si sviluppa «a più riprese e in diversi modi» (Eb 1,1) lungo l’intera storia della Rivelazione, dalla vocazione di Abramo al magistero degli apostoli, è unitario, intrinsecamente organico, espressivo di un solo disegno: ogni frase della Sacra Scrittura quindi può essere adeguatamente penetrata in tutta la sua intelligibilità solo alla luce di quanto è stato detto dal Signore dalla prima all’ultima parola del Libro sacro.
• Il che implica che ci può essere in ogni detto biblico un senso “più profondo” e “più pieno”, che l’autore umano non era in grado di afferrare, ma che è inteso e voluto dall’Autore increato come appare dal seguito e soprattutto dall’insieme della Rivelazione.
• La Bibbia c’interessa non solo per la nostra propensione all’erudizione e alla “cultura”; c’interessa soprattutto come uomini in cerca della verità eterna e salvifica. Per la sua reale comprensione perciò non basta lo studio scientifico nelle sue varie discipline: occorre possedere il principio conoscitivo adeguato, che ci ponga in sintonia con il Rivelatore trascendente. Questo principio conoscitivo adeguato è la virtù teologica della fede.
Il contenuto
L’argomento unico e onnicomprensivo del discorso che Dio ha deciso di rivolgerci, e quindi della Sacra Scrittura in quanto è opera dell’Autore divino, è il «disegno eterno» (Ef 3,11), il «mistero della sua volontà» (Ef 1,9), il «mistero rivelato ai santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito» (Ef 3,5), come si esprime la lettera agli Efesini.
Questo «disegno» si compendia tutto in Gesù di Nazaret crocifisso e risorto, principio dell’universo che è chiamato a conformarsi a lui.
Il “Cristo totale”
«La profonda verità sia di Dio sia della salvezza degli uomini…risplende a noi in Cristo, il quale è insieme il mediatore e la pienezza di tutta intera la Rivelazione» (Dei Verbum 2). Si capisce allora perché si possa e si debba dire che il contenuto offerto a noi nella Bibbia, dalla prima all’ultima pagina, è Cristo nel quale tutte le cose sono state create (Col 1,16) e nel quale tutte le cose sono state riconciliate (Col 1,20). È dunque implicitamente il «Christus totus»; che vuol dire: la persona adorabile del Verbo incarnato; l’umanità da lui illuminata, redenta, chiamata alla gloria; la strabiliante “vocazione” al Regno eterno dei figli di Adamo (la «mia» strabiliante vocazione, deve dire ciascuno di noi). Giustamente perciò in ogni pagina del libro sacro i Padri cercano sempre tre argomenti di contemplazione: la verità su Cristo, la verità sulla Chiesa, la verità sull’uomo e sul suo destino; e questo, della grande riflessione patristica, è un modello e un esempio cui dobbiamo attenerci.
Mi corre l’obbligo di dire a questo punto che, se nella Bibbia non si parlasse del Signore Gesù, della Bibbia non m’importerebbe niente; o almeno non m’importerebbe più di quanto m’importino i poemi omerici, le tragedie di Sofocle o le opere di Virgilio. E che nella Bibbia, anche nell’Antico Testamento, si parli di Gesù di Nazaret, questa non è una singolare opinione teologica; è l’insegnamento esplicito di Cristo stesso, riferito e testimoniato nella Sacra Scrittura: «Bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi» (Lc 24,44).
I destinatari
Nessuno pensi che i destinatari preminenti (e tanto meno esclusivi) della Bibbia siano i biblisti. Dire che il Libro sacro è stato ispirato e scritto per gli esegeti sarebbe come supporre che i treni siano stati ideati e costruiti per i ferrovieri.
Gli scritturistici sono utili, e persino in qualche senso necessari alla cristianità, quando attendono alle loro fatiche con metodologia teologicamente corretta e restano ben consapevoli della loro intrinseca funzione di servizio.
La “Destinataria”
Destinataria propria della Sacra Scrittura è «la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato» (cf 1 Pt 2,9). Destinataria è dunque la Chiesa, cui compete anche di giudicare infallibilmente quale testo tramandatoci sia effettivamente «ispirato da Dio» (2 Tm 3,16), e sia pertanto in grado di comunicarci senza errori la verità trascendente.
I credenti
Destinatario allora della Sacra Scrittura, in quanto membro della «nazione santa», e a misura del suo reale e vitale inserimento nel “Christus totus”, va ritenuto anche ogni credente, che a questa fonte garantita della sapienza divina si deve accostare il più largamente possibile, secondo le sue concrete capacità; e con quella gratitudine, con quell’animo semplice, con quel cuore appassionato che sono tipici della Sposa del Signore, sempre avida di porsi in ascolto del suo Salvatore e Maestro.
Identificarsi con la Sposa
La Rivelazione – e tutta la Bibbia che infallibilmente la contiene – è essenzialmente un lungo discorso d’amore. E, come avviene in ogni discorso d’amore, può essere adeguatamente compreso solo da colei cui è rivolto; da colei cioè che, essendo innamorata, è in sintonia con il cuore divino dal quale fluiscono le parole appassionate. Questo significa che per ascoltare e leggere con vera intelligenza le parole ispirate bisogna preoccuparsi di restare cordialmente e senza riserve entro il “mistero ecclesiale”; vale a dire, bisogna identificarsi con la Sposa.
In altre parole, la capacità di capire e di assimilare il messaggio biblico ci è data dalla fede affettuosa della Chiesa; fede che arde, palpita, progressivamente si dilata nell’animo di ogni credente che le si abbandona (appunto come deve fare un “piccolo”).
Il “popolo dell’avvenimento”
Noi non siamo il “popolo del Libro”; a rigore non siamo neppure il “popolo della Parola”: noi siamo il “popolo dell’Avvenimento”.
La “pagina sacra” è il mezzo privilegiato con cui possiamo arrivare meglio alla “parola” per nutrircene e per vivere con intelligenza entro il “fatto salvifico”. La Bibba non è dunque un assoluto, è ordinata alla Rivelazione e in definitiva all’“Avvenimento”, il quale resterà anche nel Regno eterno quando il Libro sacro non avrà più sussistenza e valore.
La rivelazione, la Scrittura, l’avvenimento
Vediamo di rendere ancora più intelligibile, se ci si riesce, questo punto fondamentale della nostra riflessione.
Al principio di tutto c’è il Dio che, per così dire, trabocca nella creazione, oltrepassando gli ambiti della sua stessa natura increata, con la rivelazione del Verbo. Ma questa «rivelazione» non è un puro fatto di conoscenza: è una donazione integrale; cioè la donazione del Figlio, che è la totalità di ciò che il Padre può dare. Questa donazione senza dubbio è «luce», perché il Figlio è il Verbo di Dio; ma è soprattutto una «res», una realtà: ciò che è donato è il Verbo incarnato, capo e sposo dell’universo sublimato che è la Chiesa.
La «parola» poi ci è data perché la «res» sia assimilata secondo la natura intellettuale del «Logos» e secondo la nostra natura di creature intelligenti (in conformità con la nostra natura «loghikè»).
Infine la parola «scritta» è stata predisposta perché ci fosse più facile e più sicuro accedere alla «parola» e quindi all’evento.
Una “parabola”
La Sacra Scrittura è, per così dire, una finestra sul mondo invisibile e più vero che con la rigenerazione battesimale è già diventato nostro; il mondo che già informa di sé l’esistenza ecclesiale; il mondo che sarà la nostra eredità disvelata e inalienabile ma che dobbiamo fin d’ora anticipare nella contemplazione fiorita dall’atto di fede.
È una “finestra” sul mondo onnicomprensivo e unitario col quale dobbiamo a poco a poco entrare in comunione di mente e di cuore; una finestra che è dono della misericordia divina, perché ci sia dato di guardare con sicurezza e con agio di là, sulla realtà trascendente che sola può sciogliere ogni tormentoso enigma esistenziale.
Se ci attardassimo invece a esaminare il davanzale, i fregi, i serramenti della finestra e non spingessimo mai oltre la nostra vista; se indugiassimo ad ammirare la loro stupenda fattura e a riconoscere i vari materiali che li compongono; se impiegassimo tutto il tempo ad appurare da quale bottega artigianale sia uscito questo lavoro, noi compiremmo senza dubbio un’operazione legittima e culturalmente anche lodevole, che però non raggiungerebbe lo scopo per cui la finestra è stata praticata e non ne coglierebbe il senso nativo e intrinseco.
Questa, come si vede, è una specie di parabola: chi può capire capisca.
In sintesi si vuol dire che lo scopo e il senso dei libri ispirati è quello di farci “guardare di là” e di aiutarci così a vagheggiare (per quel che ci è quaggiù consentito) la “realtà”, cioè il disegno eterno del Padre che progressivamente si attua nella vicenda dell’universo e nella storia personale di ogni uomo.
IL TIMONE – N. 51 – ANNO VIII – Marzo 2006 – pag. 48 – 49
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