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14.12.2024

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Il Sacramento della Riconciliazione. Alla scuola di Giovanni Paolo II
31 Gennaio 2014

Il Sacramento della Riconciliazione. Alla scuola di Giovanni Paolo II

 

 

Premessa
Nei ventisette anni del suo straordinario pontificato Giovanni Paolo II ci ha offerto un magistero ammirevole, che non deve essere dimenticato. Anche e soprattutto dal primo ventennio – quando non gli mancavano le contestazioni da parte della cultura mondana e persino da qualche settore mondanizzato della cristianità (e perciò egli poteva rallegrarsi e consolarsi richiamando la parola di Gesù: «Guai a voi quando tutti gli uomini diranno bene di voi», Lc 6,22) – dobbiamo saper attingere molti insegnamenti ricchi di verità evangelica e di saggezza pastorale.
Quasi per una iniziale esemplificazione, vorrei ripresentare qui alcune autorevoli direttive desunte dalla Esortazione apostolica De reconciliatione et paenitentia, del 2 dicembre 1984; direttive che conservano ancora tutta la loro attualità e la loro urgenza (vedi Enchiridion Vaticanum [EV] 9,1075-1207).

La conversione
Il Padre del cielo ci assicura della sua immancabile volontà di riconciliazione e di perdono, quali che siano state le nostre infedeltà e le nostre prevaricazioni. Ma noi, dal canto nostro, dobbiamo ascoltare l’appassionata esortazione di san Paolo: «Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare» (2 Cor 6,20). Il che significa: dobbiamo preoccuparci di «convertirci». Anzi, come destinatari dell’azione misericordiosa del Padre dobbiamo continuamente attendere all’opera della nostra conversione.
Nella nostra vita personale, siamo ben consapevoli di non essere mai all’altezza di quello che siamo; è viva in noi la persuasione che il nostro «cristianesimo» è solo un tentativo sempre riaffrontato, che riesce in misura diversa e sempre inadeguata: proprio per questo l’impegno penitenziale non può mai venir meno. Il discorso sulla riconciliazione e sulla bontà di Dio separato da quello della nostra conversione quotidiana è insufficiente e rischia l’equivoco.
Anche la comunità cristiana come tale ha bisogno di commisurarsi e di adeguarsi sempre più – nelle sue convinzioni, nelle sue strutture, nelle sue iniziative, nei suoi propositi – alla realtà stupenda della Chiesa, Sposa immacolata del Signore.
Sotto questo profilo, l’azione riconciliatrice di Dio su di noi deve suscitare un forte e tenace desiderio di correggere, di purificare, di elevare, di risvegliare, di rendere più intensa e coerente la nostra vita ecclesiale.

Il sacramento della riconciliazione
A favorire e a rendere davvero fruttuosa l’attitudine alla conversione, il Signore ha istituito il sacramento della riconciliazione (o della penitenza, o della confessione). In esso il “pentimento” – disposizione d’animo sempre necessario nella vita cristiana – si esprime e si avvalora nel modo più alto ed efficace.
Si tratta, come si vede, della prerogativa sorprendente e benefica per cui la Chiesa esercita sui battezzati il potere di rimettere i peccati che le è stato affidato dal Salvatore risorto (cf Gv 20, 22-23). La sua «riscoperta» contribuirà in modo determinante a realizzare sempre meglio quel cambiamento della mentalità e del cuore (“metànoia”), che è il primo imperativo dell’annuncio evangelico: «Gesù cominciò a predicare e a dire: Convertitevi [metanoèite] perché il regno dei cieli è vicino» (Mt 4,17).

Una ricchezza insidiata
Il sacramento della riconciliazione è, a giudizio degli osservatori pastorali più attenti e pensosi, quello tra gli elementi fondamentali della vita e della formazione cristiana che sembra più insidiato e più in crisi.
«Insidiano il sacramento della confessione, da un lato, l’oscuramento della coscienza morale e religiosa, l’attenuazione del senso del peccato, il travisamento del concetto di pentimento, la scarsa tensione verso una vita autenticamente cristiana; dall’altro lato, la mentalità, talora diffusa, che si possa ottenere il perdono direttamente da Dio anche in maniera ordinaria, senza accostarsi al sacramento della riconciliazione, e l’abitudine di una pratica sacramentale priva talora di fervore e di vera spontaneità, originata forse da una considerazione errata e deviata degli effetti del sacramento» (EV 9,1170).

Svigorimento e banalizzazione
Il risultato è un cristianesimo svigorito, e quasi di superficie, perché è certo che lo spessore e l’autenticità della nostra vita di fede e di carità dipendono per larga parte dalla serietà con cui si ha stima e si fa uso della confessione sacramentale.
Questa crisi ha avuto tra i suoi effetti più deleteri anche quello di banalizzare l’Eucaristia. L’abitudine di accostarsi con facilità al banchetto della Nuova Alleanza, con una connessione troppo blanda o troppo rara con la celebrazione sacramentale della penitenza, ha indotto a una pratica liturgica che, non mettendo più chiaramente in gioco la nostra vita e il nostro comportamento, rischia di diventare
un atto devozionale senza rilievo e senza impegno.
Occorre che l’arte e la sapienza dei pastori sappiano reintrodurre nel tessuto vivo della cristianità la linfa vivificante di questa indefettibile verità, in primo luogo con il richiamo convinto e ripetuto della dottrina cattolica su questo punto, e in secondo luogo tornando a favorire e a promuovere l’accostamento dei fedeli al tribunale di penitenza.
Con forza e con costanza deve essere riproposta al popolo dei credenti la convinzione che «il sacramento della penitenza è la via ordinaria per ottenere il perdono e la remissione dei peccati gravi commessi dopo il battesimo» (EV 1181). «Sarebbe insensato, oltreché presuntuoso… pretendere di ricevere il perdono facendo a meno del sacramento, istituito da Cristo proprio per il perdono. Il rinnovamento dei riti, attuato dopo il Concilio, non autorizza alcuna illusione e alterazione in questa direzione» (ib.).

Gli atti necessari
Va anche proposta la dottrina tradizionale e piena di soprannaturale saggezza che descrive gli atti necessari per una buona e fruttuosa celebrazione del sacramento:
l’esame di coscienza, cioè il «confronto sincero e sereno con la legge morale interiore, con le norme evangeliche proposte dalla Chiesa, con lo stesso Gesù Cristo, che è per noi maestro e modello di vita, e con il Padre celeste, che ci chiama al bene e alla perfezione» (EV 9,1183);
la contrizione, ossia «un chiaro e deciso ripudio del peccato commesso insieme col proposito di non tornare a commetterlo, per l’amore che si porta a Dio e che rinasce col pentimento» (EV 9,1184);
l’accusa dei peccati o confessione individuale, che è «un gesto liturgico, solenne nella sua drammaticità, umile e sobrio nella grandezza del suo significato» (ib.);
l’assoluzione del sacerdote: «è il segno efficace dell’intervento del Padre in ogni assoluzione e della “risurrezione” dalla “morte spirituale”, che si rinnova ogni volta che si attua il sacramento della penitenza» (EV 9,1187);
la soddisfazione o penitenza: «è il segno dell’impegno personale che il cristiano ha assunto con Dio, nel sacramento, di cominciare un’esistenza nuova» (EV 9,1188).

Le forme di celebrazione
Il popolo cristiano deve avere le idee chiare e giuste anche circa le tre forme di celebrazione di questo sacramento e del loro uso retto e legittimo.
«La prima forma – riconciliazione dei singoli penitenti – costituisce l’unico modo normale e ordinario della celebrazione sacramentale, e non può essere lasciata cadere in disuso o essere trascurata. La seconda – riconciliazione di più penitenti con confessione e assoluzione individuale –, anche se negli atti preparatori permette di sottolineare di più gli aspetti comunitari del sacramento, raggiunge la prima forma nell’atto sacramentale culminante, che è la confessione e l’assoluzione individuale dei peccati, e perciò può essere equiparata alla prima forma per quanto riguarda la normalità del rito. La terza, invece – riconciliazione di più penitenti con la confessione e l’assoluzione generale – riveste un carattere di eccezionalità, e non è, quindi, lasciata alla libera scelta, ma è regolata da un’apposita disciplina» (EV 9,1194).
Quanto a questa terza forma è doveroso attenersi rigorosamente (senza indulgere furbescamente a nessun allargamento arbitrario) a ciò che è disposto dal Catechismo della Chiesa Cattolica – Compendio: «In caso di grave necessità (come il pericolo imminente di morte) si può ricorrere alla celebrazione comunitaria della Riconciliazione con la confessione generica e l’assoluzione collettiva, nel rispetto delle norme della Chiesa e con il proposito di confessare individualmente a tempo debito i peccati gravi» (n. 311).
A proposito della prima forma invece è utile segnalare che «grazie alla sua indole individuale, essa permette di associare il sacramento della penitenza a qualcosa di diverso, ma ben conciliabile con esso» (EV 9), cioè alla direzione spirituale, che deve essere riportata in onore nella vita religiosa specialmente dei giovani, delle persone in difficoltà, di quanti aspirano a una maggior perfezione.

Raccomandazione ai pastori d’anime
I pastori d’anime si studino di offrire ai credenti occasioni facili e frequenti di accostarsi al sacramento della penitenza. Fissino alcuni orari, nei quali i fedeli siano certi di trovare i sacerdoti in confessionale, pronti e in attesa. Attraverso l’aiuto reciproco tra i presbiteri delle diverse comunità, diano anche modo di accedere frequentemente ai confessori straordinari.
Sappiano anche valorizzare in questo senso le celebrazioni penitenziali nei tempi forti dell’anno liturgico e le vigilie delle feste che più sono care al cuore dei loro fedeli.

In sintesi
Come conclusione ci pare opportuno proporre quanto è detto in sintesi dal Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica (che reca doverosamente la firma di Benedetto XVI, ma può essere giustamente annoverato tra i guadagni del grande magistero di Giovanni Paolo II).
«Gli effetti del sacramento della Penitenza sono: la riconciliazione con Dio e quindi il perdono dei peccati; la riconciliazione con la Chiesa; il recupero, se perduto, dello stato di grazia; la remissione della pena eterna meritata a causa dei peccati mortali e, almeno in parte, delle pene temporali che sono conseguenze del peccato; la pace e la serenità della coscienza, e la consolazione dello spirito; l’accrescimento delle forze spirituali per il combattimento cristiano» (n. 310).

IL TIMONE – N.49 – ANNO VIII – Gennaio 2006 – pag. 48-49

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