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12.12.2024

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Il Papa voleva la pace
2 Aprile 2014

Il Papa voleva la pace

La voce di Benedetto XV si è alzata chiara e forte contro la Grande Guerra, l’«inutile strage». Ma i cattolici del continente si muovevano fra l’insegnamento del Papa e il nazionalismo dei rispettivi Stati

Quando, il 3 settembre 1914, il cardinale Giacomo Paolo Giovanni Battista della Chiesa, arcivescovo di Bologna, venne eletto al soglio pontificio, era passato poco più di un mese dall’inizio del conflitto destinato a passare alla storia come Grande Guerra. Saranno questo evento, nel quale l’Europa correva incosciente verso il suicidio, e la continua ricerca di una pace «giusta e duratura» a caratterizzare l’intero Pontificato di Benedetto XV. Alla guerra e alla pace è dedicata la sua prima enciclica Ad Beatissimi Apostolorum del 1° novembre 1914, che si apre con un grido di dolore per lo «spettacolo che presenta l’Europa, e con essa tutto il mondo, spettacolo il più tetro forse ed il più luttuoso nella storia dei tempi».
Seguirono, ugualmente trascurati, l’invito a sospendere i combattimenti almeno nel periodo del Santo Natale e, il 28 luglio 1915, a un anno dall’inizio del conflitto (dal 24 maggio vi partecipava, a fianco dell’Intesa, anche l’Italia) l’esortazione apostolica Allorché fummo chiamati, rivolta ai popoli e ai loro reggitori che, posti dalla Divina Provvidenza alla guida delle Nazioni belligeranti, portavano «innanzi a Dio e agli uomini la tremenda responsabilità della pace e della guerra».
Senza lasciarsi scoraggiare dall’assenza di risultati, il Papa continuò a lavorare per la pace con una intensa, anche se quasi sempre sotterranea, attività diplomatica e, il 1° agosto 1917, nel momento più drammatico della guerra, quando la strage appariva ormai fine a se stessa senza che nessuno dei contendenti riuscisse a prevalere, pubblicò l’esortazione apostolica Dès le Début, diretta anch’essa Ai Capi dei popoli belligeranti. È questo l’atto che la storia ha poi scelto a simbolo del pontificato di Benedetto XV, ponendo al centro la definizione (in seguito più volte ripresa) della guerra quale «inutile strage».
In quel momento la situazione dell’Europa era tale che questa volta l’appello di Benedetto non poté essere lasciato cadere nel vuoto. Tuttavia le trattative condotte per giungere, senza vinti e vincitori, alla pace giusta e duratura da lui invocata, fallirono soprattutto per l’opposizione dei comandi militari della Germania, disposta ad accettare solo una “pace vittoriosa”, e dell’Italia, il cui governo era perfettamente consapevole di non potere sopravvivere all’inevitabile crisi politica se l’immane sacrificio non avesse portato i risultati promessi, per attenuare la diffusa opposizione alla guerra e al colpo di mano del Re e del presidente del Consiglio Antonio Salandra (1853-1931), che avevano deciso l’intervento senza l’avallo del Parlamento.
In tutti i suoi interventi a favore della pace e perché venissero deposte le armi, Benedetto XV ebbe sempre la massima cura di evitare non solo qualunque atteggiamento che potesse fornire pretesto al dubbio di sue propensioni per l’uno piuttosto che per l’altro dei belligeranti, ma anche qualunque accenno che potesse suonare invito alla disobbedienza, a quella che oggi si definirebbe obiezione di coscienza.
Ovviamente è questo l’atteggiamento cui erano tenuti ad attenersi tutti i sacerdoti cattolici dovunque esercitassero il loro ministero e ancor più, per la dignità e l’autorità di cui erano investiti, i vescovi.

I problemi dei cattolici
Tuttavia diversa era la situazione delle Nazioni coinvolte nel conflitto. Diversi quindi anche i problemi che i singoli episcopati si trovarono ad affrontare prima e dopo l’entrata in guerra dei loro Paesi e diverse anche le personalità e le convinzioni “politiche” degli uomini che vi erano preposti.
Prima dell’entrata in guerra, l’atteggiamento prevalente della Gerarchia ecclesiastica sembra essere stato un po’ dappertutto (meno in Francia, certamente in Italia, che però rappresentava un caso particolare per l’ancora irrisolto conflitto che da oltre mezzo secolo opponeva Stato italiano e Chiesa cattolica) quello favorevole al mantenimento della pace mentre, a guerra iniziata, gli Stati che ancora non vi prendevano parte propendevano anch’essi per la scelta della neutralità. Una volta che la Nazione era entrata in guerra, l’opzione neutralista, da non confondere con la persistente aspirazione alla pace, diveniva impossibile e la grande maggioranza dei vescovi di tutti i Paesi si attenne, in via di principio, all’insegnamento del Papa che, tradotto in termini concreti, comportava ferma condanna della guerra, ma anche sollecitazione dei fedeli all’osservanza delle leggi dello Stato e all’obbedienza agli ordini delle autorità.
Questo in via di principio. In realtà, non mancarono posizioni diversificate anche da parte di vescovi, dovute ai maggiori o ai minori entusiasmi patriottici della loro personalità e alla storia dei loro Paesi. In Francia, in modo particolare, ma anche in Inghilterra e in Germania, il patriottismo comportava pressoché automaticamente l’aspirazione non alla pace, ma alla vittoria, sicché sarebbe risultato comunque difficile per il clero cattolico, che pure spesso tentò di farlo, non adeguarsi alle attese dei governanti e, soprattutto, dei propri fedeli. Più arduo ancora il compito nei Paesi a maggioranza protestante e nel Regno Unito. Qui, a parte il caso particolare dell’Irlanda, dove gli indipendentisti cattolici ritenevano che la sconfitta dell’Inghilterra avrebbe favorito l’indipendenza della loro isola, la minoranza cattolica era guardata con diffidenza, perché, in quanto papista, la si sospettava più propensa ad obbedire ai comandi del Pontefice che a quelli dell’autorità del proprio Paese, sicché divenne quasi indispensabile eccedere in zelo patriottico.

Il caso Italia

In un certo senso ancora peggiore, a causa del persistere di pessimi rapporti fra Stato e Chiesa e dell’impronta ancora nettamente massonica del governo e dello stesso interventismo, la situazione in Italia, dove comunque i vescovi e la gran massa del clero si attennero con maggiore rigore che altrove alle indicazioni del Papa, pur se non mancarono sacerdoti e vescovi interventisti e inclini, quanto meno, alla “pace vittoriosa”. Fra questi, monsignor Orazio Mazzella, vescovo di Rossano (1898-1917), poi di Taranto, noto per avere definito giusta e legittima la guerra dell’Italia in quanto non espansionistica, nonostante l’aspirazione alla conquista di Trento e Trieste, ma difensiva, perché rivolta contro la volontà aggressiva degli Imperi centrali, consistendo l’aggressione nella pretesa di tenere sotto la propria sovranità territori naturalmente italiani.
Pesava anche in tutta Europa la tradizionale abitudine, dura a morire nonostante il radicale mutamento del contesto, di usare i luoghi di culto per implorare da Dio il successo dei propri eserciti e per ringraziarlo con solenni Te Deum per le vittorie. Una situazione efficacemente ritratta dallo scrittore irlandese e suddito britannico George Bernard Shaw, quando disse che sarebbe meglio chiudere le chiese, piuttosto che in esse si preghi per l’annientamento del nemico.
In definitiva una situazione che, aggiungendosi all’insuccesso del suo impegno contro l’inutile strage, pur se non lo fece mai deflettere dall’impegno contro la guerra e, a conflitto concluso, dalle critiche a una pace che, non essendo giusta non poteva essere (come in effetti non fu) garanzia di un pacifico futuro, amareggiò grandemente Benedetto XV. Nell’agosto del 1917, quando le cancellerie europee erano ancora al lavoro intorno al suo documento, il Papa ricevette il più doloroso dei rifiuti proprio dall’interno del mondo cattolico, dal padre domenicano e celebre neo-tomista Antonin-Dalmace Sertillanges (1863-1948), che, predicando nella chiesa della Madeleine di Parigi, lo interpellò direttamente, gridandogli: «Santo Padre, noi non vogliamo la vostra pace» (Sabino Frigato, La difficile democrazia. La dottrina sociale della Chiesa da Leone XIII a Pio XII [1878-1958], Effatà 2007, p. 74).

 
 
Per saperne di più…

Guido Verucci, La Chiesa nella società contemporanea, Laterza, 1999.
John F. Pollard, Il Papa sconosciuto Benedetto XV (1914-1922) e la ricerca della pace, San Paolo, 2001.
Letterio Mauro [a cura di], Benedetto XV. Profeta di pace in un mondo in crisi, Minerva Edizioni, 2008.
Oscar Sanguinetti, Benedetto XV, un grande Papa per un breve pontificato, in Storia & Identità (Annali Italiani on line).

IL TIMONE –  Aprile 2014 (pag. 44-45)

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