L’odio per l’America non sta di casa in Iraq. Parlano due vescovi cattolici: «oggi la gente è contenta del cambiamento, della rinata possibilità di libertà». Nati cinque partiti e sei giornali cristiani.
Fino a questo numero de il Timone, ho dedicato tutti i miei interventi alla presentazione di un documento del Pontefice. Permettetemi una variante, nel senso che in questo numero riprenderò alcune dichiarazioni di vescovi iracheni su argomenti di attualità, che di per sé non riguardano la fede o la morale, quindi non appartengono propriamente al Magistero della Chiesa, del Papa o dei vescovi in comunione con il successore di Pietro, ma sono comunque autorevoli, tenendo conto di chi le ha pronunciate, del luogo di provenienza e del fatto che smentiscono alcuni luoghi comuni, in particolare quello che tutti i cattolici – e in particolare quelli del posto – sarebbero contrari agli Stati Uniti e alla presenza dell’esercito americano sul suolo iracheno.
Le dichiarazioni che seguiranno sono state pronunciate da due vescovi, mons. Louis Sako, vescovo della Chiesa caldea di Kirkuk, che fino alla nomina episcopale avvenuta il 28 settembre era parroco a Mosul, l’antica città di Ninive, nel nord dell’Iraq, e mons. Rabban Al-Qas, anch’egli caldeo, vescovo di Amadiyah, nell’Iraq settentrionale al confine con la Turchia. Entrambi si trovavano a Roma all’inizio di dicembre 2003 per partecipare al Sinodo della Chiesa caldea, che doveva nominare il nuovo Patriarca al posto di Raphael Bidawid I, deceduto il 7 luglio 2003. Al suo posto è stato nominato il vescovo ausiliare di Baghdad, mons. Emmanuel-Karim Delly.
Quando queste dichiarazioni verranno lette dai lettori de il Timone, da un punto di vista giornalistico saranno già state “superate” da molti avvenimenti, accaduti sia all’interno dell’Iraq, a cominciare dalla cattura di Saddam Hussein, sia nel resto del mondo, ma restano dichiarazioni rilevanti perché costituiscono una interpretazione di cattolici autorevoli a una tappa importante della storia contemporanea, appunto la guerra lanciata dagli Usa in Iraq contro il regime guidato da Saddam Hussein.
Intervistato dal direttore del mensile del PIME Mondo e Missione, Gerolamo Fazzini, su come sia la vita della popolazione in Iraq, dopo 35 anni di regime dittatoriale, mons. Sako ha risposto: «… oggi la gente è contenta del cambiamento, della rinata possibilità di libertà. In pochi mesi sono nati 80 nuovi partiti, 5 dei quali cristiani, la libertà di stampa ha prodotto un fiorire di decine di nuove testate, 6 delle quali cristiane. E cristiane sono pure alcune tivù sorte nella zona di Mosul. Tutto questo con Saddam non c’era! Anche dal punto di vista economico tutto è cambiato: prima non si poteva pianificare nulla, adesso si possono fare progetti, pur piccoli, per il futuro. Un solo esempio: gli impiegati dello Stato ricevono 150-200 dollari al mese, prima soltanto 3-4». E ancora, sullo stesso argomento: «La gente apprezza la libertà, a volte critica le scelte degli americani, ma il processo in atto è efficace».
Gli americani, oggetto di una campagna denigratoria praticamente universale prima della guerra, poi attenuatasi verbalmente soltanto in virtù della loro vittoria militare, come vengono giudicati dal vescovo mons. Sako? «Sono lenti ad agire e soprattutto non hanno capito la mentalità e le abitudini irachene, la storia del Paese. Ma indubbiamente hanno fatto anche cose buone. Il guaio è che, non sapendo di chi possono fidarsi, vivono in uno stato di perenne diffidenza; i soldati tendono a sparare alla prima avvisaglia di pericolo». E infine un accorato e importante appello, che aiuta a riflettere su cosa sia oggi più necessario agli iracheni, ossia quel bisogno di formazione a tutti i livelli, religiosa, umana, tecnica, trascurata anche dal mondo cattolico internazionale, desideroso di aiutare ma spesso incapace di cogliere le priorità: «Non dimenticateci! In Iraq ci sono 700 mila cristiani, fra un anno spentasi l’enfasi sull’Iraq chi si ricorderà di loro? E’ già capitato con la guerra del Golfo e l’embargo. Lancio un appello a tutte le congregazioni religiose: venite in Iraq a dare una mano, specie per la formazione e non solo dei cristiani. Qui c’è da ricostruire l’uomo iracheno, da soli non siamo capaci. L’Iraq è ricco di potenzialità economiche, ma servono anche le risorse spirituali».
Intervistato dall’agenzia AsiaNews, mons. Rabban Al-Qas ha ribadito il miglioramento della vita quotidiana avvenuto con la vittoria militare americana e ha condannato «un certo tipo di stampa [che] ingigantisce quel che di negativo accade oggi in Iraq. L’integralismo, va detto e ripetuto, è legato a poteri stranieri ed è un fenomeno mondiale. Fra i bersagli non vi sono solo i soldati stranieri, ma anche molte vittime civili di cui non si parla quasi mai. Vi sono persone bollate come “collaborazionisti”, che a volte sono dei semplici interpreti. Secondo i fondamentalisti non bisogna lavorare con gli stranieri». Tuttavia, aggiunge il vescovo del Kurdistan iracheno, «almeno l’80% della popolazione guarda alle truppe della coalizione come a dei liberatori. Il 60% della popolazione è composta da sciiti: senza gli americani gli sciiti non avrebbero avuto nessuna voce. […] Se le truppe alleate lasciano ora l’Iraq, ci sarà il caos, il disordine. […] L’Iraq aveva bisogno di un aiuto dall’esterno».
Lo stesso vescovo, intervistato da Avvenire dopo la cattura di Saddam Hussein, ha così espresso la sua gioia: «Posso dire che l’arresto di Saddam Hussein è una gioia per tutti gli iracheni, anche per noi vescovi. Finalmente si è annientata la paura», per poi accusare gli occidentali di ascoltare «solo quello che vi dicono le agenzie di stampa e definite la presenza delle truppe alleate una “occupazione”. Per noi è una “liberazione” e non un’occupazione. Se non ci fossero stati loro, il popolo iracheno sarebbe ancora sotto il peso del giogo. Ma grazie a Dio l’incubo è finito».
Anche se datate, sono parole che credo meritino di essere conservate nella memoria, forse con il solo rammarico di non essere state pronunciate prima, anche per limitare tanti equivoci sorti nel mondo cattolico. Ma probabilmente non era proprio possibile.
BIBLIOGRAFIA
L’intervista con mons. Louis Sako è stata pubblicata in Mondo e Missione, a cura di Gerolamo Fazzini, novembre 2003 (Iraq, una luce in fondo al tunnel, pp. 10- 15). L’intervista è stata ripresa dal sito
www.chiesa.espressonline di Sandro Magister. Per correttezza bisogna ricordare che opinioni diverse sono state espresse da un altro vescovo iracheno, mons. Shlemon Warduni, amministratore provvisorio del patriarcato di Baghdad.
L’intervista con mons. Rabban Al-Qas si trova sul sito
www.asianews.it ed è stata raccolta da Pierre Balarian (Con l’aiuto della Coalizione, cristiani e musulmani, costruiamo un Iraq laico, 2 dicembre 2003), mentre quella successiva all’arresto di Saddam Hussein in Avvenire del 16 dicembre 2003.
IL TIMONE – N. 30 – ANNO VI – Febbraio 2004 – pag. 54 – 55