Si sa che il rapporto fra cristianesimo ed ebraismo costituisce un problema da duemila anni, un problema religioso legato al mancato riconoscimento di Gesù Cristo come Messia da parte del Sinedrio, e un problema politico dalla nascita dello Stato di Israele, legato al riconoscimento di uno statuto speciale per Gerusalemme, città santa per le religioni ebraica, islamica e cristiana.
È così evidente come il pellegrinaggio giubilare di Papa Giovanni Paolo II in Terra Santa, svoltosi nel mese di marzo 2000, sia stato uno dei più attesi dal Papa, ma anche uno dei più difficili. Non posso entrare in questa problematica, che tocca il mistero di Israele, il suo legame e il suo distacco dalla Chiesa, il nuovo Israele, e quindi duemila anni di incomprensioni, di confronto e di scontri. Ma mi chiedo cosa possa dire il cristiano al pio israelita per iniziare a parlargli, partendo dal patrimonio comune delle rispettive fedi, e così cerco ispirazione nei discorsi pronunciati dal Santo Padre nel recente pellegrinaggio.
Quest’ultimo si è svolto in due fasi, dal 24 al 26 febbraio 2000, in Egitto, quando il Papa ha potuto sostare ai piedi del Monte Sinai, e dal 20 al 26 marzo in Terra Santa; a queste due fasi si deve aggiungere la commemorazione, avvenuta a Roma, nell’Aula Paolo VI, di Abramo “nostro Padre nella fede”, che per ragioni internazionali il Papa non ha potuto celebrare a Ur dei Caldei, oggi in territorio irakeno. Tra le due fasi, nell’udienza generale dell’1 marzo, il Papa ha parlato dei Dieci Comandamenti e ha ricordato le parole del Deuteronomio: “Ascolta Israele …Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze. Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore; li ripeterai ai tuoi figli” (6,4-7). “I Dieci Comandamenti – ha ricordato il Pontefice – schiudono davanti a noi l’unico futuro autenticamente umano e questo perché non sono l’arbitraria imposizione di un Dio tirannico. Jahvè li ha scritti nella pietra, ma li ha incisi soprattutto in ogni cuore umano quale universale legge morale valida ed attuale in ogni luogo ed in ogni tempo”. Parole analoghe aveva affermato il 26 febbraio, durante l’omelia nella Messa celebrata al Monte Sinai.
Così, dopo aver pensato ai Dieci Comandamenti come inizio di un’ipotetica conversazione con un ebreo, ho pensato anche ai musulmani, che il Papa avrebbe incontrato numerosi e accanto agli ebrei nel pellegrinaggio in Terra Santa, poiché Dio ha inciso il Decalogo in ogni cuore umano. Ho cercato, nei diversi discorsi del Papa in Terra Santa, ogni richiamo ai Dieci Comandamenti, quasi come un’eco di quel “Ascolta Israele …” e delle successive parole che il pio ebreo ripete ogni giorno, perché sono nel suo cuore come in quello del musulmano e del cristiano, che sa di non poter essere fedele a Dio senza cercare di osservarne la Legge.
Così ho trovato che, nell’omelia della Messa celebrata ad Amman, in Giordania, il 21 marzo, sempre nell’ambito del pellegrinaggio giubilare, Giovanni Paolo II ha detto che i Dieci Comandamenti “sono la divina pedagogia dell’amore, poiché indicano l’unico cammino sicuro per il compimento del nostro anelito più profondo: l’insopprimibile ricerca dello spirito umano del bene, della verità e dell’ armonìa “. Mentre nella santa Messa celebrata per i giovani sul Monte delle Beatitudini, il 24 marzo, ha ricordato che “la Legge e le Beatitudini insieme tracciano il cammino della sequela di Cristo e il sentiero regale verso la maturità e la libertà spirituali”, aggiungendo che i Dieci Comandamenti possono sembrare negativi, ma non lo sono, perché “andando oltre il male che nominano, indicano il cammino verso la legge d’amore che è il primo e il più grande dei Comandamenti: ‘Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente … Amerai il prossimo tuo come te stesso’ (Mt 22, 37-39). Gesù stesso afferma di non essere venuto per abolire la Legge, ma per darle compimento (cfr. Mt 5,17). Il suo messaggio è nuovo ma non distrugge ciò che già esiste”. Ancora, durante la Messa celebrata il 26 marzo nella chiesa del Santo Sepolcro, il Papa ha affermato che “attraverso il Decalogo e la legge morale inscrìtta nel cuore umano (cfr. Rm 2,15), Dio sfida radicalmente la libertà di ogni uomo e di ogni donna. Rispondere alla voce di Dio che risuona nel profondo della nostra coscienza e scegliere il bene è l’uso più sublime della libertà umana”.
IL TIMONE – N. 9 – ANNO II – Settembre/Ottobre 2000 – pag. 23