Ormai da qualche tempo c’è un prete genovese che sta cercando di far circolare per le parrocchie italiane una sua «Lettera aperta» al Papa per diffidarlo dal permettere la Messa col vecchio rito tridentino. La (lunga) lettera si apre con una minuziosa storia della liturgia e, ovviamente, intende spiegare al Papa come si fa correttamente il suo mestiere. Si chiude con un avvertimento al suddetto: stia bene attento a quel che fa, sennò i progressisti si arrabbiano di brutto. Si cita al proposito, naturalmente, l’autorità del gesuita Bartolomeo Sorge, il quale l’aveva detto che con l’elezione di Ratzinger ci sarebbe stata, ahimé, una restaurazione. Infine, si suggerisce perentoriamente un nuovo concilio, di cui si detta nel dettaglio il programma.
Ma andiamo con ordine e citiamo qualche frase pregnante dalla lettera del prete genovese, così, tanto per far capire il tono. Eccone una: «Alla schiera dei nostalgici si è iscritto di sua iniziativa il card. Joseph Ratzinger, allora prefetto dell’ex Sant’Uffizio e oggi papa Benedetto XVI». Già la scelta di chiamare «ex Sant’Uffizio» la Congregazione per la Dottrina della Fede (nome scelto da papa Paolo VI, molto stimato dall’estensore della lettera aperta) la dice lunga sull’astio, nei confronti del destinatario, di cui trasuda quasi tutto lo scritto. Ma la frase così prosegue: «Egli in un suo libro autobiografico (La mia vita: ricordi 1927-1977, San Paolo, Cinisello Balsamo, 1997, pp. 110-113) dimostra di non essere sufficientemente informato sulla questione storica del “Messale”». Proprio così. Il prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il cardinale che ha vegliato per decenni sulla, appunto, dottrina cattolica, è un disinformato che ha bisogno di una buona lezione. Adesso che questo disinformato è diventato addirittura Papa su – si dice – designazione dello stesso predecessore, cioè Karol “santosubito” Wojtyla alias Giovanni Paolo II, sappia, da parte del prete genovese, che «in quanto papa della Chiesa cattolica egli non può fare quello che vuole» ma, va da sé, chiedere, semmai, il preventivo permesso all’estensore della lettera aperta.
Sì, perché una cosa deve essergli subito chiarita: «Ripristinare il rito di Pio V (si noti l’omissione di “San”, ndr) di fronte alla totalità dei credenti apparirebbe come una sconfessione dei papi Giovanni XXIII e Paolo VI e anche un atto di sabotaggio del magistero del concilio Vaticano II». Ohibò, nientemeno: un Papa che sabota il magistero. Il quale Papa, per giunta, ha osato riaccogliere «quanti si sono staccati dal movimento di Lefebvre per rientrare nella Chiesa cattolica», concedendo loro nella diocesi di Bordeaux l’istituzione dell’Istituto Buon Pastore come “società di vita apostolica di diritto pontificio”, cioè soggetta solo al Papa. «Lo scisma è istituzionalizzato», si straccia le vesti il Nostro. Il quale ammonisce: «Conferire il diritto esclusivo all’uso dell’ecclesiologia tridentina e negare la validità del concilio Vaticano II (e dalli! ndr) e la nuova ecclesiologia è la stessa cosa». Con il che, ancora una volta si insegna il mestiere al Papa, il quale non ha capito affatto che ormai c’è una «nuova ecclesiologia».
A questo punto, però, verrebbe da dire al prete genovese quel che disse Giovanni Paolo II a quelli che gli rimproveravano l’eccessivo dolore per lo strappo dei lefebvriani: «Ma lo sa che cos’è uno scisma per un Papa?». Evidentemente non lo sa. Infatti, non è lui il Papa. Ma non sembra essersene accorto, visto che nella sua lettera aperta continua a dare lezioni e a rimproverare, addirittura, «un magistero che serve se stesso e non il bene comune della Chiesa» (e che cosa ci guadagna, il magistero, da ciò? ndr). «Il convegno della chiesa (minuscola nel testo, ndr) italiana di Verona ne è un esempio». Infatti, lo ricordo per gli immemori, alla fine di esso il Papa praticamente sconfessò tutte le tirate progressiste che fin lì erano state dette, perfino la gratuita presa di distanze di Tettamanzi, arcivescovo di Milano, dai cosiddetti teocon (tra cui Pera, col quale Ratzinger ha avuto una lunga comunanza di vedute). Ed ecco la citazione di padre Sorge: «E’ sensazione diffusa che, dopo la stagione profetica del primo postconcilio, la comunità ecclesiale italiana stia attraversando una fase di normalizzazione». Chissà perché tutto quel che i progressisti pensano di se stessi è «profetico». Mah. Ed ecco il grido di dolore dei trombandi: «L’istituzione prevale sulla profezia, la struttura sul carisma e la legge sullo spirito». Qualunque cosa ciò voglia dire. Ma è la langue de bois dei progressisti e bisogna rassegnarsi. Sentite ora: «Dietro al ripristino del messale di Pio V si cela e nemmeno tanto il progetto di un ritorno alla “Chiesa-cristianità” di stampo medievale». Quale orrore! E, per giunta, «possibilmente con governi cattolici che fungano da braccio secolare nella difesa degli interessi di reciproca utilità». Addirittura! Da tagliarsi le vene! Sì, perché ciò «significa rallentare il cammino della storia». Quella che, trionfalmente, passò dalla ghigliottina alle cannonate di Porta Pia, senza contare i genocidi religiosi del XX secolo e il revival dell’integralismo islamico, ultimo frutto della marcia della storia. E adesso l’ultimatum: «chiediamo al papa di adempiere il suo mandato di rafforzare il popolo di Dio nella fede, facendo un pubblico ed espresso atto di ossequio nel (sic) concilio ecumenico Vaticano II». La lettera si conclude con una chiamata a raccolta: «Vogliamo impegnarci e lavorare per la convocazione di un nuovo concilio che abbia nella sua agenda i grandi temi del terzo millennio: la sopravvivenza della terra; la povertà di tre quarti dell’umanità; l’acqua (…); lo sviluppo compatibile; la guerra bandita». Fin qui è puro no-global (infatti, la proposta viene da Genova). Poi: «il ritorno al “principio” della Parola (boh, ndr); la struttura della Chiesa popolo di Dio (cioè, largo alla “base”, ndr); il contenuto e lo stile dell’autorità come servizio (idem, ndr); i criteri di scelta dei vescovi (idem, ndr); la teologia come comunione di teologie (quali, anche quelle protestanti? ndr); (omissis per tedio, ndr); il sacerdozio coniugato e il celibato (ti pareva, ndr); la Chiesa è donna (sic!); gli ordinariati militari (da abolire, ndr); il rapporto con “i regni di questo mondo” (concordati?)». Anche questi ultimi sono da spazzare via, perché la Chiesa sia “pura” e “profetica”, amen. La lettera finisce con due severi ammonimenti: uno, «volere ritornare al passato ripristinando formule e riti di altri tempi e fuori tempo è sintomo di paura, peccato di superbia e sfiducia nello Spirito Santo»; due, «i papi, i cardinali, le messe e i riti passano». I preti genovesi, invece, no.
IL TIMONE – N.59 – ANNO IX – Gennaio 2007 pag. 20 – 21