Negare l’esistenza di Dio può condurre solo alla disperazione. L’uomo è essere religioso per sua natura, ma l’ateismo di Sartre lo condanna al non senso dell’esistenza. E ad essere inferno per se stesso e per gli altri.
Pascal era convinto che non soltanto lo zelo di coloro che cercano Dio costituisce una prova della sua esistenza, ma anche l'indifferenza di chi non lo cerca affatto rappresenta un buon motivo per credere che Egli esista. Tesi paradossale, ma davvero suggestiva, tale da permetterci di sostenere che si può fare buona apologetica parlando degli atei e illustrando criticamente le loro dottrine. È così che un “cattivo maestro” può diventare un interessante contraltare con il quale confrontarsi, senza aggressività e senza paura, allo scopo di far risaltare sempre con maggiore evidenza la verità.
Non v'è dubbio che tra i cosiddetti “cattivi maestri” del XX secolo, un posto di tutto riguardo spetti allo scrittore e filosofo francese Jean Paul Sartre, intellettuale ascoltatissimo per oltre un quarantennio e protagonista di spicco della scena culturale contemporanea fino alla morte, che lo colse nell'aprile del 1980.
Sarte nacque a Parigi nel 1905 e iniziò a scrivere da giovanissimo, avendo ben presto al suo fianco Simone de Beauvoir, la donna che gli sarà accanto per tutta la vita. Nel 1938 pubblica La nausea, un romanzo che farà registrare un grande successo, e nel 1943 da alle stampe il suo capolavoro filosofico intitolato L'essere e il nulla. Già durante la guerra, e ancor più nel primo dopoguerra, Sartre affiancò all'attività di scrittore una vivacissima presenza pubblica che lo portò a schierarsi su posizioni apertamente di sinistra, ma critiche nei confronti dell'Unione Sovietica e dei partiti comunisti. Nel 1964, in segno di protesta, rifiuta il premio Nobel, e nel 1968 è tra coloro che si mettono alla testa della contestazione studentesca e operaia, spostando la sua collocazione politica sempre più verso la sinistra estrema. Il lento declino psicofisico, che precederà la morte, non gli impedirà di continuare a intervenire ripetuta-mente in maniera clamorosa e provocatoria sulla scena politica e culturale.
Al centro dell'esistenzialismo di Sartre (pur con tutte le cautele del caso, la prima fase del pensiero sartriano può essere considerata appunto esistenzialista) sta la scelta dell'ateismo. Egli ritiene che la negazione di Dio debba essere il punto di partenza di ogni serio discorso sull'uomo: egli sa che tale situazione non è facile, ma decide di accettarla con coraggio, prendendo atto che l'uomo è solo, privo di Padri, privo di punti di riferimento, privo di qualsiasi valore trascendente a cui guardare con fiducia e speranza. In ciò Sartre ravvisa la peculiarità della libertà umana: si tratta di una libertà che, per essere tale, deve lasciare l'uomo completamente in balia di se stesso, totalmente autonomo, non vincolato da nessuna legge, anche se questa condizione di assoluta libertà non può che generare in lui angoscia e nausea. In effetti – ricorda Sartre – la soppressione di Dio, per quanto necessaria, risulta assai gravosa per l'uomo: scomparendo Dio, scompare Colui che, unico, potrebbe fungere da fondamento e giustificazione di ogni norma e di ogni criterio di condotta; e la libertà finisce così col diventare, agli occhi dell'uomo sartriano, una vera e propria condanna, tanto inevitabile quanto pesante.
A questo punto, secondo Sartre, rimane una sola via di uscita: l'impegno, l'azione responsabile nel mondo, senza, tuttavia, che esista alcuna certezza e neppure alcuna speranza circa la bontà e il successo del nostro agire. La morte di Dio genera ancora una volta un radicale pessimismo, che Sartre tenta di ribaltare asserendo che la sua filosofia è in realtà una filosofia del “rigore ottimista”, ovvero una dottrina che accetta virilmente il fatto che niente abbia più un senso e un fine, nella consapevolezza che l'uomo è solo nell'universo. Sartre affida interamente il destino dell'uomo all'uomo stesso, spingendolo continuamente all'azione, un'azione che, priva com'è di qualsiasi punto di partenza e di approdo, assomiglia sempre più ai mitici supplici di Tantalo e di Sisifo. D'altra parte – sostiene il pensatore parigino – questa è la vera condizione umana, e chi non l'accetta lo fa soltanto per malafede o codardia. A proposito della sua filosofia, Sartre ha parlato di umanismo; è un umanismo che si basa su due fondamentali elementi: la soggettività umana, oltre la quale non c'è niente, e il suo incessante sforzo di realizzarsi, cercando un fine che non troverà mai. Tutto questo – afferma il filosofo francese – è la conseguenza coerente dell'ateismo che sta alla base dell'esistenzialismo. Dio è scomparso dalla vita dell'uomo, ma anche se ricomparisse nulla cambierebbe: all'uomo resterebbe, immutato, il compito grande e difficile (o, meglio, impossibile) di creare ogni giorno se stesso e la propria esistenza, secondo un'ottica che Sartre giudica (ovviamente in modo del tutto personale) tutt'altro che disperata.
La filosofia sartriana rivela alcuni tratti comuni a tutti i sistemi di pensiero atei: innanzitutto, come è stato opportunamente notato, “un orrore della condizione umana e una ribellione contro di essa”; tutto l'universo diventa un peso insopportabile e ciascun uomo si trasforma nell'inferno per il proprio simile, in un terribile clima di reciproca incomunicabilità. Espulso Dio dall'orizzonte della vita, si dissolve la speranza e la possibilità di fondare valori e norme morali e s'avvera la celebre profezia di Dostoevskij secondo cui “se Dio non esiste tutto è permesso”.
BIBLIOGRAFIA
J.-P. Sartre, L'esistenzialismo è un umanismo, a cura di M. Schoepflin, Edizioni Pagus-Colonna, Milano 1996, II° ristampa.
L. Stafanini, Esistenzialismo ateo ed esistenzialismo teistico, Cedam, Padova 1952.
P. Prini, Storia dell'esistenzialismo. Da Kierkegaard a oggi, Studium, Roma 1989.
IL TIMONE N. 11 – ANNO III – Gennaio/Febbraio 2001 – pag. 28-29