I genitori hanno il diritto-dovere di essere i primi e principali educatori dei propri figli.
Lo Stato li deve aiutare, non esautorare. La gravissima ingiustizia italiana
I cittadini bolognesi il 26 maggio sono stati invitati a partecipare a un referendum consultivo («il Timone» è andato in stampa quando ancora non si sapeva l’esito), promosso dal Nuovo Comitato Articolo33, per mettere in discussione il diritto delle scuole pubbliche paritarie dell’infanzia di ricevere un contributo da parte del Comune. Sul sito dei promotori (referendum.articolo33.org) il quesito è così formulato: «Quale fra le seguenti proposte di utilizzo delle risorse finanziarie comunali, che vengono erogate secondo il vigente sistema delle convenzioni con le scuole di infanzia paritaria a gestione privata, ritieni più idonea per assicurare il diritto all’istruzione delle bambine e dei bambini che domandano di accedere alla scuola dell’infanzia? a) utilizzarle per le scuole comunali e statali; b) utilizzarle per le scuole paritarie private».
La motivazione del referendum, nella sintesi del comitato promotore, è stata la seguente: «Per la scuola pubblica. È la scuola di tutti, laica e gratuita. Forma il cittadino democratico. Subisce tagli feroci. Intanto i finanziamenti alla scuola privata paritaria crescono o rimangono inalterati».
La scuola paritaria è pubblica
Quello che però non si dice nel quesito referendario e nella sua motivazione è che le «scuole paritarie a gestione privata » sono scuole pubbliche in quanto svolgono un servizio pubblico, ovvero una funzione destinata al soddisfacimento di interessi generali.
È vero che lo Stato ha il dovere di dare a ciascuno la possibilità d’istruirsi, ma tale dovere non deve tradursi nel monopolio dell’istruzione, perché quest’ultimo si pone in diretto contrasto con il primato educativo dei genitori sui figli affermato dalla stessa Costituzione (art. 30).
Un po’ di storia…
L’ordinamento scolastico italiano è caratterizzato da una normativa che privilegia la scuola di Stato sin dalle origini. La prima legge organica sull’istruzione che configura la sostanza del sistema scolastico è la legge Casati, del 1859, che, dopo l’unificazione del 1861, viene estesa a tutto il territorio nazionale. Il ministro Gabrio Casati, nella relazione con cui presentava al re Vittorio Emanuele II tale legge, dichiarò che «al principio di libertà doveva ispirarsi il nuovo ordinamento» (come accadeva ad esempio nel regime anglosassone di piena libertà o come nel regime belga di libera concorrenza tra scuole pubbliche e private), ma che, tuttavia, trattandosi d’insegnamento, era sembrato più sicuro un sistema «medio» di libertà, «sorretto da cautele» per difenderla da nemici palesi e occulti. Già soltanto da queste espressioni rivelatrici, nonostante il richiamo, retorico, alla libertà e senza entrare nel merito della legge, si comprende il vero spirito della riforma Casati. Così, negli anni successivi si assiste a una progressiva monopolizzazione della scuola da parte dello Stato e a una contemporanea laicizzazione.
Nel periodo fascista, nonostante il Concordato del 1929, la situazione non muta: le clausole concordatarie introducono la parità di condizioni nell’esame di Stato tra gli alunni delle scuole statali e delle scuole cattoliche, ma nella sostanza in età fascista lo Stato rivendica il suo diritto a educare in piena autonomia «includendo e contenendo» anche la religione, come dirà il ministro della Pubblica istruzione Giovanni Gentile.
Per contro, nella Costituzione italiana il quadro normativo sancisce esplicitamente la libertà nel campo dell’educazione e dell’istruzione; ma ai principi di libertà di educazione e d’istruzione affermati nella Costituzione (purtroppo espressi, come noto, in modo ambiguo – l’art. 33, infatti, recita: «Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato» –. E subito di seguito: «La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali») corrisponde un contrastante ordinamento, che affonda di fatto le sue radici nella cultura politica e giuridica impregnata dell’idea risorgimentale di scuola neutrale e “laicista”, e che si sviluppa sulla spinta del progetto del welfare state, il quale, pur nobile nell’intenzione, rimane un progetto d’intervento dello Stato sulla società.
Il diritto (negato) di educare
Il diritto-dovere dei genitori a essere i primi e principali educatori dei propri figli non è frutto di una benevola elargizione di qualcuno, ma è fondato sull’atto generativo stesso: essi sono educatori perché genitori. Certamente, devono essere aiutati in questo compito. La Chiesa e lo Stato sono le due istituzioni che principalmente intervengono in questo ambito: ma questo intervento deve essere regolato dal principio di sussidiarietà. «Questo implica la legittimità ed anzi la doverosità di un aiuto offerto ai genitori, ma trova nel loro diritto prevalente e nelle loro effettive possibilità il suo intrinseco e invalicabile limite. Il principio di sussidiarietà si pone, pertanto, al servizio dell’amore dei genitori, venendo incontro al bene del nucleo familiare. I genitori, infatti, non sono in grado di soddisfare da soli ad ogni esigenza dell’intero processo educativo, specialmente per quanto concerne l’istruzione e l’ampio settore della socializzazione. La sussidiarietà completa così l’amore paterno e materno, confermandone il carattere fondamentale, perché ogni altro partecipante al processo educativo non può che operare a nome dei genitori, con il loro consenso e, in una certa misura, persino su loro incarico» (Giovanni Paolo II, Lettera alle famiglie, 1994).
Questa sinergia non è affatto rispettata dallo Stato italiano che continua a ledere un diritto fondamentale per una società libera: la libertà di educare.
La libertà di educare può essere negata non soltanto con la coercizione fisica, ma anche con la persecuzione amministrativa. Fino a quando non ci sarà parità economica fra scuola gestita dallo Stato e scuola non gestita dallo Stato, la famiglia è di fatto impedita a compiere liberamente le sue scelte educative.
La legge 62/2000 (la c.d. legge Berlinguer) ha sancito che il «sistema nazionale di istruzione» è costituito sia da scuole statali sia da scuole paritarie. Queste ultime includono le scuole degli enti locali e degli enti privati non profit.
Anche se la legge riconosce espressamente che tutte le scuole del sistema nazionale di istruzione svolgono un servizio pubblico, oggi si assiste al rafforzarsi di un clima di rancoroso antagonismo verso quella che viene definita «scuola privata dei ricchi», come testimonia l’iniziativa del Nuovo Comitato Articolo33. Se tale clima s’inasprisse, oltre a peggiorare l’ingiusta discriminazione attuale, contribuirebbe ad aggravare i problemi del nostro Paese: con la chiusura delle scuole non statali, infatti, l’utenza rimasta senza servizio dovrebbe essere presa in carico dallo Stato, con un pesante aggravio della spesa pubblica, calcolato nella cifra enorme mai smentita di circa 6 miliardi di euro!
Per saperne di più…
Tommaso Agasisti – Luisa Ribolzi, Scegliere la scuola: orientamenti e caratteristiche dei genitori, www.tuttoscuola.com
IL TIMONE N. 124 – ANNO XV – Giugno 2013 – pag. 32 – 33
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