Professore, il teologo Hans Urs von Balthasar sosteneva che «solo l’amore è credibile». Voleva dire che, alla fine, ciò che convince in una religione non sono tanto i ragionamenti bensì la vita?
«No. “Solo l’amore è credibile” non nel senso che esso sia un’alternativa alla verità, ma a motivo del fatto che nel cuore del cristianesimo la verità è identica all’amore. È il medesimo evangelista Giovanni, infatti, che pone in bocca a Gesù l’affermazione “Io sono la verità” (Gv 14, 6) e che afferma che “Dio è amore” (1Gv 4,8). Scindere verità a amore significa impedirsi di entrare nel mistero cristiano, perché verità e amore sono nel cristianesimo “nomi propri” di Dio, nel senso che il Dio cristiano è essenzialmente verità ed amore insieme. La frase di von Balthasar – che ha anche una dimensione esistenziale – significa dunque: “Solo come amore la verità è credibile”, perché questa è l’autentica verità cristiana e perché solo la verità che è misericordia è ciò cui l’uomo può dare tutta la sua fiducia».
Una celebre e diffusa convinzione sostiene che i cristiani non devono essere solo «credenti», ma «credibili». Che ne pensa?
«Certamente si tratta d’essere anche “credibili”; ma è già chiaro per quanto si diceva che la credibilità non è un’“aggiunta” al credere.
Tanto meno è una tecnica (psicologica, massmediatica, culturale, eccetera) per accattivare il consenso. La fede porta in sé la sua credibilità, perciò la credibilità scaturisce inevitabilmente da una credenza integra e autentica, come la luce da un corpo incandescente.
Credenza e credibilità sono separate invece quando la fede non è intera e sincera e si va cercando un consenso secondo criteri che non sono quelli della fede. Tutto si chiarisce guardando a Gesù di Nazareth e a come lui ha vissuto la sua credibilità».
D’altra parte bisogna anche domandarsi fino a che punto è giusto promuovere la propria fede puntando solo su ciò che «convince» di più. Può darsi infatti che gli argomenti che oggi sembrano più ragionevoli siano anche quelli che dipendono da una «moda» e da un’opinione pubblica conformista; il Vangelo invece ammonisce di non conformarsi a ciò che piace al «mondo».
«È normale che in ogni momento storico alcuni temi del cristianesimo appaiano più interessanti e significativi di altri e quindi più convincenti, perché le circostanze storiche rendono più sensibili a determinate dimensioni dell’esperienza. È evidente, ad esempio, che nell’attuale contesto culturale i valori pubblici connessi al cristianesimo, come il dialogo interreligioso, la solidarietà sociale, la giustizia e la pace internazionali, sono molto più sentiti dei suoi grandi valori mistici ed ascetici. Lo stesso concilio Vaticano II, Paolo VI e Giovanni Paolo II hanno sottolineato quelli ed altri valori, mostrandone la pertinenza con il cristianesimo, soprattutto come esemplificazione dell’impegno storico culturale della fede».
Ma quali sono – secondo lei – i «punti forti» del cristianesimo per l’uomo d’oggi, quelli sui quali la religione cattolica può apparire più convincente?
«In generale, la questione del rapporto fede-cultura è stato uno dei punti forti del magistero degli ultimi quarant’anni. E non va dimenticato, per non correre il rischio di ridurre la fede a esperienza privata. Mi sembra al tempo stesso, però, che si vada sempre più delineando una situazione culturale per cui è sempre più in discussione l’identità dell’uomo come tale; vedi, solo per esemplificare, la rilevanza
cultural-politica delle questioni della generazione, vita, relazione, identità anche sessuale, eccetera. In queste condizioni la Chiesa è sempre più chiamata a dire “chi sia l’uomo” (“Ecce homo”), cioè ad annunciare Cristo come tale. In sintesi, direi che c’è un “punto forte” del cristianesimo per l’uomo d’oggi ed è Cristo. È sempre più urgente “render noto” (come diceva san Pietro nel primo annuncio) che è successo qualcosa di straordinario, di cui l’uomo – forse in specie quello contemporaneo – ha uno straordinario bisogno perché tutti i riferimenti tradizionali si stanno rapidamente dissolvendo e l’uomo rischia di dissiparsi in un rinnovato paganesimo o di incarcerarsi in un nuovo legalismo».
Affermare la credibilità o la «verità» del cristianesimo sembra portare con sé una conseguenza che gli uomini d’oggi non accettano facilmente: quella che le altre religioni siano «false», o che noi siamo «i migliori». Come sfuggire a questo antipatico vicolo cieco?
«Che qualcosa sia vero e qualcos’altro falso o che qualcosa sia più vero di altro fa parte dell’avventura della vita, della sfida dell’intelligenza, del rischio della libertà. Se non ci fosse questa differenza tutto si equivarrebbe. Al contrario, la sfida di questa differenza esprime la dignità e il valore dell’essere umano, di fronte a cui sono poste “la vita e la morte”, “il vero e il falso”. Nella vita di tutti i giorni tale differenza è una cosa ovvia, a tutti i livelli: da quello tecnico, che cerca la soluzione migliore, a quello morale di trovare l’azione più giusta. Piuttosto la difficoltà di portare il peso di questa differenza e con essa il rischio dell’esistenza la vedo come un indice dell’inquietante debolezza spirituale e morale (ma poi anche mentale) dell’uomo d’oggi. O meglio, della saccente e vuota cultura nichilista d’oggi, che vorrebbe che tutto si riducesse a opinione soggettiva, in realtà per autogiustificarsi, cioè per qualificarsi come la posizione culturale migliore. La “gente” invece – quando ha in gioco interessi reali – sa bene che la differenza è inevitabile e non se ne scandalizza affatto. D’altra parte, proprio entro questa differenza, ciò che è vero o più vero si riconosce anche dalla capacità che possiede di non porsi come esclusivo e nemico delle altre posizioni, ma di saper valorizzare ciò che è vero anche delle altre posizioni. In secondo luogo, si qualifica per la capacità di saper distinguere il piano oggettivo della verità delle dottrine e il piano soggettivo (buona fede, ricerca, sincerità di intenti, eccetera) dei loro portatori e dunque per la capacità del confronto. Due caratteristiche che sono tipiche della concezione cattolica e che sono tipicamente assenti da ogni posizione integrista o fondamentalista».
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