Il silenzio non è importante solo per regolare bene la nostra vita di relazione, ma è la base necessaria per una vera e profonda vita spirituale. «E’ come il portinaio della vita interiore», diceva san Escrivà de Balaguer. Vediamo il perchè.
La parola, lo sappiamo bene, è una capacità umana straordinaria e importantissima. Una conquista progressiva, in una prospettiva laica.
Un dono divino, frutto di un grande amore, in una prospettiva religiosa. Una possibilità che distingue l’uomo dagli altri animali in modo radicale e che è certamente una delle chiavi essenziali per farci subito capire quanto Dio abbia investito in questa creatura che ha voluto dotata di intelligenza e di libertà. Non dimentichiamo, infatti, quanto proprio la parola ci assimili a lui che, con il suo Verbo, ha creato il mondo: «In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste» (Gv 1,1-4). Quello stesso Verbo, rammentiamo, che egli ci ha donato anche nella Scrittura e che poi avrebbe preso corpo e immagine in Gesù di Nazareth.
Se, dunque, Dio ha voluto che l’uomo fosse dotato, se pur a livello creaturale e dunque limitato, del suo stesso strumento di comunicazione, è chiaro che è importante che noi riflettiamo su di esso per capirne appieno tutte le possibilità. Così, è proprio ragionando su questa straordinaria possibilità data all’essere umano di comunicare con i suoi simili in modo assai articolato i propri pensieri e i moti del cuore – cioè di esprimere la propria intelligenza e libertà – che noi scopriamo subito una cosa che è importante quanto la parola ma che ne è, al contempo, proprio l’esatto contrario e cioè il silenzio. Accorgendoci anche come la prima, e cioè la parola, sia strettamente legata al secondo, e cioè al silenzio.
Così, essi ci appaiono chiaramente come due poli opposti che si alimentano a vicenda. E questo perché la parola si nutre del silenzio che l’ha preceduta; silenzio nel quale essa ha potuto germogliare, prendere forma ed arricchirsi come in un grembo materno, e, proprio come un bambino, vedere la luce solo quando era pronta e abbastanza matura per uscire nel mondo. Nulla, infatti, esprime nel bene e nel male ciò che un uomo pensa ed è, ciò che è frutto della sua silenziosa riflessione interiore, del suo “cuore”, direbbe il Vangelo, meglio della parola.
Ma anche il silenzio, a sua volta, si nutre della parola che, attraverso lo scambio e il confronto con altre parole – e quindi con altri uomini, con altre intelligenze, con altri “cuori” – gli riporta impressioni, idee, emozioni su cui continuare nella sua riflessione interiore.
Così, silenzio e parola sembrano anch’essi, come altri aspetti dell’esistenza fisica, psichica e spirituale dell’uomo, far parte di quei moti apparentemente contrari che caratterizzano la vita e che ad essa sembrano necessari per mantenerla in equilibrio. Fasi opposte che si alternano tra loro come per esempio quelle proprie della respirazione fisica: inspirazione ed espirazione; o del battito cardiaco, sistole e diastole; o della vita interiore, gioia e dolore, depressione ed euforia, male e bene, peccato e grazia e così via.
In questa prima accezione, dunque, il silenzio appare come una sorta di prezioso regolatore, una forma di contrappeso necessario alla psiche. Un tempo in cui la parola viene sospesa e in cui l’essere può, come dire, rientrare in se stesso e riguadagnare la propria potestà sulla parola stessa. Anche per questo tutte le tradizioni sapienziali hanno sempre evidenziato il grande valore del silenzio come esperienza interiore importante e necessaria. Per quanto riguarda la nostra, il Libro dei Proverbi, per esempio, ci ricorda che: «Chi è parco di parole possiede la scienza» (17,27). E che: «L’uomo saggio sta zitto fino al momento opportuno» (20,6-7). Il silenzio, dunque, come una necessaria camera di decompressione e di elaborazione per regolare in modo corretto l’uso della parola perché essa non sia un’arma che ferisce – «ne uccide più la lingua che la spada» – ma balsamo che illumina, sostiene, lenisce – «il saggio si rende amabile con le sue parole» (Pr 20,13).
Ma questa capacità di gestire la parola e il suo contrario, il silenzio, di cui pure abbiamo visto l’importanza, rappresenta solo il primo gradino di quest’ultimo. Se riflettiamo bene sul silenzio scopriamo altri aspetti assai rilevanti che ci aprono nuovi orizzonti. Per introdurci, ci facciamo aiutare da una frase lapidaria ma molto efficace, di Escrivà de Balaguer, il quale ha lasciato scritto che: «Il silenzio è come il portinaio della vita interiore». Con il suo linguaggio asciutto e realistico, questo santo sposta di colpo la nostra attenzione dal fuori al dentro, dal versante esterno a quello interno. E ci fa capire che il silenzio non è importante solo per regolare bene la nostra vita di relazione, ma che esso è la base necessaria per una vera e profonda vita spirituale sulla quale finiranno poi per ancorarsi anche il nostro stesso linguaggio e i nostri rapporti con gli altri.
Ogni vita interiore, infatti, non è realizzabile davvero se non si acquisisce la capacità di ritirarsi, proprio mediante il silenzio, all’interno del proprio cuore. Il motivo è semplice da intuire: occorre imparare a staccare la spina e a sapersi allontanare da tutto ciò che, anche se buono, rischia di coinvolgerci troppo e di disperdere così il nostro spirito. E, tra i pericoli, uno dei più rilevanti è certamente il troppo fare ma anche il troppo parlare, nostro e degli altri, che finisce per frastornarci svuotando le nostre energie interiori rendendoci così più fragili ed esposti ai venti di ogni possibile tempesta.
Così il silenzio appare come il vero custode del cuore, come il “guardiano della porta” che immette ad esso.
Del resto è Gesù stesso, il Verbo di Dio in persona, che ce lo fa capire quando, prima e dopo aver ammaestrato le folle, ama ritirarsi in solitudine e in silenzio per pregare, cioè per parlare con il Padre, e riprendere così con maggiore vigore un colloquio con lui certamente mai interrotto. E se egli, Uomo-Dio, ne sentiva il bisogno quanto più dovremmo avvertirlo noi oggi, letteralmente immersi nei rumori più vari e assordanti che questa nostra civiltà, invertendo addirittura i valori, presenta come un bene da raggiungere. Pensiamo anche solo ad una immagine simbolo di questo nostro tempo: giovani – o meno giovani – chiusi in una automobile, immersi nei rumori del traffico, che si sparano musica direttamente nelle orecchie con gli ultimi ritrovati elettronici, rispondendo al contempo ad un telefonino quasi perpetuamente squillante.
Sembrerebbe, questo di ritirarsi in silenzio a parlare con Dio, un consiglio semplice e facile da seguire. Un consiglio che, una volta capito, non sarebbe poi così complicato da mettere in pratica. Invece non è così. E questo perché tacere, come per altri versi digiunare, proprio perché ci fa rientrare nel nostro essere più profondo, risveglia in noi “demoni” di ogni tipo. E se il digiuno dal cibo ci pone di fronte alla paura della morte fisica, quello dalla parola ci espone alla paura, non meno grande, della solitudine.
Sarà, dunque, quello del silenzio, un cammino in cui addentrarsi progressivamente e sempre più a fondo nel corso della vita. Con calma, a piccoli passi, con prove Il successive e magari sempre un po’ più impegnative, fino a quando il silenzio diventerà un bella e radicata abitudine di cui sentiremo il bisogno e che ricercheremo con gioia. Fino a quando, cioè, l’esperienza positiva di una solitudine arricchita dalla presenza di Dio ci farà capire quanto sia essenziale possedere questo atteggiamento interiore.
Ci potrà molto aiutare nel fare nostra questa esperienza di silenzio. esteriore ed interiore praticare di tempo in tempo quelli che la tradizione spirituale chiama esercizi o ritiri spirituali. Essi, infatti, pur nelle varie modalità con cui possono venire condotti, hanno proprio questa finalità: aiutarci a scoprire e assaporare il silenzio favoriti da un ambiente adatto, spesso a contatto con una natura che facilita il raccoglimento, sostenuti da persone che accompagnino con la loro esperienza questi momenti di sosta e di approfondimento della nostra vita interiore.
Ma c’è ancora molto da dire sul silenzio. Fino ad ora abbiamo capito due cose. La prima è che dobbiamo imparare a saper alternare con sapienza parola e silenzio. La seconda è che dobbiamo imparare ogni tanto a far silenzio con gli uomini per parlare solo con Dio. Ma c’è una terza tappa ancora ed è quella di imparare a fare silenzio anche con Dio, a saperci zittire per ascoltarlo. Ma di questo parleremo la prossima volta.
IL TIMONE – N.76 – ANNO X – Sett/Ott. 2008 – pag. 56-57