Poco conosciuto, eppure confermato da molte autorevoli testimonianze, fra cui quella dell’attuale Pontefice. Un’ostia raccolta per terra diventa la “prova” della presenza reale di Cristo nel pane consacrato. Confermata dalle analisi di laboratorio…
È un fatto straordinario, poco conosciuto. Un segno considerato «serio» dalla Chiesa di Buenos Aires, come ci ha confermato uno dei vescovi ausiliari della diocesi primaziale argentina, ma sul quale volutamente non si è fatto alcun clamore: se n’è parlato in alcuni siti web, a descriverlo per primo è stato il religioso Mieczyslaw Piotrowski, dei padri scolopi, e nei mesi scorsi Antonio Socci l’ha fatto conoscere attraverso un articolo sul quotidiano Libero.
Il teatro di questo segno eucaristico è la chiesa parrocchiale di Santa Maria nel centro della capitale porteña, fra i quartieri Almagro e Caballito. Secondo il racconto reso noto da Piotrowski il 18 agosto 1996, alle ore 19, alla fine della messa celebrata nella chiesa parrocchiale, padre Alejandro Pezet aveva visto venirgli incontro un fedele che aveva trovato un’ostia abbandonata in un angolo della chiesa. Caduta, dimenticata, oppure profanata da qualcuno che l’aveva ricevuta facendo la comunione? Impossibile dirlo. Il prete, seguendo la prassi stabilita per questi casi, aveva messo la particola in un contenitore con dell’acqua riponendola nel tabernacolo. Pochi giorni dopo, il 26 agosto, aveva constatato che la particola invece di dissolversi nell’acqua si era trasformata in una frammento di carne sanguinosa.
Il parroco – sempre secondo la cronaca di Piotrowski – avrebbe informato l’allora vescovo ausiliare Jorge Mario Bergoglio, e sarebbe stato da questi consigliato di fotografare quello che era accaduto continuando a conservare il contenitore nel tabernacolo. Due anni dopo, il 28 febbraio 1998, Bergoglio succedeva come arcivescovo di Buenos Aires al cardinale Antonio Quarracino. Constatando che la particola trasformatasi in carne e sangue continuava a rimanere intatta e a non decomporsi, il nuovo arcivescovo aveva dato ordine di eseguire degli esami scientifici. Così, il 5 ottobre 1999, procedeva in questo senso: il dottor Ricardo Castañón Gómez prelevava un campione del frammento di carne inviandolo a un laboratorio statunitense senza nulla specificare sulla sua origine.
Questo, secondo il racconto di padre Piotrowski, è stato l’esito delle analisi, eseguite e firmate dal dottor Frederic Zugiba, cardiologo e medico legale: «Il materiale analizzato è un frammento del muscolo cardiaco tratto dalla parete del ventricolo sinistro in prossimità delle valvole. Questo muscolo è responsabile della contrazione del cuore. Va ricordato che il ventricolo cardiaco sinistro pompa sangue a tutte le parti del corpo. Il muscolo cardiaco in esame è in una condizione infiammatoria e contiene un gran numero di globuli bianchi. Ciò indica che il cuore era vivo al momento del prelievo… dal momento che i globuli bianchi, al di fuori di un organismo vivente, muoiono… Per di più, questi globuli bianchi sono penetrati nel tessuto, ciò indica che il cuore aveva subito un grave stress, come se il proprietario fosse stato picchiato duramente sul petto».
Tra i testimoni di queste analisi c’erano due australiani, il giornalista Mike Willesee e l’avvocato Ron Tesorier, i quali avevano chiesto quanto possono sopravvivere i globuli bianchi in un frammento di carne umana tenuto in acqua. Il dottor Zugiba aveva risposto: «Soltanto per pochi minuti». Il medico legale che aveva eseguito le analisi, venuto a conoscenza del fatto che il frammento era rimasto per un mese in acqua e per tre anni in acqua distillata, e che apparteneva originariamente a una particola, era rimasto sconvolto.
Grazie alle sue ricerche con le fonti argentine, Socci è stato in grado di correggere parzialmente il racconto di Piotrowski, aggiungendo nuovi particolari inediti. «In realtà i “segni” – scrive il giornalista – sono ben più di uno e cominciano nel maggio 1992, lo stesso mese ed anno in cui Bergoglio fu nominato vescovo ausiliare di Buenos Aires».
«Il 1° maggio di quell’anno, un venerdì, due pezzi di ostia furono trovati sul corporale del tabernacolo. Su indicazione del parroco furono messi in un recipiente d’acqua posto poi nel tabernacolo. Però passavano i giorni e le particole non si scioglievano. Venerdì 8 maggio si notò che i due frammenti avevano assunto un colore rosso sangue. Domenica 10 maggio – alle messe serali – furono notate delle gocce di sangue sulle patene, il piattino su cui si pone l’ostia. Domenica 24 luglio 1994 mentre il ministro dell’eucarestia prendeva il calice contenuto nel tabernacolo si accorse che una goccia di sangue scorreva sulla parete interna dello stesso tabernacolo».
«Dopo questi segni – continua Socci – si arriva ai fatti dell’agosto 1996… Ma – a quanto risulta – iniziano non il 18, ma il 15, festa dell’Assunzione di Maria al cielo. Quando poi ci si accorse della inaudita metamorfosi di quella particola, fu informato direttamente l’arcivescovo Quarracino. Fu lui (dunque non Bergoglio) che raccomandò la massima discrezione, dette le indicazioni sulla conservazione dei frammenti e ordinò che si stilasse un resoconto dei fatti fotografando tutto e facendo studi approfonditi. Tutto fu poi spedito a Roma».
A proposito degli studi e delle analisi compiute, il giornalista ha accertato che nel 1992 il sangue era stato fatto analizzare da un medico del posto che era una parrocchiana e da altri ematologi. Tutti rilevarono che si trattava di sangue umano.
«Nel 1999 – stando a quanto risulta a me – l’arcivescovo Bergoglio (che cominciò a occuparsi del caso solo dal giugno 1997, una volta diventato coadiutore dell’arcidiocesi) autorizzò analisi approfondite negli Stati Uniti di entrambi i “casi”, quello del 1992 e quello del 1996. E tutto si svolse nel 2000».
Le prime analisi si sono svolte in California. Nei risultati si rilevava che il campione del 1992 conteneva anche frammenti di pelle umana. Veniva poi effettuata l’analisi sul campione del 1996, in un laboratorio di New York, col risultato di cui abbiamo parlato sopra.
La discrezione, la prudenza nel gestire il caso e il mancato clamore erano state raccomandate dal cardinale Quarracino. Il suo successore Bergoglio ha continuato su questa strada, seguendo le indicazioni contenute in un documento della Congregazione per la dottrina della fede, datato 25 febbraio 1978 e intitolato Norme per procedere nel discernimento di presunte apparizioni e rivelazioni. Dalla sequenza degli eventi si evince che è stato il futuro Papa a disporre le analisi scientifiche per accertare quanto accaduto, accogliendo anche le richieste della comunità parrocchiale, che non ha mai voluto dar adito a spettacolarizzazioni dell’evento, e ha sempre cercato invece di viverlo con devozione approfondendo il mistero dell’eucaristia.
Bergoglio – scrive Socci – andava «diverse volte ogni anno a fare lì l’adorazione eucaristica. Che pian piano è diventata adorazione permanente e ora sta coinvolgendo un numero sempre crescente di parrocchie. Il cardinale esortava a non trasformare in un rito quell’adorazione, ma a commuoversi, a stupirsi di Gesù e a chiedergli che lasciasse la sua impronta indelebile nel proprio cuore».
Qualche anno prima di diventare Papa, l’arcivescovo Bergoglio, nel corso di una meditazione televisiva sull’eucaristia e sul sacerdozio, aveva detto: «Nell’Ultima cena è nato il sacerdozio. Non c’è eucaristia senza sacerdozio e il sacerdozio non esiste senza eucaristia. Solo il sacerdote che ha ricevuto i sacramenti degli ordini sacri può validamente celebrare l’Eucaristia, perché c’è qualcosa di misterioso lì. L’Eucaristia non è una riunione di amici che vengono per pregare e per mangiare pane e vino. L’eucaristia è fondamentalmente sacerdotale, perché la prima eucaristia fu celebrata in modo sacerdotale dall’unico sommo sacerdote, del cui sacerdozio noi tuttavia partecipiamo, Gesù Cristo. Egli era il sacerdote, egli era la vittima del sacrificio. Una volta, quando ero in seminario, mia nonna mi disse: “Non ti dimenticare mai che stai per diventare un sacerdote e la cosa più importante per un sacerdote è celebrare la messa” e mi raccontò di una madre che disse a suo figlio – che era un prete veramente santo –: “Celebra la messa, ogni messa, come se fosse la prima e l’ultima”.
Con quanta grandezza un sacerdote deve prepararsi per celebrare la santa eucaristia, una cosa così bella, una cosa così grande, qualcosa che si sente con gioia. E ciò che si applica al sacerdote, si applica in qualche modo anche a ciascuno dei fedeli, che partecipano al sacerdozio comune dei fedeli ordinati. Essi non possono celebrare l’eucaristia, ma possono partecipare alla celebrazione: questa è la cosa più grande che può aver luogo durante la giornata, questa la più profonda, la più preziosa. Per questa ragione noi ci uniamo a Gesù Cristo, il Sacerdote, che offre il suo sacrificio al Padre. Ma, tornando alla figura del sacerdote, se qualcuno di voi che mi state ascoltando è un giovane, non ti emoziona… non senti che Dio ti sta chiamando a questa grande cosa: avere nelle tue mani il Corpo di Cristo?».
IL TIMONE N. 127 – ANNO XV – Novembre 2013 – pag. 44 – 45
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