«Poi gli dissero: “Dov’è Sara, tua moglie?”. Rispose: “È là nella tenda”. Il Signore riprese: “Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio”. Intanto Sara stava ad ascoltare all’ingresso della tenda ed era dietro di lui. Abramo e Sara erano vecchi, avanti negli anni; era cessato a Sara ciò che avviene regolarmente alle donne. Allora Sara rise dentro di sé e disse: “Avvizzita come sono dovrei provare il piacere, mentre il mio signore è vecchio!”. Ma il Signore disse ad Abramo: “Perché Sara ha riso dicendo: Potrò davvero partorire, mentre sono vecchia? C’è forse qualche cosa impossibile per il Signore? Al tempo fissato tornerò da te alla stessa data e Sara avrà un figlio”. Allora Sara negò: “Non ho riso!”, perché aveva paura; ma quegli disse: “Sì, hai proprio riso”» (Gn 18,9-15)
I tre uomini (tre angeli, Dio stesso) che appaiono ad Abramo alle querce di Mamre vengono da lui ospitati e rifocillati. A tavola gli rivolgono la parola (secondo il galateo ebraico non si parla all’ospite che mangia per non disturbarlo e Abramo lo rispetta) e gli promettono il figlio tanto desiderato e tanto atteso. Sara di nascosto, in un’altra parte della tenda separata da un velo, ascolta… e ride. Ma gli uomini, cioè Dio, la rimproverano.
Il riso di Sara è al centro del racconto perché è la ragione del nome che verrà dato al figlio: Izchaq– Isacco vuol dire infatti «ride». Chi ride? Ha riso Sara perché non ha creduto ad una promessa così inverosimile: lei vecchia e vecchio il marito, come pensare ancora ad una maternità? Aveva riso a suo tempo Abramo: «si prostrò con la faccia a terra e rise e pensò: “Ad uno di cento anni può nascere un figlio? E Sara all’età di novanta anni potrà partorire?”». (17,17). Ora ride Dio: il nome Isacco sottintende infatti un soggetto e questi non può essere che Dio: Dio-ride. La tradizione ebraica distingueva il riso di Sara, un riso di incredulità, dal riso di Abramo, un riso di gioia e quindi di fede… Gesù si rifà a questa tradizione quando dice: «Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e se ne rallegrò» (Gv8,56). Nella sua discendenza infatti il patriarca intra-vide il compimento delle promesse di Dio, cioè il dono del Messia.
Qualcosa di molto simile avviene all’annuncio della nascita di Gesù. Maria accoglie le parole dell’angelo con una domanda: «Come è possibile? Non conosco uomo» (Lc1,34). Anche il cugino Zaccaria reagisce con una domanda ad un annuncio molto simile: «Come posso conoscere questo? Io sono vecchio e mia moglie è avanzata negli anni» (v. 18). Entrambi sembrano dubitare… Ma Zaccaria è punito: «Sarai muto e non potrai parlare fino al giorno in cui queste cose avverranno, perché non hai creduto alle mie parole, le quali si adempiranno a loro tempo» (v. 20), mentre Maria è rassicurata. Il dubbio di Zaccaria è dettato dall’incredulità, mentre il dubbio di Maria dall’ansia di servire con consapevolezza al piano di Dio.
C’è riso e riso… C’è l’ironia dettata dall’incredulità, c’è lo scherno dell’incredulo, c’è la messa in ridicolo di tutto e di tutti da parte di chi ha cessato di credere e quindi di sperare che nella vita ci sia un senso. Il “beffardo” (lez) è una figura menzionata nella Bibbia (soprattutto nel libro dei Proverbi): è colui che non crede più a nulla e per questo si prende gioco di tutto. In particolare è tipico di chi ha smesso di pensare che la verità esiste, che la si può trovare e quindi vale la pena cercarla e che una volta trovata è bello godere della sua compagnia (Sap. 8,16: «la sua compagnia non dà amarezza») e anche soffrire per lei… Il suo riso però è amaro, monotono, senza gioia. In realtà è pianto e pianto disperato: quante lacrime sono lacrime di speranza e quante risate sono solo disperazione…
IL TIMONE – N. 56 – ANNO VIII – Settembre/Ottobre 2006 – pag. 60