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12.12.2024

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Il sogno di Giacobbe
31 Gennaio 2014

Il sogno di Giacobbe

 

 

 

 

«Giacobbe partì da Bersabea e si diresse verso Carran. Capitò così in un luogo, dove passò la notte, perché il sole era tramontato; prese una pietra, se la pose come guanciale e si coricò in quel luogo. Fece un sogno: una scala poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva il cielo; ed ecco gli angeli di Dio salivano e scendevano su di essa. Ecco il Signore gli stava davanti e disse: “Io sono il Signore, il Dio di Abramo tuo padre e il Dio di Isacco. La terra sulla quale tu sei coricato la darò a te e alla tua discendenza.
La tua discendenza sarà come la polvere della terra e ti estenderai a occidente e ad oriente, a settentrione e a mezzogiorno. E saranno benedette per te e per la tua discendenza tutte le nazioni della terra. Ecco io sono con te e ti proteggerò dovunque tu andrai; poi ti farò ritornare in questo paese, perché non ti abbandonerò senza aver fatto tutto quello che t’ho detto”. Allora Giacobbe si svegliò dal sonno e disse: “Certo, il Signore è in questo luogo e io non lo sapevo”. Ebbe timore e disse: “Quanto è terribile questo luogo!
Questa è proprio la casa di Dio, questa è la porta del cielo”. Alla mattina presto Giacobbe si alzò, prese la pietra che si era posta come guanciale, la eresse come una stele e versò olio sulla sua sommità. E chiamò quel luogo Betel, mentre prima di allora la città si chiamava Luz. Giacobbe fece questo voto: “Se Dio sarà con me e mi proteggerà in questo viaggio che sto facendo e mi darà pane da mangiare e vesti per coprirmi, se ritornerò sano e salvo alla casa di mio padre, il Signore sarà il mio Dio. Questa pietra, che io ho eretta come stele, sarà una casa di Dio; di quanto mi darai io ti offrirò la decima”». (Gn 28,10-22).
 
 
 
 
 
 
Giacobbe è in viaggio da Bersabea a Carran. Il padre Isacco non vuole che il figlio sposi una donna di Canaan e lo manda per questo nella sua terra di origine, dal fratello Labano, perché trovi una donna della sua stirpe. Lungo il viaggio, giunto in un luogo di nome Luz, Giacobbe ha un sogno: vede una scala immensa che tocca la terra e il cielo e sulla scala angeli che salgono e scendono… Per farci un’idea di questa scala così come ha potuto immaginarla Giacobbe, vale la pena avere sotto gli occhi uno dei più caratteristici monumenti dell’antica Mesopotamia, lo Ziqqurat: un edificio imponente di forma piramidale, a gradi sovrapposti, con scalinate che permettono di salire (e scendere) da un livello all’altro. Giacobbe battezza quel luogo “Betel”, cioè casa di Dio. Per questo succede spesso di trovare la scritta «Terribilis est locus iste – Quanto è terribile questo luogo!
Questa è proprio la casa di Dio, questa è la porta del cielo» sulle mura delle nostre chiese. Secondo la tradizione ebraica quel luogo era in corrispondenza del Tempio di Gerusalemme e Gesù si riferisce a questa credenza quando dice: «In verità, in verità vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell’uomo» (Gv 1,51).
Il tempio ormai è Gesù, anzi – più precisamente – è il suo corpo: «egli parlava del tempio del suo corpo» (Gv 2,21). Gesù ci ha salvato con il suo corpo, facendone con tutta la sua vita, che culmina nella sua morte e risurrezione, un dono di amore per il Padre e per gli uomini. In questo modo ci ha aperto le porte del cielo e la sua vita è diventata per noi “la scala del paradiso”, attorno a cui si organizza e a cui tende anche il ministero degli angeli. Il corpo di Gesù diventa così il luogo dove stare e dove riposare: il suo corpo “mistico”, che è la Chiesa e il suo corpo reale e sostanziale che è l’Eucaristia.
La liturgia bizantina ci fa fare un passo ulteriore. Se infatti la scala del Paradiso è il corpo di Gesù, allora lo sarà anche colei da cui quel corpo è venuto nella sua interezza, senza concorso di padre umano, cioè Maria: «Gioisci, fonte della grazia; gioisci scala e porta del cielo (…) che hai generato al mondo Cristo» (Ode, dom. tono 1), «Te che (…) Giacobbe contemplò quale scala vivente e porta del cielo, per la quale Cristo Dio nostro è passato, te magnifichiamo con inni» (Orthros, ven. tono 1), «Terribile è questo luogo, gridò un tempo Giacobbe, quando vide nella scala, o Madre di Dio, la figura di Te» (Orthros, sab. tono 3). Ecco perché Maria ci accompagna nel Rosario a percorrere la vita di Gesù – come una scala che conduce al cielo – uniformando ad essa, per mezzo della sua potente intercessione, la nostra vita e trovando così in essa il vero riposo e la vera pace.
 

 
 
 
 
 
 
IL TIMONE – N. 55 – ANNO VIII – Luglio/Agosto 2006 – pag. 60

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