Senza Dio è impossibile ogni pacifica convivenza: colpa del peccato originale. L'ultimo libro di Eugenio Corti fornisce una prova storica.
Eugenio Corti non finirà mai di stupirci: dopo il diario della ritirata di Russia I più non ritornano, dopo la celebre tragedia Processo e morte dì Stalin (di cui parlammo su queste pagine pochi mesi fa), dopo il best-seller internazionale II cavallo rosso, dopo decine e decine di saggi storici sul mondo comunista, eccolo cimentarsi con un genere del tutto diverso, il “racconto per immagini”, come lo definisce lui stesso: una sorta di sceneggiatura, pensata e costruita per una trasposizione televisiva o cinematografica (a questo genere, sia detto per inciso, l'Autore ha deciso di dedicare una “trilogia”, insieme a La terra dell'Indio (Ares 1998) e Catone Maggiore, in corso di stesura).
Il tema, l'ammutinamento del Bounty del 1789 (data ricca di evocazioni…), assurge tuttora alla dignità del mito in Inghilterra, dove è periodicamente rivisitato con un'insistenza inimmaginabile, mentre da noi deve la sua celebrità soprattutto ad alcune più o meno riuscite trasposizioni cinematografiche, dall'ottimo La tragedia del Bounty (con Clark Gable e Charles Laughton, premio Oscar come miglior film nel 1935) al buon Gli ammutinati del Bounty (con Marlon Brando e Trevor Howard, 1962) fino al minore, ma più recente e quindi, forse, più noto Il Bounty (con Mei Gibson e Anthony Hopkins, 1984). Perché uno scrittore brianzolo sente la necessità, nel 2000, di affrontare il tema del Bounty, apparentemente così lontano dalla mentalità e cultura italiana e lombarda? E perché, di quest'incredibile avventura, si sofferma proprio su uno degli aspetti finora meno scandagliati, ossia la vita quotidiana – fino alle tragedie finali – di Fletcher Christian e compagni nell'isoletta di Pitcairn? Perché, come ha spiegato in una recente intervista lo stesso Corti, quegli ammutinati ebbero all'inizio la sensazione di aver trovato il Paradiso in terra mentre “in realtà, in pochi anni si scannarono a vicenda. Che cosa se ne deduce? In un'ottica cristiana, che esiste il peccato originale. L'uomo è corrotto: dovunque va, anche in capo al mondo, anche fuori da ogni ambito civile che possa influenzarlo, in un ambiente quanto mai favorevole, il male rispunta, è dentro di noi, bisogna continuamente combatterlo. Al di fuori di questa spiegazione religiosa, l'insegnamento è che la vita felice, nella libertà assoluta, è impossibile” (II Giornale, 20 luglio 2000).
Il grande pregio di quest'agile opera, leggibile in poche ore proprio grazie all'originale struttura narrativa del “racconto per immagini”, è che sa appassionare: merito non da poco, per un racconto che vuole anche trasmettere un messaggio sul senso della libertà e sulla natura umana. Ma Corti sa bene che un messaggio si può trasmettere solo se lo strumento utilizzato (racconto, romanzo, film) è interessante per lo spettatore/lettore, che sia quindi invogliato a completare la visione/lettura ed, eventualmente, a rifletterci un po' su.
E così, dopo aver terminato la lettura dell'Isola del Paradiso, dopo aver riflettuto sui temi tutt'altro che banali proposti con discrezione da Corti (che lascia il lettore libero di fermarsi, pienamente soddisfatto, all'aspetto avventuroso della narrazione), è con una certa trepidazione che attendiamo che qualche regista (ma chi può essere all'altezza?) ne affronti la trasposizione su piccolo o grande schermo. Senza rovinare tutto, per favore.
BIBLIOGRAFIA
Eugenio Conti, L'isola del paradiso (racconto per immagini), ed. ARES, Milano 2000, pp. 336, Lire 32.000
IL TIMONE – N. 9 – ANNO II – Settembre/Ottobre 2000 – pag. 10-11