50 anni fa i cattolici erano l’1% della popolazione, oggi sono il 10%. Crescono anche gli apostolati e le vocazioni al sacerdozio. Il caso di una Chiesa che non sembra temere la secolarizzazione, in un Paese che vive un prodigioso sviluppo economico
La visita che il Papa farà in Corea del Sud il prossimo agosto non sarà solo il suo debutto in Asia, frontiera che da sempre gli è cara, fin da quando era giovane gesuita e sognava di andare missionario in Giappone, ma sarà un’occasione per conoscere meglio il profilo di una Chiesa fra le più vive e vibranti del Continente. Una Chiesa con una storia straordinaria che ha molto da insegnare a noi europei e occidentali, anche per il fatto che il suo boom è avvenuto contemporaneamente alla prodigiosa crescita economica del Paese.
Su quest’ultima bastino alcuni dati. Per secoli protettorato della potenza cinese prima e giapponese poi, priva di risorse naturali, la Corea ha vissuto nel ’900 una lotta fratricida che ha portato alla sua drammatica divisione. Il Sud si è ritrovato dopo il 1953 privo di quel poco di base industriale che si era formata nei decenni precedenti, concentrata appunto al Nord. All’inizio degli anni ’60 in questa metà sottosviluppata della penisola l’aspettativa di vita era di appena 52 anni, pari a quella delle Filippine e di poco superiore a quella di Ghana e Birmania. Ma se gli osservatori internazionali erano relativamente ottimisti sul futuro di questi tre Paesi, erano drasticamente pessimisti per la Corea del Sud.
Nel 1962 per disporre della sua prima struttura sportiva moderna Seul dovette attendere che le Filippine sostenessero i costi della costruzione del Jangchung Gymnasium. Venticinque anni dopo, la stessa città avrebbe ospitato le Olimpiadi. Oggi la Corea del Sud è entrata nella nostra quotidianità con le sue manifatture, con il colosso della tecnologia digitale Samsung e i suoi smartphone, con le sue automobili che da cenerentole del mercato hanno iniziato ad insidiare le posizioni delle grandi case automobilistiche giapponesi, con Doosan, altro colosso industriale dell’energia e delle grandi costruzioni.
Si tratta del Paese più “connesso” a internet del mondo, con la migliore disponibilità di banda larga per cittadino e che sulla scorta della Cina ha iniziato a far sentire la sua presenza anche in Africa, con una serie di progetti per esportare tecnologie e conoscenze in cambio di materie prime. Questa crescita è dovuta in gran parte a una pianificazione oculata degli investimenti pubblici, anche nell’istruzione, che dagli anni ’60, di quinquennio in quinquennio, ha creato le condizioni perché potessero esplodere la laboriosità e i talenti imprenditoriali di un popolo.
Il grande progetto per il 2020
Ma se in Europa il boom economico del dopoguerra ha portato con sé secolarizzazione e impoverimento delle Chiese storiche, in Corea è avvenuto il contrario. In una recente visita a Seul il prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli, il cardinale Ferdinando Filoni, ha ricordato che «nel 1949 la popolazione cattolica in Corea si calcolava attorno all’1,1% con appena 81 sacerdoti e 46 parrocchie. Subito dopo il Concilio Vaticano II si era al 2,5%. A cinquant’anni da quell’evento oggi i cattolici sono il 10,3%, i sacerdoti oltre 4.600, i religiosi e le religiose oltre 10.000». «E desidero manifestare – ha aggiunto – tutto il mio apprezzamento per le centinaia di missionari presenti in circa 80 Paesi, attraverso cui questa Chiesa risponde generosamente all’anelito di evangelizzazione del mondo». Anni fa, la Conferenza episcopale coreana ha lanciato un progetto chiamato “Evangelization Twenty Twenty”, con l’obiettivo di raggiungere entro il 2020 quota 20% di cattolici in un Paese che conta 50 milioni di abitanti, progetto declinato in vari ambiti, dalle parrocchie all’esercito. Nel 2011, con l’obiettivo di irrobustire la cultura religiosa, sempre la Conferenza episcopale ha proposto a tutti i fedeli di leggere 33 libri spirituali all’anno, per tre anni, mettendo a disposizione anche un percorso guidato di letture. La tensione verso l’apostolato e la crescita, insomma, è tale che Filoni ha messo in guardia i cattolici dal cadere in una mentalità efficientista. In molte parrocchie, per fare un piccolo esempio, prima di Pasqua e Natale vengono distribuiti dei biglietti che i fedeli restituiscono in confessionale. Dal loro conteggio viene monitorato il fervore di una comunità.
Il ruolo dei laici e il sangue dei martiri
La Chiesa coreana – dove, accanto alle strutture iper-moderne, le donne a Messa portano ancora il velo, il Rosario è una devozione diffusissima, ed è ancora consuetudine astenersi dalla carne ogni venerdì dell’anno – ha avuto fin dagli inizi diverse singolarità. È considerata infatti l’unica ad essere nata senza l’apporto diretto di missionari provenienti dall’estero.
Tutto cominciò alla fine del ’700 quando alcuni diplomatici coreani, gli unici che potevano uscire da un Paese blindato, incontrarono a Pechino gli scritti del gesuita Matteo Ricci. Fu una scoperta emozionante per personalità colte e curiose che sentivano acutamente i limiti del confucianesimo in cui erano cresciute. Nel 1784 uno di questi diplomatici, Yi Sunghu, venne battezzato con il nome di Pietro e tornato in Corea iniziò assieme ad altri a far conoscere il Vangelo. Il primo missionario cinese che visitò la Corea nel 1794 vi trovò 4.000 battezzati, sei anni dopo erano già 10.000. Quasi tutto l’800 fu segnato da persecuzioni che causarono un numero altissimo di martiri, si parla di circa 20mila, tanto che oggi la Chiesa coreana è la quarta al mondo per numero di beati.
Le chiavi del successo: fede, carità e coraggio
La svolta per il cattolicesimo è avvenuta nella seconda parte del ’900 ed è dipesa da molti fattori. Innanzitutto le opere di carità che la Chiesa ha realizzato a partire dal primo dopoguerra, negli anni in cui il Paese si trovava in una povertà estrema, e che le hanno meritato la considerazione e il rispetto di ampi settori della società (oggi il St. Mary’s Hospital di Seul, legato alla locale Università Cattolica, è il più grande ospedale cattolico del mondo). Idem per quanto riguarda l’impegno per la giustizia sociale, voci indipendenti e coraggiose – di laici, sacerdoti, vescovi – negli anni in cui la Corea del Sud è passata per la dittatura militare. Il cardinale Stephen Kim Sou-hwan, che ha guidato l’arcidiocesi di Seul dal 1968 al 1996, è stato anche un campione dei diritti umani e il suo esempio ha attratto molti verso il cattolicesimo. Infine, va segnalato l’impatto che hanno avuto le associazioni e i movimenti ecclesiali, dai Cursillos ai Focolari, ma soprattutto la Legio Mariae. Nata in Irlanda nel 1921, la Legione di Maria è di gran lunga la realtà laicale più diffusa e radicata nel Paese, con circa 300mila membri, e, secondo un paragone calzante fatto da padre Piero Gheddo, la sua forza all’interno delle parrocchie e delle diocesi è assimilabile a quella dell’Azione cattolica in Italia tra gli anni ’20 e gli anni ’50 del secolo scorso. Tutto questo va poi pensato sullo sfondo di una società sì di matrice confuciana e buddista, due culti etico-filosofici, ma che presenta un’apertura innata al fenomeno religioso.
Le sfide per il futuro
Non tutto ovviamente è rose e fiori. Se la Chiesa ha saputo interpretare positivamente le trasformazioni sociali (quella cattolica è la confessione che registra di gran lunga il minor numero di suicidi, in un Paese in cui lo spirito di competitività rende purtroppo alto il tasso di coloro che ogni anno si tolgono la vita), alcuni nodi iniziano comunque a venire al pettine. Le vocazioni al sacerdozio continuano a crescere, ma negli ultimi anni hanno registrato una drastica caduta le vocazioni religiose femminili, eccetto quelle alla vita contemplativa. Su 111 congregazioni di suore, il 60% non ha praticamente più vocazioni. Fra le cause ci sono: il maggior inserimento della donna nel mondo del lavoro, l’impatto sulla sua identità della moda e della cultura veicolata dai media (altro piccolo record della Corea è quello di aver il più alto numero di interventi di chirurgia estetica per abitante, a Seul il 20% delle donne ne hanno subito uno).
Ma la Corea è anche una delle società che sta invecchiando più velocemente al mondo. Una situazione a cui hanno contributo anche la legalizzazione dell’aborto e le altri folli politiche per il controllo delle nascite negli anni ’60, tra cui gli incentivi alla sterilizzazione volontaria. Una denatalità che rappresenta oggi la crisi potenzialmente più grave per la società e di riflesso anche per la Chiesa. Ma è anche per incoraggiare a vincere queste sfide che papa Francesco metterà piede in questa terra tanto affascinante quanto ancora da scoprire.
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