Intrisa di materialismo e razionalismo, la mentalità contemporanea stenta a comprendere lo spirito della Crociata. Un pellegrinaggio armato per poter espiare i propri peccati e lucrare l’indulgenza.
Occorre in primo luogo chiarire un concetto: non è mai esistita una jiahd cristiana, intendo dire una guerra che si proponga di convertire con la forza alla fede coloro che alla fede sono estranei. Neppure la conversione forzata dei Sassoni del 782, che gli storici hanno sempre rimproverato a Carlo Magno, fu un esempio di guerra santa. È vero che il futuro imperatore del Sacro Romano Impero non concesse ai vinti che una alternativa: l’adesione al cristianesimo o la morte, ma la risposta di Carlo giunse come reazione a infinite provocazioni e violazioni territoriali. E la stessa conversione si prospettava come uno strumento necessario per condurre nel perimetro dei popoli civili coloro che con il loro feroce paganesimo in quel perimetro si rifiutavano di entrare.
Ancora una volta, dunque, è necessario rettificare il discorso, passando dal concetto di guerra santa a quello di guerra giusta. Un concetto antico quasi quanto il cristianesimo, visto che fu S. Agostino, nel IV secolo, a teorizzarlo per primo. «Giuste sono le guerre – egli scriveva – che vendicano le ingiustizie, quando un popolo o uno Stato, al quale deve essere fatta guerra, non ha punito le iniquità dei suoi o non ha restituito quello che attraverso queste ingiustizie è stato sottratto».
Del resto, la Chiesa delle origini non fu mai contraria, in via di principio, all’uso ragionevole della forza. È vero che i milites cristiani si rifiutavano di sacrificare all’imperatore, ma non di prestare servizio nell’esercito, secondo la loro condizione. Quanto a coloro che portano minacce alla cristianità, meglio certamente – osserva Alano di Lille nel suo Penitenziale – astenersi dall’ucciderli, perché colui che è stato privato della vita, anche se pagano, è una creatura di Dio, che avrebbe potuto essere condotta alla salvezza. Ma se la minaccia è incombente, se nessun altro strumento, tranne quello della guerra, può essere usato, ebbene la Chiesa riconosce al sovrano il diritto di ricorrervi e di chiamare i suoi sudditi a parteciparvi, nella misura in cui si tratta di assicurare la propria difesa.
Teniamo presente inoltre che, nel corso dell’XI secolo, la Chiesa per circoscrivere la violenza insita nel sistema feudale, diede origine a vasti movimenti di opinione detti “paci” e “tregue”.
La pace di Dio, proclamata da un concilio del 989, vietava ai cavalieri di usare la forza contro chi non portava armi, fosse egli contadino, mercante, donna o bambino. Ma assai più significativa fu la tregua di Dio, nata per volontà del vescovo di Beauvais nel 1023 e diffusasi rapidamente in tutto l’Occidente. Con la tregua, si imponeva a chiunque «l’astensione dalla guerra in periodo sacro» e a questo scopo si creavano milizie di pace, col compito di combattere la guerra con la guerra, la violenza con la violenza.
È un precedente importante perché, per la prima volta, la cristianità, sotto l’esplicita approvazione della Chiesa, si provvede di un esercito a cui spetta il compito non di imporre la fede a chi non crede, ma di tutelare l’incolumità di coloro che quella fede vogliono professare e in quella fede intendono vivere. È il primo seme dal quale sorgerà il grande e plurisecolare albero della crociata, che è al tempo stesso guerra giusta e pellegrinaggio armato.
È senza alcun dubbio guerra giusta perché l’Occidente, come una cittadella assediata, ha visto dal 632 (anno della morte di Maometto) al 732 (anno della battaglia di Poitiers e della vittoria di Carlo Martello) gli eserciti di Allah dilagare in Europa e fuori d’Europa come un fiume in piena. Il mondo cristiano non è perciò l’aggressore ma l’aggredito e ancor più lo è ora, da quando – dopo la disfatta dell’imperatore bizantino Romano IV Diogene a Manzikert (1071) da parte dei Turchi Selgiuchidi – anche i più pacifici pellegrinaggi sui luoghi santi sono diventati per i credenti autentiche prove di eroismo. Considerate le continue aggressioni a cui sono sottoposti i viandanti di Cristo.
Sarà dunque pellegrinaggio armato. Un flusso di penitenti, lento e maestoso, che si dirigerà verso Gerusalemme tra due ali di lance.
Le lance brandite da coloro che san Bernardo di Chiaravalle nel De laude novae militiae chiama i cavalieri di Dio. Esistono infatti per il grande riformatore cistercense due tipi di cavalieri: quelli che combattono sotto i vessilli del diavolo e quelli che levano al cielo i labari di Cristo. Questi ultimi indossano una doppia armatura, fatta di ferro e di fede e dunque sono insuperabili. Gli altri, invece, sono futili, vani ed avidi ed in luogo della militia al servizio del Salvatore praticano la malizia del padre delle tenebre.
Erano parole che in tutto l’Occidente suonavano come rintocchi di campane. Era quell’Occidente, che, dopo il Mille – come scrive il monaco Rodolfo il Glabro – «spogliatosi della sua vetustà, si rivestiva ovunque di una bianca veste da chiesa». L’influsso di Cluny si avvertiva ovunque in una rinnovata religiosità, in un desiderio di rendere gloria a Dio, attraverso il culto, la vita e le opere degli uomini.
I due grandi papi cluniacensi del periodo – Gregorio VII e Urbano II – fecero propria e in qualche modo sfruttarono quest’ansia di pellegrinaggio, che stava mutando il volto del Medioevo. Ad un’età statica, sedentaria, in cui gli uomini non osavano abbandonare il proprio casolare per spingersi verso il grande mondo, pieno di insidie e di mistero, si sostituiva il tempo del bordone e della fiasca. Il tempo dei lunghissimi itinerari di penitenza non soltanto verso Roma o Santiago, ma verso gli stessi luoghi dove nostro Signore aveva vissuto, patito e conosciuto morte e resurrezione.
Non è vero, come aveva sostenuto anni or sono lo storico Henry Pirenne, che la conquista araba abbia interrotto bruscamente i rapporti tra Oriente ed Occidente. Nuove scoperte d’archivio testimoniano invece come il pellegrinaggio verso i luoghi santi non si sia mai interrotto, trascinando con sé nobili e plebei, cavalieri che avevano violato la tregua di Dio e signori feudali come Liebaldo di Borgogna, che quello stesso Dio avevano pregato affinché loro fosse concessa la morte nel corso del viaggio. In modo che, tornati in patria, non fossero più tentati dal peccato.
Certo è che il modo con cui i Franchi – così erano chiamati in Oriente tutti i cattolici che si recavano in Terra Santa – risposero, nel 1095, all’appello di Urbano II a Clermont fu talmente entusiastico ed incontenibile da provocare per ben due secoli ed oltre un flusso incontenibile di uomini e beni.
Illuminismo e materialismo storico hanno cercato di fornire a questo fenomeno spiegazioni economicistiche ed utilitaristiche, come il desiderio di ricchezza, l’ansia di liberarsi dagli irrequieti cadetti della nobiltà, la sete di avventura, ma – come ha scritto recentemente lo storico delle crociate Jean Richard – «le tendenze espansionistiche dell’Occidente franco e lo stato di confusione che regnava in Oriente non sarebbero mai stati sufficienti a determinare, da soli, il movimento… senza una motivazione ideale che fornisse un motivo decisivo all’ardimento dei cavalieri occidentali».
E questa motivazione si chiamava fede.
Dossier: La Crociata, un atto d'amore
IL TIMONE – N. 52 – ANNO VIII – Aprile 2006 – pag. 44 – 45