Il Cuore di Gesù non è all'origine solo della popolare devozione dei "primi nove venerdì del mese". Vuole la salvezza di ogni persona, ma anche delle nazioni
«Dio e il Re»
Durante la Rivoluzione Francese, la bandiera dei vandeani fu il rosso Sacro Cuore di Gesù in campo bianco e sormontante un motto, scritto con lettere altrettanto rosse; una bandiera, un sigillo e un motto come lo possiede ogni comunità politica, ogni nazione, ogni Stato (per un periodo, del resto, i vandeani batterono pure moneta propria, che ebbe corso legale nei territori da loro liberati). Il motto del Sacro Cuore vandeano era «Dio e il Re». Per i controrivoluzionari, quella frase esprimeva l'orizzonte culturale e politico della rivolta, e la meta da raggiungere anche a costo della vita. «Dio e il Re», emblematizzati dal Sacro Cuore, anzi inscindibili da quel simbolo grafico riconoscibile e amabile anche dagli analfabeti, furono il catechismo minimo e minimale dei vandeani e valsero una endiadi: lo sdoppiamento solo logico di due termini che in realtà stanno sempre in correlazione biunivoca, come in un matrimonio.
«Dio e il Re» fu per i vandeani (la Bretagna usò anche l'equipollente «Dio e il mio Paese» scritto in lingua locale, non in francese) l'espressione totale dell'essere cattolici in quella storia in cui Cristo si è incarnato per redimerla e in cui l'uomo si guadagna o la salvezza o la dannazione eterne.
A memoria di uomo e per generazioni, i vandeani non avevano del resto conosciuto altra società politica che non fosse quella culminante in un re e in un regina, ossia nel "padre" e nella "madre" della patria che, nell'orizzonte temporale terreno, riproducono l'autorità di Dio in modo analogo a quanto, nella sfera spirituale, il Pontefice di Roma è il vicario di Cristo sulla Terra. Tant'è che i vandeani, dopo avere protestato più o meno rumorosamente per più di tre anni, insorsero contro la Rivoluzione anche in armi solo nella primavera del 1793, allorché li raggiunse la notizia di un doppio delitto: il ghigliottinamento del Re, nella fattispecie Luigi XVI (1754-1793), il 21 gennaio 1793 a Parigi, e il tentativo d'imporre oramai a tutti i costi l'impopolare Costituzione civile del clero, varata nel luglio 1790, che avrebbe voluto separare i cattolici francesi da Roma. Non va infatti scordato che il regicidio venne architettato e perpetrato dai giacobini esplicitamente come un deicidio in effigie, né che la Rivoluzione accarezzò sempre l'idea di porre fine al papato, andandoci peraltro vicino con la prigionia di papa Pio VI (1717-1799), che appunto morirà prigioniero dei Francesi, e poi con la deportazione del successore Pio VII (1742-1823), a opera ancora di Napoleone (1769-1821), nel 1809.
«Dio e il Re» fu così un motto intensamente cattolico, anche perché lo fu pure sul piano temporale, cioè socio-politico; fu quindi contingentemente monarchico, ma questo perché, al di là dei suoi meriti o demeriti personali, la figura del Re in quanto tale era per i francesi (e per la stragrande maggioranza dei popoli cattolici fino a quel momento) il garante di una società che aveva la possibilità concreta di essere, se lo voleva, il più possibile cristiana. Di questo ideale di cristianità l'emblema fu il Sacro Cuore di Gesù, visione pulsante dell'Incarnazione e di tutto il valore decisivo che essa ha nell'economia della salvezza. Per questo dai vessilli dei vandeani il senso profondamente politico del Sacro Cuore si tramandò alle voci di coloro che combatterono le nuove manifestazioni della Rivoluzione anticristiana, e che sovente per la fede morirono, al grido di «Viva Cristo Re!», dal Messico dei cristeros fra 1926 e 1929 alla Cruzada di Spagna fra 1936 e 1939.
La Contro-Rivoluzione antica
Ai vandeani il culto del Sacro Cuore giunse come frutto della profonda opera di evangelizzazione delle coscienze e della cultura svolta nelle regioni dell'Ovest francese da missioni antiche, risalenti a san Luigi Maria Grignion de Montfort (1673-1716), l'apostolo della pietas mariana che svolse alacre azione di contrasto alla diffusione del giansenismo. Quell'eresia, sorta di "protestantesimo cattolico", intellettualizzava a tal punto la fede da smarrirne la profonda dimensione carnale.
Ora, la battaglia antigiansenista, che diverrà poi la battaglia antirazionalista, affondava le radici nel programma di restaurazione voluto dalla Riforma cattolica per riconquistare "i cuori e le menti" dei fedeli dopo l'esplosione dell'individualismo seguito alla rivolta protestante, e si sostanziò spesso e volentieri in un ritorno poderoso alle devozioni popolari, alle confraternite di preghiera, ai segni visibili e materiali della fede.
Particolarmente in Francia, le pie società e i gruppi devozionali si diffusero capillarmente durante il cosiddetto Antico Regime, e spessissimo alloro centro stavano pratiche riconducibili al Corpo di Cristo e al Sacro Cuore. La Compagnia di Gesù, l'ordine "maestro" del programma di restaurazione prodotto dalla Riforma cattolica, svolse del resto un grande ruolo proprio nella diffusione del culto al Sacro Cuore, e questo anche quando i gesuiti furono costretti allo scioglimento, cioè ispirando nascostamente o persino animando segretamente quegli ambienti e quei gruppi più o meno formali che, soprattutto tra Francia e Italia, ne avevano raccolto l'eredità spirituale, culturale e persino pedagogica. Fra questi, notevoli furono le prime associazioni di tipo contro-rivoluzionario, ossia le Amicizie Cristiane del padre gesuita Nicola Diessbach (1732-1798), quindi del suo successore, il venerabile Pio Bruno Lanteri (1759-1830), uno dei massimi avversari del programma napoleonico di trasformazione rivoluzionaria della società.
Una grande tradizione
Manifestatasi apertamente fra i secoli XI e XII in ambienti monastici benedettini e cistercensi, la devozione al Sacro Cuore di Gesù si diffuse presto in tutti gli ordini contemplativi e ricevette nuovo impulso a fianco della devozione alle Cinque Piaghe di Cristo, sviluppatasi in ambito francescano.
Fu poi san Giovanni Eudes (1602-1680) a scrivere un apposito ufficio liturgico per il Sacro Cuore, fino a che verrà stabilita la festa liturgica il 31 agosto (era il 1670). Il luogo della prima celebrazione fu il Grande Seminario di Rennes, capitale di quella Bretagna che dista poco dalla Vandea e che un secolo dopo unirà i propri destini alla Vandea montfortana. Autonomamente, la devozione si sviluppò anche in Borgogna, a Paray-Ie-Monial. Qui, il 27 dicembre pare del 1673, Gesù si rivelò invitando santa Margherita Maria Alacoque (1647-1690), una suora dell'Ordine della Visitazione di santa Maria, a porre il capo sul proprio Cuore, come già era accaduto a santa Gertrude di Helfta detta la Grande (1256-1302), religiosa tedesca cistercense, e prima ancora all'apostolo san Giovanni nell'Ultima Cena. Nel giugno o luglio 1674, Gesù chiese poi alla suora di venire positivamente adorato specialmente nel proprio Cuore, segno d'immenso amore per l'uomo. Infine, nella "grande apparizione" del giugno 1676 le chiese espressamente l'istituzione di una festa di riparazione, fissata per il venerdì successivo all'ottava del Corpus Domini.
Il principale diffusore di questi messaggi fu quindi il padre Claude de la Colombière (1641-1682), superiore della casa gesuita di Paray-le-Monial, e la devozione al Sacro Cuore divenne missione specifica degli ambienti gesuiti e visitandini gemmando società, confraternite e gruppi di apostolato, e surclassando ogni altra pia pratica dell'ecumene cattolico. La Chiesa Cattolica, con i tempi propri e consueti, ne rese universale la solennità liturgica nel 1856 con papa Pio IX (1792-1878). Poi, nel 1928, l'enciclica Miserentissimus Redemptor di papa Pio XI (1857-1939) riconobbe pienamente il valore delle apparizioni a santa Margherita e l'enciclica Haurietis Aquas, pubblicata nel 1956 da Papa Pio XII (1876-1958), consacrò definitivamente la devozione al Sacro Cuore. È bello e significativo collegare peraltro questi pronunciamenti magisteriali alla pubblicazione, nel 1925, dell'enciclica Quas Primas di Papa Pio XI sulla regalità sociale di Cristo, di cui proprio il Sacro Cuore è, nella storia del cattolicesimo, il simbolo più pieno e manifesto.
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IL TIMONE N. 84 – ANNO XI – Giugno 2009 – pag. 22 – 24
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