Passarono molti anni dalla fuga di Mosè dall'Egitto. Egli era ormai divenuto pastore dei numerosi greggi di Jetro. Nella solitudine, nei grandi silenzi dei pascoli, egli avrà pensato con struggente rimpianto al fatale errore che aveva commesso in Egitto. L'ansia di aiutare il suo popolo gli era stata fatale. L'attesa dei suoi genitori era stata delusa. Da qualche mercante che, venendo dall'Egitto, passava per il paese di Madian egli veniva a sapere da quali sofferenze era oppresso il suo popolo. Gli egiziani infierivano contro di esso. Un giorno, egli condusse il bestiame verso la parte meridionale della penisola sinaitica, presso il monte Oreb.
Vediamo Mosè guardare la valle fino alle estreme lontananze; pensoso e triste per quella sua irrimediabile situazione: «per il mio poI polo non posso fare più nulla». Ma ecco che egli vede un roveto I prendere fuoco. Era forse una pianta oleosa che, per il grande calore del sole, si era incendiata; ma quel fuoco perdura, non si esaurisce. Mosè vuoi vedere da vicino perché il fuoco di quel roveto non si estingue; ed ecco che proprio da quel roveto esce una voce che pronuncia il suo nome: «Mosè, Mosè». Ed egli subito risponde: «Eccomi». Poi egli ode parole che lo fanno trasalire: «Non avvicinarti! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è una terra santa». Ed ora colui che gli parla si rivela: «lo sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, di Isacco, il Dio di Giacobbe». Mosè si copre il viso perché teme «di guardare verso Dio». Il Signore gli parla ancora: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti; conosco infatti le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dalla mano dell'Egitto… Il grido degli israeliti è arrivato fino a me e ho visto l'oppressione con cui gli egiziani li tormentano. Ora va! lo ti mando dal faraone. Fa uscire dall'Egitto il mio popolo, gli israeliti». Le parole del Signore recano dapprima una gioia immensa a Mosè: egli ha detto: Sono sceso per liberarlo dalla mano dell'Egitto. Poi lo gettano nella costernazione, perché il Signore ha anche detto: lo ti mando dal faraone. Fa uscire dall'Egitto il mio popolo.
Quello che il Signore ordina a Mosè è l'inverosimile ed egli osa replicare alle sue parole: «Chi sono io per andare dal faraone e per far uscire dall'Egitto gli Israeliti?».
Ma non è solo questa immane impresa che lo sgomenta. Egli pensa agli ebrei che non accetterebbero la sua proposta e osa dire al Signore: «Ecco, io arrivo dagli Israeliti e dico loro: "Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi. Ma mi diranno: come si chiama? E io che cosa risponderò loro?". Dio disse a Mosè: "Io Sono colui che Sono". Poi disse: "Dirai agli israeliti: lo Sono mi ha mandato a voi".
Dio aggiunse a Mosè: "dirai agli Israeliti: il Signore, il Dio dei vostri padri, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe mi ha mandato a voi. Questo è il mio nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in generazione"».
Il Signore parla ancora a Mosè e gli predice i castighi con i quali colpirà l'Egitto, ma Mosè si sente incapace di compiere quanto il Signore gli chiede e dice ancora che proprio gli israeliti non solo non gli crederanno, ma gli diranno: «Non ti è apparso il Signore». Il Signore sa che non è inverosimile quanto teme Mosè e proprio per questo vuole manifestargli la sua potenza. Dapprima gli ordina di gettare a terra il suo bastone e subito quel bastone diviene un serpente. Mosè, spaventato, fugge lontano da esso, ma il Signore gli ordina di afferrarlo per la coda e subito quel serpente diventa bastone. Ma non basta: il Signore gli rende lebbrosa una mano, ma subito gliela risana.
Mosè dovrà operare quegli stessi prodigi davanti gli israeliti e se non lo ascolteranno ne compirà un terzo: prenderà dell'acqua del Nilo, la verserà sulla terra asciutta e quell'acqua diverrà sangue. Bisogna che Mosè si convinca della grande potenza che Dio gli darà, ma egli gli resiste ancora. È cosa troppo grande quella che gli chiede il Signore e preso dallo sconforto esclama: «Perdonami, Signore mio, manda chi vuoi mandare». Così Mosè che aveva sofferto per non aver potuto aiutare il suo popolo, ora che da Dio stesso riceve l'ordine di dare inizio alla sua liberazione, non si sente capace di compiere un'impresa che vede superiore alle sue forze. Ma la debolezza umana può forse prevalere sulla potenza di Dio? Ed ecco svelato a Mosè il piano divino: egli sarà aiutato da suo fratello Aronne. Insieme si recheranno dagli israeliti, insieme si recheranno dal faraone: «tu farai per lui le veci di Dio». Mosè rialza il capo, con infinita riconoscenza, guarda verso colui che gli ha rivelato di essere l’Io Sono, il vivente in eterno, colui che, come rivelerà un giorno al mondo intero il suo Figlio Gesù, ha la vita in se stesso. E quel Figlio dichiarerà di essere egli stesso l'IO Sono, uno con il Padre, da sempre e per sempre.
IL TIMONE – N. 41 – ANNO VII – Marzo 2005 pag. 60