Quali sono gli ingredienti di una serie televisiva che da 13 anni stupisce tutti gli osservatori? E che cerca sempre di dare un insegnamento morale? Eccoli
Da alcuni anni un dato che stupisce gli osservatori della televisione è il costante e sempre rinnovato successo di una serie che ha esordito ormai 13 anni fa, nel gennaio del 2000. L’ottava stagione di Don Matteo, non solo nell’autunno 2011, è stata la serie di maggior successo del periodo, ma anche in replica ha avuto ascolti notevoli, più alti di moltissime altre fiction in prima visione. L’ultima puntata dell’ottava stagione, replicata il 31 gennaio 2013, arrivava a poco meno di 7 milioni di spettatori, con uno share (percentuale degli spettatori sul totale di coloro che hanno la televisione accesa in quel momento) di circa il 25%.
Una serie con insegnamenti morali
Si tratta evidentemente di un prodotto che ha un suo pubblico molto affezionato: il fatto che anche le repliche vadano benissimo, e che riescano quasi a pareggiare i numeri molto alti della prima messa in onda, significa che non è la soluzione del “giallo” (chi è il colpevole) quello che interessa, ma piuttosto il piacere di stare in compagnia dei personaggi, di gioire e soffrire con loro, anche di divertirsi in modo sano. Ogni puntata, in modo misurato e mai moralista, cerca di dare un piccolo o grande insegnamento morale, sia attraverso le peripezie dei protagonisti (a volte le vicende degli stessi personaggi comici “di alleggerimento” sono costruite in forma di parabola), sia attraverso le prese di posizione e gli insegnamenti di don Matteo stesso, interpretato con convinzione e partecipazione da Terence Hill, che con questo personaggio ha trovato una seconda giovinezza e un grandissimo affetto da parte del pubblico. Don Matteo ricorda frequentemente l’immensità della misericordia di Dio, il fatto che Egli è sempre pronto a perdonare, e ricorda anche l’importanza di pregare, di voler bene anche a coloro che ci vogliono male, di saper perdonare le offese ricevute, di accogliere la vita…
L’iniziale scetticismo della Rai
Personalmente, anche se non ho mai lavorato su Don Matteo, ricordo bene gli anni in cui si stava lavorando alla prima serie, perché proprio dal 1999 ho iniziato a collaborare (soprattutto per le miniserie in due puntate) con la casa di produzione Lux vide, che realizza questa serie in coproduzione con la Rai. Ricordo che chi lavorava a Don Matteo mi diceva che la Rai era abbastanza scettica: che cosa potrà interessare alla gente delle vicende di un prete di campagna? E poi non c’è una storia d’amore… La Lux ovviamente ci teneva a che don Matteo fosse un sacerdote al cento per cento e quindi l’idea di fargli vivere un qualche flirt – allora considerata componente obbligata di ogni serie televisiva – non voleva proprio prenderla neanche in considerazione.
E invece la serie ebbe da subito un grande successo, arrivato negli stessi anni in cui ci si accorgeva che anche altri prodotti a chiaro contenuto religioso (le miniserie su Lourdes, su Padre Pio, su Papa Giovanni, ecc.) avevano un’analoga e numericamente altissima accoglienza fra il pubblico.
Modello Italia
Occorre dire che l’esistenza di serie come don Matteo è (purtroppo) una situazione quasi esclusivamente italiana. Ci sono – e la cosa è paradossale, ma purtroppo le cose stanno così – Paesi anche profondamente religiosi, in cui questa dimensione è praticamente scomparsa dallo schermo televisivo. Uno per tutti, il più grande mercato televisivo del mondo, gli Stati Uniti, dove la televisione negli ultimi decenni è andata sempre più in mano a una minoranza fortissimamente laicizzata (quando non esplicitamente anti-religiosa) che ha in pratica bandito ogni contenuto religioso dalla televisione di un Paese che ha ancora numeri molto alti di frequenza religiosa (cattolici, protestanti, ebrei, musulmani…). La grandissima maggioranza della popolazione americana è composta di credenti, e la frequenza religiosa settimanale fino a pochissimi anni fa era ancora intorno al 40%. La religione nella tv americana si trova a volte solo nei rimandi molto indiretti di serie come Lost oppure in qualche problematizzazione su questioni come eutanasia o aborto (risolti quasi sempre in favore delle posizioni “pro choice”) in puntate di ER o Dr House e in pochissimi altri prodotti. Molto più spesso, invece, si trova camuffata sotto forme di superstizione o nei modi contorti e spesso malsani delle varie forme di vampirismo, ecc.
Una situazione analoga esiste oggi in molti Paesi europei, sia quelli dove c’è una frequenza religiosa alta, sia quelli che sono in crisi, come la Spagna o la Francia: la religione sembra totalmente scomparsa dal panorama del piccolo schermo.
Motivo in più per tenerci stretto il nostro Don Matteo (e anche la suora di Che Dio ci aiuti, altro prodotto Lux arrivato nel 2013 alla seconda edizione), che fra l’altro ha avuto un remake di grande successo in Polonia, “Ojciec Mateusz”, arrivato a otto stagioni (più brevi di quelle italiane) per un totale di 108 episodi, mentre in Italia siamo a circa 170 episodi.
Buona tv e di successo: si può
Il fatto che la gente comune possa amare un sacerdote-sacerdote è ovviamente un elemento importantissimo del successo della serie. Non bisogna però nascondersi che c’è dietro anche un grandissimo impegno da parte di tutti coloro che ci lavorano per “cucinare” un prodotto televisivo che sia all’altezza degli standard più elevati e che risponda alle attese di un buon prodotto di entertainment, che deve accompagnare le serate feriali del pubblico italiano, che è anche stanco dal lavoro o dagli impegni della giornata e cerca un momento rasserenante prima di andare a dormire e prepararsi alle fatiche del giorno dopo. Questo è quello che non comprendono a volte alcuni “puristi” del cinema impegnato, che vorrebbero sempre drammi, problemi, facce tristi e seriose prese di coscienza fra le 21 e le 23 di ogni serata feriale. La serie Don Matteo finora non ha avvertito la stanchezza di altri prodotti analoghi nati intorno al 2000 (Distretto di polizia, Un medico in famiglia, prodotti che purtroppo da un punto di vista ideologico sono invece molto discutibili), anche perché ha saputo rinnovarsi: nuove linee di commedia, l’inserimento di personaggi giovani che portassero un po’ di novità e di freschezza a ogni nuova stagione, alcune linee sentimentali che riguardavano i personaggi che attorniano don Matteo (l’ultima è stata quella della figlia del Maresciallo Cecchini/Nino Frassica con il capitano dei carabinieri/Simone Montedoro: la love story dell’ottava serie si è conclusa con il matrimonio).
Il merito va a tutto il team realizzativo della serie: non solo – come è giusto e come molti ricordano – a Terence Hill, ma anche al produttore Luca Bernabei, ai produttori creativi, agli editor e agli sceneggiatori (molti di loro sono giovanissimi e li conosco bene perché sono ex allievi del Master di sceneggiatura dell’Università Cattolica), ai registi che si sono avvicendati, agli attori che compongono una coralità affettuosa e divertente intorno al protagonista.
Il successo di Don Matteo è un segnale importante e forte: fare buona televisione di grande successo si può, e non solo con prodotti “di punta”, eccezionali, ma anche con serie lunghe che durano anni. Certo, non è facile, ci vuole tanto, durissimo lavoro e lo sanno bene tutti quelli che hanno collaborato alle serie di questi anni. Dalla seconda metà di marzo si torna sul set per la nona stagione, che dovrebbe andare in onda in autunno. Si annuncia, come di consueto, una sostanziale continuità, ma anche qualche novità. Non ci sarà più per esempio Patrizia (l’attrice Pamela Saino), cioè la figlia del Maresciallo Cecchini: ma a questo punto per saperne di più occorrerà aspettare la messa in onda.
Per saperne di più…
Armando Fumagalli, Chiesa e comunicazione: volti, persone, storie,in Studi cattolici, 617-618 (2012), pp. 484-491, www.ares.mi.it/index.php?pagina=primo_piano&e=743
Armando Fumagalli, Creatività al potere. Da Hollywood alla Pixar passando per l’Italia, Lindau, 2013.
IL TIMONE N. 123 – ANNO XV – Maggio 2013 – pag. 14 – 15
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