Testimone di Cristo, pagò la sua fedeltà alla Chiesa e al Papa con anni di carcere e di lavoro forzato a cui fu condannato dai comunisti. Esiliato, morì a Roma nel 1984.
Nacque il 17 febbraio 1892 a Zazdrist, nella grande Ucraina, ricca di campi fertili, di ?umi e di storia gloriosa. Di famiglia profondamente cattolica, Josyf era forte di costituzione, nobile e bello di aspetto, e amava lo studio. A 19 anni, dopo la maturità, a Ternpil entrò nel seminario diocesano e iniziò gli studi ?loso?ci presso l’università di Lviv (Leopoli). Il Metropolita di Lviv lo mandò a studiare a Innsbruck.
Nel settembre 1914, le truppe zariste occuparono l’Ucraina occidentale e arrestarono il Metropolita Szeptyckyi, perché aveva esortato il suo gregge a rimanere fedele al Papa: rimase in prigione ?no al marzo 1917, quando il governo dello zar fu rovesciato. Spesso, nel passato, il regime zarista e gli ortodossi russi avevano calpestato i diritti dell’Ucraina e della sua Chiesa unita a Roma.
Il 30 settembre 1917, Slipyj era ordinato sacerdote. Nel ’18 si laureò a Innsbruck, poi si recò a Roma per continuare gli studi. Tornò in patria nel 1922, come docente di teologia dogmatica presso il seminario di Lviv, dove nel 1925 fu nominato rettore, e quattro anni dopo rettore dell’Accademia teologica: vi rimarrà ?no al 1944.
Aveva una mente lucidissima, una cultura meravigliosa, una fede grande, uno stile di vita che appassionava.
L’Ucraina attraversava un periodo dif?cile. Dopo il 1917, aveva riacquistato l’indipendenza (1918-1922), ma presto i comunisti ne assunsero il controllo così che, abbandonata dalle potenze vincitrici, divenne repubblica socialista sovietica. La Chiesa Cattolica sopravvisse in Galizia sotto la guida del metropolita Szeptyckyi.
Nel novembre 1939, questi chiese a Pio XII di nominare Slipyj suo coadiutore con diritto di successione. Il Papa accettò e il 22 dicembre 1939, festa dell’Immacolata, secondo il calendario giuliano, Slipyj venne consacrato vescovo. Sullo stemma, l’icona della Madre di Dio e il motto “Per aspera ad astra”. Da poche settimane, l’Ucraina occidentale era stata annessa all’Unione Sovietica.
Nel giugno 1941, i comunisti avevano già deportato 250.000 persone dalla sola Lviv, il doppio dall’intera Ucraina; molti sacerdoti erano stati imprigionati e uccisi. Il 1° novembre 1944, morì il metropolita Szeptyckyi.
Il successore Slipyj, miracolosamente salvato dalla fucilazione durante l’avanzata dei tedeschi, aveva pochi mesi di libertà per esercitare il suo ministero. L’11 aprile 1945 fu arrestato dai comunisti, insieme agli altri vescovi e a molti sacerdoti.
Il patriarca ortodosso di Mosca, Alessio, scrisse ai cattolici ucraini che i loro pastori li avevano abbandonati. Trecento preti cattolici protestarono presso il ministro Molotov. Come risposta, Slipyj fu condannato a otto anni di lavori forzati. A questa condanna si aggiunse il dolore di sapere distrutta la sua Chiesa. Gli ortodossi si impadronirono con la forza delle parrocchie cattoliche. Essere cattolico era ormai considerato un crimine. Diocesi, istituti religiosi, scuole, furono soppressi, metà del clero imprigionato e un quinto esiliato.
Pio XII intervenne ripetutamente in favore dei cattolici ucraini e del loro metropolita, accusando Alessio di essere complice della persecuzione. «Ho dovuto soffrire – scriverà Slipyj – di essere arrestato di notte, tribunali segreti, interrogatori interminabili. Maltrattamenti morali e ?sici, torture e fame. Mi sono trovato davanti a giudici per?di, prigioniero inerme, silenzioso testimone che, esausto, difendeva la sua Chiesa condannata a morte. Prigioniero per la causa di Cristo trovavo la forza, sapendo che il mio gregge, il mio popolo, tutti i vescovi, sacerdoti e fedeli, padri e madri, bambini, gioventù militante come vecchi inermi, camminavano e soffrivano al mio ?anco. Non ero solo!».
Due volte in punto di morte, fu salvato da altri prigionieri…
Scontata la prima condanna, nel 1953 fu condannato ad altri cinque anni in Siberia. Nel 1958 subì la terza condanna e nel 1962 l’ultima: venne deportato nel durissimo campo di Mordovia, “da dove non si esce vivi”, ma si muore di “morte naturale”.
Le più dolorose descrizioni della sua vita di condannato innocente dai senza-Dio in falce e martello le hanno lasciate coloro che lo videro a Inta in Komi, vicino al circolo polare artico, vestito di stracci, tenuti insieme da fasce intorno alle caviglie e alle ginocchia, i piedi coperti di fango, indifeso contro il freddo di 45 gradi sotto zero. Tuttavia appariva sereno, generoso persino verso i suoi aguzzini.
Nel 1962, la polizia segreta comunista, per corromperlo, gli offrì il patriarcato ortodosso di tutte le Russie. Slipyj ri?utò: come poteva diventare scismatico, tradire Gesù Cristo, la Chiesa cattolica, il Papa? I
Intanto Giovanni XXIII stava cercando di ottenere la sua liberazione dal dittatore sovietico Nikita Krusciov. Il quale acconsentì. Il 9 febbraio 1963 Slipyj giunse a Roma. Aveva 71 anni e tuttavia il suo ministero in esilio sarà forte e luminoso come quello di un grande apostolo, di un eroico profeta. Disse ai suoi chierici che studiavano a Roma: «Potreste trovarvi facilmente nei nostri tempi in un ambiente completamente ateo. Chiunque non avrà acquisito una granitica formazione teologica può facilmente perdere la testa e essere in?uenzato dall’ateismo».
L’8 dicembre 1963, fondò a Roma l’Università Cattolica Ucraina. Il 25 gennaio 1965, papa Paolo VI lo creò cardinale. Tra il 1967 e il 69 costruì a Roma la cattedrale di Santa So?a, come centro del cattolicesimo ucraino in esilio. Impossibilitato a tornare in patria, visitò le comunità ucraine in esilio con una serie di viaggi pastorali, dall’Europa all’America all’Australia. A Lourdes commosse tutti ricordando le ultime parole dei morenti nei lager sovietici: «Mamma, mi ascolti?».
Profondamente offeso dal comunismo ateo e omicida, scrisse al Presidente USA Carter. Drammatico fu il suo intervento al Tribunale Sacharov: «Sono qui per due motivi. La Chiesa della quale io sono capo e padre è ancora perseguitata dai comunisti e io devo essere presente per difenderla. Io sono “il condannato”, il testimone di questo “arcipelago Gulag”, come un altro condannato, Solgenitsin, l’ha de?nito. Ne sono scampato, per denunciarlo a Dio e al mondo».
Purtroppo in Occidente le voci di tali testimoni venivano soffocate (lo vengono ancora oggi) da uomini che, vivendo al sicuro lontano dai lager sovietici, continuano a pensare che il comunismo possa avere un volto umano. Ciò che non è possibile, per la negazione di Dio e l’odio a Gesù Cristo che porta iscritto nella sua ideologia, de?nita da Pio XI “intrinsecamente perversa”.
Il 7 settembre 1984, a 92 anni, si spense sereno, con lo sguardo rivolto a Oriente, al ?ume Dniepr, dove mille anni prima era iniziata la cristianizzazione della Russia, e alla sua cattedrale di Lviv: «Durante tutta la mia vita, sono stato un prigioniero per Cristo e tale rimango lasciando questo mondo. In cammino per il lungo viaggio, io prego la sempre Vergine Maria Madre di Dio: prendi sotto la tua protezione la nostra Chiesa e il popolo ucraino». Così nel suo testamento.
IL TIMONE – N. 34 – ANNO VI – Giugno 2004 – pag. 48 – 49