Se la natura non è «tutto», come avevano ben compreso i grandi filosofi greci, se oltre la natura c’è un «Altro», che è Dio, allora il miracolo è possibile. Anzi, c’è da aspettarsi che avvengano…
Che cos’è il miracolo? Il miracolo è «un’interferenza», un’interferenza in quest’ordine di cose che chiamiamo «natura». Ha senso di parlare di interferenza nella natura solo se siamo disposti ad ammettere che oltre alla natura ci sia qualcos’altro, altrimenti dobbiamo ritenere che quello che ci appare come un’interferenza sia solo qualcosa che non riusciamo a spiegare. Che non riusciamo «ancora» a spiegare, ma che qualcuno – ora o in un futuro prossimo o lontano –, forse, riuscirà a spiegare… È così che ragionano molti prima ancora di esaminare la credibilità di un racconto di miracolo. È una riflessione che si trova sulla soglia del problema del miracolo e che scoraggia a varcarla. Anzi, induce a credere che quella porta sia una porta sul nulla, una finta porta come ce ne sono a volte nelle vecchie case, e quella soglia non sia nient’altro, in fondo, che una invalicabile barriera di confine.
Io voglio soffermarmi qui e solo qui. Tralascio la pur doverosa e assolutamente interessante questione sui miracoli «in concreto», di cui i miracoli di Gesù – quali ci sono riportati nelle narrazioni evangeliche – costituiscono il centro e il modello perché altri in questo stesso numero de Il Timone lo faranno. Mi limito ad osservare che per il cristiano la questione dei miracoli è assolutamente centrale, in una misura non paragonabile a quella per cui valgono anche in altre religioni. Tanto per intenderci: se il Buddha non avesse fatto miracoli o si mettesse il buddista davanti al fatto scientifico che i racconti di miracoli del Buddha non godono di nessuna credibilità storica, il buddismo come sistema di pensiero non ne risulterebbe sostanzialmente compromesso. Lo stesso si potrebbe dire anche dell’Islam riguardo ai miracoli di Muhammad. Ma lo stesso non vale per il Cristianesimo, perché per il cristiano i miracoli non hanno soltanto la funzione di confermare la verità della sua fede, ma si trovano al centro stesso della sua fede. Al centro della fede cristiana sta un evento complesso, che si snoda in una serie di eventi, il quale costituisce esso stesso un miracolo: dobbiamo anzi dire che si tratta del «Miracolo» con la «M» maiuscola. Dio si è fatto uomo e in quanto Dio-uomo è morto ed è risorto ad una vita nuova, in modo tale che da questo evento prende il via una «nuova creazione». Chi crede in Gesù Cristo con una fede viva, cioè che comprende l’amore, si aggrappa a Lui e si lascia per così dire «trascinare» nel vortice di questa nuova creazione. Se i miracoli non hanno senso, perché non si può dare nessuna interferenza in quest’ordine di cose che è la natura, allora questo miracolo non può essere vero e dunque neppure la nostra fede e la nostra speranza in una nuova creazione.
Ecco perché il «simbolo della fede» cristiano incomincia con un articolo che ci parla di Dio e di Dio creatore. «Credo in Dio Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra». Il fatto della creazione è un articolo di fede che rende comprensibile, plausibile e credibile l’articolo centrale: Gesù è il Verbo di Dio, della stessa sostanza del Padre, che si è incarnato, ha patito ed è morto per noi e per noi è risorto, aprendo un’era nuova in cui agli uomini è data la possibilità di entrare in una nuova creazione.
L’esistenza di Dio e la creazione del mondo è un articolo di fede ma anche una verità alla portata – in sé e per sé – della ragione umana. Il concetto di Dio come creatore del mondo e quindi diverso dal mondo, trascendente rispetto a lui, è qualcosa di centrale nella fede biblica dell’Antico Testamento. Si può dire che tutto l’Antico Testamento vuole inculcare questo principio: anche se nel mondo, nella natura, ci sono tante cose meravigliose, che ai nostri occhi appaiono come «divine», esse sono solo il prodotto di un Principio che sta al di là del mondo, al quale soltanto dunque deve andare la nostra adorazione. Nell’ambito della filosofia greca due filosofi sono arrivati a conclusioni che vanno nella stessa direzione: si tratta di Platone e di Aristotele. Questa è la ragione per cui la Chiesa riserva alla loro filosofia un’attenzione privilegiata, quell’attenzione che hanno loro riservata i Padri prima e i grandi scolastici poi, tra cui occupa un posto di assoluto riguardo san Tommaso d’Aquino. Per san Tommaso ci sono cinque vie che ci portano a dover concludere razionalmente all’esistenza di Dio e tutte partono dal rilievo che nelle cose del mondo, al loro livello più profondo che è quello dell’essere, c’è qualcosa che ne denuncia l’insufficienza a star da sole. Io faccio delle esperienze che sono particolari, le nostre esperienze sono sempre particolari: in nessun caso posso dire che «tutte» le cose sono così come io le sperimento, perché non sono mai in grado di sperimentarle tutte. Posso però dire che se tutte le cose fossero come io le sperimento, cioè strutturalmente dipendenti, allora il mondo sarebbe assurdo, perché dipenderebbe… da niente! Ci deve dunque essere da qualche parte un principio di tutte le cose diverso da esse.
Per cercare la spiegazione della natura bisogna uscire dalla natura. Le cose della natura sono. Il loro essere non è illusorio: tutte esercitano quell’attività fondamentale che sta alla base di tutto il loro agire, esse «sono». Non posso camminare, dipingere, ascoltar musica o leggere Il Timone se «prima» non sono. Quest’attività però non l’ho sempre esercitata perché ci fu un tempo in cui non ero… e non sono in grado di esercitarla in tutta la sua ampiezza, perché ci sono tante cose che io non sono e il mio essere è limitato e condizionato in mille modi che sperimento concretamente tutti i giorni. Allora vuol dire che l’«essere» non appartiene alla mia natura, che io non sono l’essere, ma ho l’essere e se ce l’ho, vuol dire che esso mi viene da qualche parte. Se tutto ciò che esiste fosse del tipo «ricevo l’essere», allora ci troveremmo davanti al flusso di qualcosa senza che ci sia la sua sorgente, ci troveremmo davanti all’assurdo. La Bibbia ci dice che «In principio Dio creò il cielo e la terra»: ecco la sorgente dell’essere che cercavamo. Ci
dice anche che Dio ha creato il mondo dicendo «sia» e il mondo è sorto: «Dio disse: “Sia la luce!”. E la luce fu» (Gn 1,3); «Dio disse: “Sia il firmamento …”. (…) E così avvenne » (6-7); «Dio disse: “Ci siano luci nel firmamento del cielo …”. E così avvenne» (14-15). Dio opera mediante la parola e mediante una parola che è un comando, cioè mediante un atto di assoluta libertà: cioè avrebbe anche potuto comandare altrimenti o non comandare affatto. Il mondo (la natura) viene da Dio e da lui dipende, senza di lui non potrebbe essere, ma Dio non dipende dal mondo e senza il mondo è sempre stato e potrebbe tranquillamente stare. Se Dio «decide» allora è libero e quindi è «Persona». Se non fosse così allora Dio farebbe tutt’uno con la natura, sarebbe un pezzo di natura, il pezzo più bello e più sublime, il nucleo più splendente e più misterioso, ma sarebbe pur sempre una parte di essa, mentre per spiegare la natura bisogna assolutamente uscire dalla natura, come avevano ben capito anche i pagani Platone ed Aristotele.
Ma se fuori dalla natura c’è la Persona onnipotente e libera di Dio che questa stessa natura conosce bene, per la semplice e buona ragione che l’ha fatta lui…, perché mai ci dovremmo stupire se si danno delle «interferenze»? O meglio esse – quando si danno – sono certamente delle cose che «stupiscono» ed è per questo che si chiamano «miracoli», ma questo stupore non è una irruzione dell’assurdo nella nostra ordinaria e tranquilla razionalità, uno stordimento sentimentale ed emotivo che scacciamo subito come un brutto sogno non appena torniamo a «ragionare», perché è proprio ragionando che ci rendiamo conto che si tratta di eventi non assurdi, anche se non «normali», cioè non conformi alle leggi ordinarie della natura. Se però le leggi dicono sempre riferimento ad un legislatore, cioè ad una mente, allora, anche se i «miracoli» non sono conformi alle leggi della natura – che non è «il tutto» –, essi saranno però conformi ad altre leggi più elevate, tratti geniali di quella progettualità senza limiti che è propria alla mente infinita da cui è venuta anche la natura, quella progettualità o «logica fantasia» che in linguaggio biblico possiamo chiamare divina «Sapienza». I miracoli non sono gesti arbitrari e dispotici, ma «segni» del progetto di Dio sulla natura. Segni che rimandano al «Segno» per eccellenza, al «Miracolo » che è l’incarnazione del Verbo e – in definitiva – alla sua Risurrezione. Il progetto di Dio in atto è il suo «Regno», ecco allora che i miracoli stessi di Gesù sono posti in relazione al Regno di Dio che viene e si afferma nel mondo a partire proprio dal Cristo. I discepoli di Giovanni Battista vanno da Gesù e gli chiedono «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?». Cioè: sei tu il Messia che inaugura il Regno di Dio? «Gesù rispose: “Andate e riferite a Giovanni ciò che voi udite e vedete: I ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l’udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella…”» (Mt 11,3-5).
Dire che i miracoli sono possibili, anzi c’è da aspettarsi che avvengano anche se con quella «straordinarietà» e quindi relativa rarità che è loro caratteristica (altrimenti che «miracoli» sarebbero?) non vuol dire che non si debba prestare la dovuta attenzione a riconoscerli, a «discernerli». Nella teologia cristiana si riserva il nome di miracoli alle «interferenze» di Dio, perché si sa che sono possibili altre «interferenze». Se questa natura non è «il tutto», niente impedisce che altri «sistemi», anch’essi voluti da Dio e da lui creati – sempre però con il suo permesso – interferiscano con la nostra natura. La Bibbia ci dice che esiste una natura angelica, molto diversa dalla nostra perché puramente spirituale. Così diversa che facciamo fatica a concepirla e, posto che in conformità alla nostra natura corporea dobbiamo sempre accompagnare il nostro pensiero con immagini, esse per così dire «disturbano» l’adeguatezza delle nostre idee rispetto a dei «puri spiriti». La Bibbia ci dice anche che all’interno di questo mondo si è prodotta una scissione («Scoppiò… una guerra nel cielo» Ap 12,7) per cui le interferenze di questa natura con la nostra possono essere di carattere sia buono che malvagio. Possono esistere cioè «prodigi» diabolici, che la teologia definisce di ordine «preternaturale» per distinguerli dai miracoli che sono di ordine «soprannaturale».
Davanti a un racconto di miracolo dobbiamo chiederci: «è successo per davvero?». Non è stata una allucinazione, una stranezza che però – a ragion veduta – può avere una spiegazione naturale? Non si tratta, più semplicemente, di un’invenzione? Se questa indagine fattuale dà esito positivo, allora dobbiamo chiederci: «È opera di Dio o di qualche spirito malvagio?». Potrebbe anche essere opera di uno spirito buono – di un «angelo santo»; gli angeli di Dio però, i suoi «messaggeri», agiscono sempre in perfetta obbedienza e conformità con il piano di Dio e quindi il loro operare si può riportare all’agire del Creatore. Qui la considerazione da storica e filosofica si fa teologica: l’agire di Dio è sempre coerente con il suo progetto al cui centro sta Gesù Cristo, la sua vita, la sua dottrina e la sua opera. Il miracolo divino opera il bene, produce pace e conduce a Cristo, mentre il prodigio diabolico è spesso insensato, porta confusione e distoglie dalla vera fede nel Figlio di Dio.
Ma non sarà che quello che ora mi appare strano e mi stupisce e non riesco proprio a spiegare un domani la scienza lo spiegherà?
Questo ragionamento, da cui siamo partiti, riposa su un atto di fede: che «la Scienza» un giorno spiegherà tutto. In questo assomiglia alla nostra fede. Ma, a differenza della nostra, si tratta di fede irrazionale, perché parte dal presupposto che la natura sia «il tutto» e che quindi in essa – sempre e solo in essa – si debba cercare la spiegazione, quando la natura, da sola, non spiega neppure se stessa. Anche a proposito del miracolo il conflitto non è tra «fede» e «ragione», perché una ragione senza fede, senza una qualche fede, non ci può essere, ma tra fede razionalmente fondata (cfr 1Pt 3,15) e fede irrazionale.
IL MIRACOLO
«Che cos’è miracolo?
Miracolo è un fatto sensibili, superiore a tutte le forze e leggi della natura, e perciò tale che può venire solo da Dio, Padrone della natura».
(Catechismo di san Pio X, n. 87).
Bibliografia
Clive Staples Lewis, La mano nuda di Dio. Uno studio preliminare sui miracoli, trad. it., G.B.U., 1987.
Giuseppe Tanzella-Nitti, Miracolo, in: Giuseppe Tanzella-Nitti – Alberto Strumia (a c. di), Dizionario Interdisciplinare di Scienza e Fede. Cultura scientifica,
filosofia e teologia, Urbaniana University Press – Città Nuova Editrice, 2002, pp. 958-978.
René Latourelle, S.J., Miracolo, in: René Latourelle, S.J. – Rino Fisichella (a c. di), Dizionario di Teologia Fondamentale, Cittadella, 1990, pp. 748-771.
René Latourelle, S.J., Miracoli di Gesù e teologia del miracolo, Cittadella, 1987.
Dossier: Il Miracolo
IL TIMONE – N.49 – ANNO VIII – Gennaio 2006 – pag. 36-38