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14.12.2024

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Il ritorno di Valiant, principe delle virtù
28 Febbraio 2014

Il ritorno di Valiant, principe delle virtù

Ecco un modo singolare di fare apologetica. A fumetti. Protagonista è un principe che incarna virtù morali naturali non più proposte ai nostri giovani. Un modello che ispira imitazione

 C’era una volta il medioevo del fumetto, quando le didascalie narranti a piè di disegno facevano le veci delle future “nuvolette parlanti” peraltro nate da augusti lombi, come dimostra l’Angelus recitato “a strisce” che il Beato Angelico inserisce nell’Annunciazione oggi conservata al Museo diocesano di Cortona.
Un dì, uno stregone spezzò quel medioevo, provocando una rivoluzione senza pari. Accadde quando il britannico Alan Moore, fumettista e scrittore, occultista autoproclamatosi mago il giorno che compì 40 anni, creò la celeberrima miniserie Watchmen (che il suo connazionale Dave Gibbons trasformò in tavole colorate, pubblicate tra il settembre 1986 e l’ottobre 1987 dalla statunitense DC Comics). Fu un “Sessantotto del fumetto”. Per la prima volta i “buoni” presero a non distinguersi più dai “cattivi”, e il bene e il male si avvinghiarono in un nastro di Möbius senza capo né coda. C’è ovviamente del realismo in ciò, ma qui la matita migliore è quella del fumettista, sceneggiatore e regista americano Frank Miller, che, a partire dalla miniserie The Dark Knight Returns – protagonista Batman, editore sempre DC Comics, anno ancora 1986 –, insegna al supereroe il peso di dubbi, paure, ansie e insicurezze, ma soprattutto che l’eroismo sta proprio nel guardare in faccia le debolezze umane facendone occasioni e strumenti. Anzi, nonostante i due autori vengano consuetamente affiancati, uno è l’antitesi dell’altro. Se Moore disfa, Miller restaura; quando il relativismo di Mooreimpera, è ora che “il Cavaliere” di Miller ritorni.
Ebbene, quando ancora il medioevo del fumetto viveva l’epoca d’oro, prima del duello tra la rivoluzione di Moore e la contro-rivoluzione di Miller, un re troneggiava incontrastato sulla corte dei vari Tarzan (eroe radicalmente antievoluzionista), L’Uomo mascherato (l’ideale della giustizia), Cino e Franco (la generosità dell’avventura pura) o Tintin (idem, e per di più di matrice cattolica). Quel sovrano era il Principe Valiant.

Una storia vera per finta

Valiant è un vichingo. Suo padre è Aguar, re di Thule, la terra dei sogni posta sul tetto del mondo (nel fumetto sorge poco distante da Trondheim, sulla costa occidentale della Norvegia) dove i cetacei vanno misteriosamente a rendere il respiro e in cui la mitologia greca vedeva una Candelora mistica. Sua madre è la cugina di colui il cui potere e il cui diritto sono sinonimo di civiltà per tutto il mondo antico, l’imperatore di Roma. Ma il male cresce là dove vi è del bene da distruggere, e fu così che un dì il padre di Valiant venne spodestato dal tiranno Sligon. La nordica famiglia regale riparò allora nella Britannia romano-celtica, quando quel che in quelle terre restava dei fasti di Roma veniva difeso contro ogni sopruso da un impavido giovane monarca, Artù.
Valiant cresce in ardimento e saggezza, si fa onore con il braccio e con il cuore, difende l’orfano, la vedova e quel che resta del suo popolo esiliato. Ma il richiamo di Camelot che non ha eguali è forte. Viandanti e cantastorie, cavalieri e popolani narrano della città fortificata dove la giustizia ha trovato finalmente dimora. Artù accoglie il giovane riconoscendone le qualità non comuni e Valiant stringe amicizia con i pari di quel regno di virtù, nomi leggendari come Lancillotto, Gawain, Parsifal, Tristano e persino Merlino. Presto si distingue in tornei e battaglie; e poi, brandendo il Flamberge, “la spada che canta”, gemella dell’Excalibur di Artù, giacché anche il ferro fatato è nulla senza il cuore dell’uomo che lo padroneggia, viene nobilitato cavaliere sedendo al governo buono del mondo retto dalla Tavola Rotonda. Valiant ebbe Flamberge dal principe Arn di Ord, suo rivale in amore; ma quando la bella Ilene viene rapita da predoni vichinghi pagani, Valiant, vichingo cristiano alla corte di Artù, cessa ogni astio verso Arn ottenendone in dono la magica lama onde liberare la bella. Ilene però muore, ma Valiant e Arn sono oramai amici per la pelle.
Cavaliere tra i cavalieri, Valiant continuerà a coprirsi di gloria, mondana e spirituale, contribuendo a sconfiggere il malvagio Mordred, fratellastro di Artù, votato a scatenare il disordine sulla Terra.
Ma è ora di tornare a Thule per vincere l’antico usurpatore e restituire la corona al padre. Ed è ora anche di prendere in sposa Aleta, già regina delle Isole Nebbiose perse nel Mare Mediterraneo.
Valiant compie gesta in tutta Europa – dove la tenzone è continua con Goti e Sassoni facendosi singolare con Attila degli Unni, e l’incontro è “storico” con i generali romani Ezio e Stilicone, e l’imperatore Valentiniano – ma anche in Terrasanta, India, Africa, Cina e persino nelle Americhe. Qui il principe approda inseguendo letteralmente per mare e per terra Aleta, rapita anch’ella ancora da un orda di pirati vichinghi capitanata da Ulfran (omaggio all’antica leggenda che vedrebbe i primi europei sul Nuovo Mondo negli scandinavi di Erik e prima ancora nei monaci irlandesi di san Brandano). Anzi, proprio in America nasce il primo figlio di Valiant e Aleta (che fraternizzano con gl’indiani), battezzato Arn in omaggio al fedele amico dei tempi di dama Ilene; né potrebbe essere diversamente per un fumetto nato in quegli Stati Uniti dove la fascinazione per il Medioevo è popolare e cronica, come si evince per esempio dal fiorire di chiese neogotiche (non solo cattoliche) “antiche” solo un centinaio di anni. Dopo Arn nasceranno i gemelli Karen e Valeta, quindi Galan e infine il principe Nathan, rapito poco dopo da emissari dell’imperatore Giustiniano di Bisanzio e salvato dal fratello Arn. E Valiant e Aleta diventano persino nonni, allorché Arn e sua moglie Maeve (figlia del cattivone sconfitto Mordred) generano la piccola Ingrid.

A scuola dal principe cristiano

Valiant – che mescola storia e immaginazione, mostri preistorico-mitologici e tecnologia nota solo dal Rinascimento, alchimisti e musulmani nonostante si ambienti più o meno nel secolo V – nacque dalla fantasia del disegnatore canadese naturalizzato statunitense Harold Rudolf Foster, detto “Hal” (1982-1892). Famoso come primo illustratore del Tarzan a fumetti, elegante e talentuoso, maestro indiscusso del jet-set dei fumettisti americani, Foster ha curato testi e disegni di Valiant fino al 1971 e poi – dopo averne affidato le tavole ad altri – ne ha scrupolosamente seguito il “parlato” e le sceneggiature fino all’anno del suo ritiro professionale, il 1979. La prima storia del giovane cavaliere arturiano fu pubblicata il 13 febbraio 1937, distribuita ai periodici (come si usava allora) dalla prestigiosa King Features Syndicate. Tutto Valiant consta di circa 4mila strisce domenicali. Pluripremiato, trasposto in un paio di film e in una fortunata serie di cartoni animati, immortalato persino sui francobolli, l’americano Valiant ha rappresentato, secondo l’inglesissimo re Edoardo VIII (1894-1972), «il contributo maggiore alla letteratura anglofona degli ultimi cento anni», e oggi finalmente ritorna al galoppo.
Appannaggio per decenni della sola memoria e dei collezionisti, Valiant è infatti al centro di una coraggiosa e imponente operazione editoriale promossa dalla casa editrice specializzata Nona Arte (www.nona-arte.com), diretta a Milano da Andrea Rivi. Si tratta della riproposizione dell’intero ciclo delle sue strisce in 18 albi semestrali riproducenti le tavole restaurate con perizia teutonica dall’editore tedesco Bocola (usate solo in parte nella riedizione statunitense della Fantagraphics) e con i testi ritradotti sugli originali americani. E la cosa è di grande valore, persino per l’apologetica.
Sì, per l’apologetica giacché Valiant incarna il campione indomito di quelle virtù morali naturali – prudenza, giustizia, fortezza, temperanza, coraggio, lealtà, fedeltà – che sono l’humus delle virtù teologali, fede, speranza e carità. Valiant non si vergogna mai dei suoi costumi casti, o del bianco del bene distinto nettamente dal nero del male. Per i giovani lettori che ne sono il pubblico designato, Valiant è un modello che ispira imitazione. Tutti i piccoli sognano di diventare grandi. I maschi giocano al pallone perché è come andare in battaglia e le femmine cullano bambole perché sono madri dentro. Esistono certamente tivù e giornalacci, cattive amicizie e antri oscuri, ma è alla scuola della cavalleria di Valiant e della nobiltà di Aleta che si impara a sconfiggere gl’incubi. Scuola, sì: non è un caso che le gesta del principe cristiano “più famoso del mondo” siano lettura di programma nell’homeschooling americano, vale a dire quella meravigliosa alternativa all’imbarbarimento della scolarizzazione contemporanea che s’incentra tutta sulla famiglia e in cui gli attivisti, i docenti e le organizzazioni cattoliche abbondano ed eccellono.

IL TIMONE – Marzo 2014 (pag. 54-55) 

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