In un libro autobiografico Rino Cammilleri racconta la sua conversione. Offrendoci anche un illuminante “spaccato” della storia recente del nostro Paese
Il delirio collettivo di chi voleva fare la rivoluzione con le molotov e le barricate. E guai a chi non cantava Bandiera Rossa. Oggi il clima è cambiato? Fino a un certo punto. I randelli sono ricomparsi nelle “piazze” televisive. E li usano i “reduci”
Occupazioni un giorno sì e l’altro no
Il virgolettato iniziale si riferisce a Pisa, e siamo nel 1969. L’abbiamo tratto da uno dei libri più stimolanti e godibili pubblicati negli ultimi mesi, autore il nostro Rino Cammilleri, il Kattolico, per intenderci. Titolo, decisamente originale e controcorrente: Come fu che divenni C.C.P. (cattolico credente e praticante). Editore Lindau (torinese, specializzato in testi “fuori dal coro”). Destinatari: tutti coloro, credenti e no, che non hanno ancora dato il proprio cervello all’ammasso del “politicamente corretto”. Pisa, dicevamo. In un libro autobiografico ricco di aneddoti e riflessioni, scritto con scioltezza e arguzia, le pagine centrali dedicate agli studi universitari nella città toscana della Torre, già agguerrita repubblica marinara, ci offrono uno spaccato prezioso degli anni della contestazione e della lotta, degli slogan e delle canzoni contro i “borghesi maledetti”, ma anche delle stelle a cinque punte e del “cloro al clero”. Rino è approdato a Pisa dalla natìa Sicilia per studiare; la sua famiglia – il padre è poliziotto – si è trasferita lì apposta per consentirgli di compiere gli studi universitari.
Il futuro, brillante apologeta è ancora lontano dalla fede cattolica (la sua conversione avverrà nella seconda metà degli anni Settanta), ma non è neppure un fanatico infatuato delle agitazioni sociali, anche se vivrà per un breve periodo l’esperienza del Movimento Studentesco (chi di noi “vecchietti” non ci è passato?). Quando arriva a Pisa, il «centro geografico della Rivoluzione », ma lui non lo sapeva, il diciannovenne Cammilleri è un ragazzo belloccio e disincantato, a cui piacciono la musica e le ragazze carine, che ha poca voglia di studiare. Si iscrive a Ingegneria, ma è un fallimento. Ripiega su Scienze Politiche, per scoprire ben presto che «un giorno sì e l’altro no la mia Facoltà era occupata o contestata o semplicemente disturbata con megafoni e cartelli».
«Ci provi lei, se ci riesce»
Pisa non è una città e una sede universitaria qualunque, perché qui «fu creata Lotta Continua, dopo il famoso battibecco tra Adriano Sofri e Palmiro Togliatti durante una conferenza di quest’ultimo alla Scuola Normale Superiore». Che cosa avvenne? «Narra la tradizione che il Migliore fu apostrofato da un giovane Sofri e accusato di non aver voluto fare la rivoluzione in Italia». Togliatti «avrebbe risposto all’impertinente suppergiù così: ci provi lei, se ci riesce. E quello di rimando: ci sto provando, ci sto provando». Commenta Cammilleri nel libro: «Questa la leggenda, non so quanto vera». Ciò che è sicuramente vero è che quello stesso Adriano Sofri, idolo degli intellettuali radical-chic, oggi la «rivoluzione » la sta facendo, pur riconosciuto coinvolto nell’omicidio Calabresi e condannato, standosene comodo in una nonprigione e scrivendo ben pagato per i giornali. Un altro episodio: «Un pomeriggio io e un amico stavamo andando a trovare un paio di ragazze che abitavano in Corso Italia, la via pisana dei negozi», racconta Rino. «La strada era deserta, pensammo per via della siesta. Eravamo già a metà quando dalle finestre ci gridarono di scappare. Ci guardammo in faccia, interdetti. Ma subito capimmo quando vedemmo correre verso di noi i guerriglieri in pieno assetto, con fazzoletti rossi alla bocca, bastoni e cartelli. Erano inseguiti da una carica della polizia. Già, ma la via in questione era (è) lunga e stretta: facendo dietrofront saremmo stati scambiati per lottacontinuisti e manganellati, magari arrestati. Perciò, all’unisono, ci dirigemmo di corsa verso i guerriglieri, ormai arrivati a cento metri dalla porta che dovevamo infilare noi. Ce la facemmo per il rotto della cuffia e, ansanti ma ormai al sicuro, vedemmo volare di tutto: randelli, tavolini da bar, biciclette, fumogeni e molotov». Oggi vola altro: ingiurie e menzogne sui giornali, manifestazioni di piazza a senso unico. Senza randelli, è vero: quelli compaiono sulla piazza mediatica, dai vari Santoro e Gad Lerner, “reduci” (potenti e riveriti) della stagione sessantottina.
Niente Bobby Solo in trattoria
Già allora, quarant’anni fa!, c’era il compiacimento degli “adulti” ideologizzati e schierati da una sola parte, quella “giusta”, che spegnevano sul nascere gli slanci giovanili di chi – come il nostro Rino e i suoi allegri amici – volevano semplicemente vivere la loro vita, magari spensierata e un po’ leggerina, ma libera da cappe loro imposte. Scrive: «…Bandiera rossa si poteva cantare a squarciagola, altri inni no». E spiega. «Una sera, in trattoria a Viareggio con gli amici, accompagnandomi con la chitarra dirigevo il coro allegro di noi ventenni. Nico Fidenco, Bobby Solo, quelle cose lì. Da un tavolo vicino alcuni adulti ci fecero segno, stizziti, di smetterla perché davamo fastidio. A uno del mio tavolo venne allora, d’istinto, l’idea di intonare Bandiera Rossa. Subito il volto degli stizziti si distese e, in breve, tutta la trattoria cantava a piena voce levando i calici». Provate a indovinare dove oggi si canta Bandiera rossa e chi dirige il coro?
IL TIMONE N. 101 – ANNO XIII – Marzo 2011 – pag. 12 – 13
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