Per orientarsi e per orientare – che poi non è altro che il “rendere ragione della speranza che è in noi” scritturale – su un tema contestato come quello dell’Inquisizione, limitandomi alle opere generali e più o meno reperibili, suggerirei in primis, il volumetto equilibratamente apologetico di Rino Cammilleri, Storia dell’Innquisizione, apparso nel 1997 (Newton Compton, Roma), che propone una sintesi agile, ma di solido impianto, della storia e dei casi più noti – incluso quello, balzato alla ribalta nel 2000, causa film, della presunta strega Gostanza da Libbiano, nella Toscana del XVI secolo -, integrata da una discreta bibliografia e da un’utile cronologia.
Analogo lavoro, più equanime di quanto l’impianto redazionale, a partire dal sottotitolo, lasci supporre, è il breve saggio degli storici francesi Guy e Jean Testas (Bonanno, Acireale 1989) dal titolo L’Inquisizione. Storia di un olocausto.
In particolare, i dati riportati nelle ultime pagine ribadiscono l’esiguità del numero dei casi trattati dal tribunale conc1usisi con l’affidamento al “braccio secolare”. Sulla medesima falsariga si pongono L’inquisizione, del francese JeanPierre Dedieu, uscito in Francia nel 1987 e tradotto nel 1990 (ora in 2′ ed., San Paolo, Cinisello Balsamo 1994) e l’omonima breve introduzione dello storico spagnolo Ricardo Garda Carcél, riccamente illustrato (L’Inquisizione, Fenice 2000, Milano 1994).
Per l’Inquisizione medievale, un’ampia “scheda”, che non si limita alla storia, è costituita dalla voce Inquisition, scritta da Jean-Baptiste Guiraud (18661953) per il monumentale Dictionnaire apologétique de la fai catholique, uscito in Francia fra il 1911 e i1 1913, tradotta con il titolo Elogio della Inquisizione (Leonardo, Milano 1994) a cura di Rino Cammilleri e con un invito alla lettura di Vittorio Messori.
In appendice a quest’opera si trovano alcune Integrazioni bibliografiche, redatte da Marco Invernizzi e da me, che offrono una rassegna ragionata delle correnti storiografiche in tema d’Inquisizione, non solo di quella medievale, ma anche di quella spagnola, senz’altro la più esposta agli strali dei critici e degli ambienti ostili alla Chiesa. A essa rimando come lo strumento più idoneo a soddisfare un po’ tutti i tipi di esigenza conoscitiva. Fra i contributi meno datati che vi si trovano elencati, figurano gli studi di Henry Kamen (L’Inquisizione spagnola, trad. it., Feltrinelli, Milano 1973) e di Bartolomé Bennassar (Storia dell’Inquisizione spagnola dal XV al XIX secolo, trad. it., Rizzoli, Milano 1994).
Riguardo al primo autore, va osservato come nell’edizione inglese (lnquisition and society in Spain in the sixteenth and seventeenth centuries, Weidenfeld & Nicolson, Londra 1985) egli rovesci la prospettiva fortemente critica iniziale, abbandonando la tesi che l’Inquisizione sia stata un fattore frenante dello sviluppo culturale della Spagna, che invece considera ora, non a torto, una delle nazioni dalle istituzioni più progredite sotto il profilo etico-giuridico.
Nel novero delle opere citate nelle Integrazioni predette cade anche la messa a punto, stringata, ma efficace, dei progressi storiografici successivi ai lavori citati, che lo storico francese “non conformista” Jean Dumont (1923-2001) fa in un’intervista (L’Inquisizione fra miti e interpretazioni) a cura di Massimo Introvigne, apparsa sulla rivista Cristianità nel 1986 (anno XIV, n. 131, Piacenza marzo 1986, pp. 11-13).
Dopo il 1994, terminus ad quem di questa bibliografia ragionata, la ricerca ha prodotto un nutrito numero di contributi di livello scientifico, incentrati però più che altro su aspetti locali: i singoli Paesi europei, le regioni italiane, oppure settoriali, quali, per esempio, la procedura, il “caso” degli ebrei, la stregoneria.
Fra i lavori di carattere generale più accessibili al lettore medio si segnala la monografia Lo “scandalo dell’Inquisizione”. Tra realtà storica e leggenda storiografica, che Francesco Pappalardo ha redatto per il volume collettaneo Processi alla Chiesa.
Mistificazione e apologia, a cura di Franco Cardini (3a ed., Piemme, Casale Monferrato, pp. 353-371), uscito nel 1995. Il medievista Franco Cardini, dal canto suo, ha alimentato il dibattito con il suo opuscolo L’inquisizione (Giunti, Firenze 1999; allegato al mensile Storia e Dossier, n. 141, Firenze settembre 1999, non più pubblicato), nonché curando la ristampa del Manuale dell’inquisitore del domenicano francese, co-autore della procedura inquisitoriale, padre Bernard Gui (1261 ca.-1331) (Gallone, Milano 1998, con testo originale a fronte).
Rino Cammilleri – uno degli scrittori più attenti al problema – nel 2001 è tornato sul tema con La vera storia dell’Inquisizione (Piemme, Casale Monferrato), nuova edizione ampliata del volumetto citato in esordio, nonché con la terza edizione del suo romanzo L’inquisitore (San Paolo, Cinisello Balsamo). Sulla “terza Inquisizione” – dopo quella medievale e quella spagnola -, oltre alla valida ricerca dello studioso ebreo americano John Tedeschi, Il giudice e l’eretico. Studi sull’inquisizione romana (trad. it., Vita e Pensiero, Milano 1997), va menzionato il grosso volume, alquanto critico (e peraltro anche criticato), ma ricco di documentazione, trattata con onestà scientifica, di Adriano Prosperi, Tribunali della coscienza. Inquisitori, confessori, missionari, Einaudi, Torino 1996.
Pur dedicato ad un aspetto particolare,il saggio dello studioso danese Gustav Henningsen L’avvocato delle streghe. Stregoneria basca e Inquisizione spagnola (trad. it., Garzanti, Milano 1990), per l’esemplare lavoro svolto sulle fonti, reso possibile dall’ingente materiale che il tribunale inquisitoriale dei Paesi Baschi ha prodotto all’inizio del secolo XVII – come appare immediatamente dal campione di dati riportato nelle appendici -, costituisce una testimonianza indiretta della scrupolosa metodica applicata dagl’inquisitori spagnoli.
Di questo lavoro vale la pena rammentare l’apprezzamento che Antonio Socci fece nell’aprile del 1990 dalle colonne del settimanale il Sabato: “Qual è la sua tesi? Innanzitutto il Medioevo cristiano fu immune dalla follia criminale della caccia alle streghe. Per più di mille anni, per tutti i cosiddetti “secoli bui” non esistono né cacce, né roghi di streghe […].
L’ossessione sanguinaria della caccia alle streghe è un fenomeno tutto moderno: comincia sul finire del 1400 e prosegue per un paio di secoli, soprattutto nei paesi protestanti. Dal libro di Henningsen si apprende che, contrariamente a tutte le istituzioni giudiziarie del tempo, l’Inquisizione non usava normalmente la tortura. Di fatto – scrive Henningsen – la popolazione cattolica non odiava, né temeva il sant’Uffizio quanto molti storici hanno voluto farci credere. La gran maggioranza doveva considerare l’Inquisizione come un baluardo contro l’eresia che minacciava la società dall’interno e dall’esterno”.
Concludo questa proposta di letture con un testo che rappresenta forse un dettaglio, ma un dettaglio non del tutto irrilevante, del panorama.
La figura dell’inquisitore Bernard Gui è stata oggetto di una radicale denigrazione nel romanzo di Umberto Eco Il nome della rosa, e con ancor maggiore volgarità nel popolarissimo film tratto dal libro.
A entrambi questi attacchi replicò a suo tempo Massimo Introvigne con l’articolo Contro “Il nome della rosa”, apparso sulla rivista Cristianità (anno XV, n. 142, Piacenza febbraio 1987, I pp. 7-11; disponibile sul sito:
http://www.alleanzacattolica.org/indici/articoli/introvignem142.htm).
Oltre a essere l’unica risposta che io conosca a questa autentica operazione di “guerra culturale”, che ha nuociuto in maniera devastante al senso comune sulla Chiesa e sulla religione, nonché al gusto stesso della verità, attraverso il ricupero della verità su Bernard Gui, religioso, giudice, storico e vescovo cattolico, esso restituisce, in filigrana, la sua dignità all’intera vicenda storica – senza dubbio, come tutte le vicende umane, non priva di ombre – del tribunale della fede e, con essa, alla verità cattolica tout court.