Solo 31 parlamentari hanno votato contro. Ennesimo colpo di maglio all’ordine naturale. Che viene minato dall’equiparazione tra figli naturali e figli legittimi. Ecco come la strategia del compromesso narcotizza il mondo cattolico
Il Parlamento italiano ha sdoganato a larghissima maggioranza l’incesto.
Un lungo raggelante applauso dell’assemblea ha salutato l’approvazione del nuovo articolo del Codice Civile che equipara i figli incestuosi a tutti gli altri figli. I voti favorevoli sono stati 366, 58 gli astenuti e solo 31 i contrari. La legge stabilisce più in generale la totale equiparazione dei figli naturali – cioè dei figli nati fuori dal matrimonio – ai figli legittimi, cioè nati all’interno del vincolo sponsale. D’ora in avanti le due categorie (legittimi e naturali) sono abolite. Politici di tutti i gruppi parlamentari – da destra a sinistra – hanno votato a favore del provvedimento.
«Abbiamo finalmente raggiunto un risultato storico in materia di diritti civili, archiviando norme odiose fondate su un anacronistico senso della morale», ha commentato trionfante la parlamentare Giulia Bongiorno, portavoce di Fli e già avvocato difensore di Giulio Andreotti. «È una nuova civiltà giuridica, è uno di quei passi in avanti che fanno entrare il nostro Paese in un’altra epoca storica », ha affermato la senatrice Pd Vittoria Franco. Giudizi aberranti, che però esprimono bene il senso comune di un’intera classe politica (31 contrari contro 366 favorevoli è una minoranza irrisoria) e della società in cui viviamo: si calcola che in Italia i figli naturali siano circa 100.000, ben il 20 per cento del totale.
Contro l’ordine naturale
Si va così realizzando nel nostro Paese il coronamento del progetto di dissoluzione dell’ordine naturale, che da quarant’anni trova traduzione nelle leggi approvate dal parlamento. Nel 1969, sulla rivista Tout, Jean-Paul Sartre scriveva: «Quanto alla famiglia, scomparirà (…) soltanto quando avremo cominciato a sbarazzarci del tabù dell’incesto (…); la libertà deve essere pagata a questo prezzo». Come sempre, la demolizione dell’ordine naturale si consuma con espedienti che riescono a narcotizzare il mondo cattolico, ingannandolo. Nella fattispecie, la tesi di fondo è che i figli non hanno colpa per le scelte dei loro genitori, e che quindi essi si devono equiparare sul piano legale, nati o meno nel matrimonio. E anche il mondo cattolico si è bevuto da tempo senza fiatare l’equiparazione tra figli naturali e legittimi. Per coerenza, lo stesso criterio si deve applicare ai figli frutto di rapporti incestuosi.
Incesto: reato o peccato?
Gli atti incestuosi sono vietati dall’articolo 564 del nostro Codice Penale, che li punisce con la reclusione da uno a cinque anni, e da due a otto anni nel caso di relazione protratta nel tempo. Ora, nel momento in cui l’ordinamento legittima gli effetti di questa relazione sulla prole, equiparando i figli a tutti gli altri, è giocoforza che lo stesso divieto penale dovrà e potrà essere messo in discussione, e infine abrogato. Si aggiunga a favore di tale esito il “rammollimento” del pensiero dominante, soprattutto in ambienti cattolici, che vede la pena e il carcere come barbarie da superare, e che quindi lavora comunque nella direzione di depenalizzare i reati. E ancora: il processo di “secolarizzazione” del diritto gioca sullo “slittamento” di molti reati al livello di peccati, cioè di violazioni di precetti morali, come tali irrilevanti sul piano giuridico. Il passo successivo è che le condotte depenalizzate non sono più nemmeno peccati, ma diventano diritti civili. Esempi preclari di questo rotolamento verso l’abisso: divorzio, aborto, omosessualità come fenomeno pubblico e ostentato. Il filosofo inglese Roger Scruton conferma questa analisi: «Oggi si dà per scontato che non vi sia differenza fra il sesso omosessuale e quello eterosessuale, che non ci sia differenza fra il desiderio e la perversione, che la castità sia una scelta ma non una virtù, che le sole questioni morali che circondano l’atto sessuale siano quelle del consenso e della sicurezza».
Per altro, come ha spiegato Gianfranco Amato – presidente dei “Giuristi per la Vita italiani” – i figli incestuosi godono già di tutele e di diritti sotto il profilo economico, ma non possono essere riconosciuti, perché questo significherebbe inserirli anche idealmente in un contesto familiare fatto di due genitori biologici consanguinei. I figli incestuosi non possono far parte, neppure idealmente, di un quadro e di un progetto familiare, per questo si può e si deve negare loro, ad esempio, il diritto ad ottenere il cognome, il diritto ad una successione piena e la possibilità che i genitori incestuosi esercitino su di loro la potestà genitoriale.
Ma se siamo arrivati a un passo dall’incesto come diritto, ciò si deve a un errore originario: la tendenza a combattere il progressismo e il relativismo semplicemente seguendolo con qualche mese o qualche anno di ritardo. Si sceglie cioè di cedere qualche cosa, di mediare, di difendere la verità solo in parte, sperando di vincere sul piano politico. Il risultato è che, dopo quarant’anni, la cultura della morte e del nichilismo ha vinto tutte le sue battaglie.
Anche nel caso dell’incesto si è adottata questa strategia, aprendo la classica falla nella diga, che prima o poi crolla di schianto. Mi riferisco alla tesi, ormai accettata dalla maggioranza del mondo cattolico, che sia giusto procedere sul piano giuridico alla totale equiparazione tra figli naturali e figli legittimi. Come già scritto, questo giudizio nasce dall’ideale dell’uguaglianza fra innocenti. Ma nonostante le apparenze, questa valutazione è sbagliata almeno per tre motivi.
Il primo è che di fronte a situazione di fatto differenti, segue un legittimo trattamento giuridico differente, anche quando queste “diversità” non siano “imputabili” ai diretti interessati. Del resto, anche i figli dei divorziati e dei separati non hanno colpa della scelta dei loro genitori: perché nessuno prova a limitare il diritto al divorzio nell’interesse della prole?
Il secondo è che l’uguaglianza degli esseri umani è un mito tipicamente giacobino e rivoluzionario: l’unica uguaglianza autentica è ontologica, e ci deriva dall’essere creature di Dio. Per il resto, nessuno Stato, nessuna legge, nessun decreto, nessun paradiso del proletariato o della borghesia potrà eliminare la diversità di condizioni di ognuno di noi.
Il terzo errore nasce da un malinteso personalismo di fondo, che finisce con il privilegiare il singolo rispetto al bene comune.
È vero che – come insegna Kierkegaard in opposizione a Hegel – bisogna difendere ogni uomo dallo strapotere e dall’arbitrio dello Stato. Ma è altrettanto vero che il bene comune – come insegnano Tommaso d’Aquino e la tradizione della Chiesa – deve prevalere sugli interessi del singolo. Equiparare figli naturali a figli legittimi significa andare contro il bene del matrimonio, e quindi contro il bene comune. Lo Stato ha il dovere di tutelare il matrimonio e la famiglia, e per far questo non può concedere diritti tipicamente familiari a soggetti estranei al matrimonio. Se lo fa, scava la fossa all’istituto matrimoniale, equiparandolo a unioni civili e convivenze di fatto.
Ne erano ben consapevoli perfino i nostri laicissimi padri costituenti. Il 16 gennaio 1947, proprio a proposito dei figli incestuosi, il senatore e giurista democristiano Umberto Merlin affermò: «Dire che non è logico far ricadere sui figli innocenti la colpa dei padri, è tesi bellissima, da romanzo, ma non è argomento persuasivo per il legislatore e soprattutto per il legislatore costituente, il quale deve formulare gli articoli con il cuore, sì, ma soprattutto con la ragione».
In sintesi: la giusta “discriminazione” tra figli nati fuori e dentro il matrimonio mirava a proteggere i minori dalla condotta immorale degli adulti; equiparando totalmente tutti i figli, invece, vengono incentivati l’adulterio, il concubinaggio ed altre forme illecite di relazione che minano alla base la stabilità dell’unione coniugale e la stabilità della società stessa. La tendenza della società ad appiattire le differenze e ad annullare le diversità produce altre differenze e altre diversità, ben più gravi delle precedenti. Per esempio, la legalizzazione dell’incesto. E, perché no?, della pedofilia.
IL TIMONE N. 119 – ANNO XV – Gennaio 2013 – pag. 12 – 13
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