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14.12.2024

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La biblioteca di Dracula
31 Gennaio 2014

La biblioteca di Dracula

 

 

 

 

Niente, quello del vampiro è uno dei miti più tenaci del nostro tempo ed un «piatto ricco, mi ci ficco» nel quale chiunque può lasciare la sua personale orma. Così, abbiamo vampiri-vampiri, vampiri classici, vampiri del futuro, vampiri dello spazio, di Marte, del Medioevo, tecnologici e “misti” (mezzi vampiri, vampiri contro licantropi, contro Zorro, contro Zagor e contro l’Uomo Invisibile), figli di Dracula, nipoti di Dracula, Dracula contro Fantozzi e perfino vampiri comici.
È un filone, insomma, come il western e il cappa-e-spada (quest’ultimo, tuttavia, ormai in disarmo). Una delle poche strade non ancora battute era quella del vampiro bibliotecario, ma adesso c’è: Il discepolo di Elizabeth Kostova (Rizzoli).
Per sole due pagine, nell’edizione italiana, si è superato il numero fatidico di 666, ma forse l’editore non ha voluto strafare. Oppure ha preferito star leggermente largo per scaramanzia: magari, alcuni potenziali lettori avrebbero potuto tenersi a distanza di sicurezza per non dover portarsi a casa l’apocalittico «numero della Bestia». Visto che parliamo dell’editore, quest’ultimo avrebbe potuto, già che c’era, sorvegliare maggiormente la traduzione, così da evitare, per esempio, un «cerulea» (che vuol dire «azzurra») in un contesto dove tutto lascia pensare che il termine giusto fosse «terrea» o «livida». O un «Suleimano» che non si decide tra l’esotico «Suleiman» o l’italianizzato «Solimano» per indicare il famoso sultano. Sono sviste, certo, ma risaltano particolarmente in un’opera che si vanta della precisione storica e geografica. Infatti, l’autrice nei luoghi che descrive dimostra di esserci proprio stata e la sua cura del dettaglio è assoluta (lo stesso può dirsi per le molte opere antiche nominate nel libro).
Si tratta, pare, di un’opera prima, che è stata disputata all’asta tra i vari editori ed è già tradotta in molte lingue. Dicono sia una tesi di diploma in «scrittura creativa», materia che negli Usa viene insegnata anche nei licei, essendo gli americani convinti, a quanto pare, che la creatività si possa insegnare. In verità, quel che gli americani possono insegnare davvero è l’arte di cavar soldi da qualunque cosa, e questo ne è un bell’esempio. Gli ingredienti per il bestseller (letteralmente: miglior venditore) ci sono infatti tutti: la tomba di Dracula da cercare, una quête lunga quasi settecento pagine, l’happy end, misteri, colpi di scena, un paio di storie d’amore, libri «perduti», antichi simboli da decifrare, confraternite segrete, vittime e omicidi.
La trama… Già, la trama: ecco la prima difficoltà per il recensore. Infatti, la vicenda è così ingarbugliata e si snoda tra manoscritti, lettere ritrovate, diarii, che è quasi impossibile riassumerla. Non solo, ma quando si arriva verso l’ultima cinquantina di pagine si scopre che quasi non ci si ricorda più da dove si era partiti. Decisamente, il thriller americano è prolisso e, ahimè, anche i suoi imitatori italiani non rinunciano ormai a superare le cinquecento pagine. Ma è lecito domandarsi: a che serve? a far lievitare il prezzo di copertina? Eppure, un Andrea Camilleri dimostra che si può fare bestseller anche restando al di sotto delle duecento pagine. Invece, minutissime descrizioni anche delle marche delle bibite, di ogni indumento indossato, di bar e di stazioni ferroviarie, per gonfiare a dismisura vicende che potrebbero benissimo essere contenute in meno di cento pagine.
Il libro parla di un viaggio in giro per mezza Europa alla ricerca della tomba di Dracula, per uccidere definitivamente il patriarca dei vampiri (poveraccio, ma quante volte l’avranno ammazzato definitivamente?). E giù indagini, incontri misteriosi, libri antichi, genitori scomparsi, passati che riemergono, aglio e paletti. Veniamo a sapere che si può uccidere i vampiri con le pallottole d’argento, sparando revolverate. Strano, credevamo che ciò valesse solo per gli uominilupo.
Ma l’autrice dimostra una competenza di tutto riguardo, perciò prendiamo atto. Epperò un Dracula-bibliofilo che mette su un ambaradam secolare e planetario solo per trovare qualcuno che cataloghi la sua biblioteca ci pare, onestamente, un plot un po’ tenue. Ma tant’è.
Lo stupore, semmai, permane per un dato curioso (ma che accomuna tutti quelli che hanno scritto di vampiri, da Bram Stoker in avanti): i cacciatori di non-morti sono sempre atei o agnostici, ma sono costretti a ricorrere a crocifissi o ad altri ammenicoli della tradizione cattolica. Anche in Stephen King risulta che, contro i diavoli e qualunque creatura demoniaca, solo il cattolicesimo ha difese. Eppure, a nessuno di costoro passa per la testa, mai, di almeno incuriosirsi e, figurarsi, approfondire. Ne Il discepolo, addirittura, un caccia-vampiri musulmano usa un ciondolo a mezzaluna al posto del crocifisso, così giustificandosi: «Anche noi abbiamo le nostre superstizioni». Già, ma si tratta di «superstizioni» che a quanto pare funzionano (sulla mezzaluna, in verità, abbiamo qualche dubbio; comunque, provate a casa e poi mi fate sapere). Anzi, sono le uniche a funzionare. Non c’è cacciatore letterario di vampiri che non lo sappia e non ne faccia uso, ma nessuno di loro, dico nessuno, si pone la domanda fondamentale e a quel punto logica. Così, vedi all’opera diavoli, vampiri, lupi mannari, adoperi rosari e crocifissi e continui a non credere né a Dio, né a Cristo, e nemmeno all’Inferno. Mah. La storia, quella vera, ci dice, al contrario, che chi ha avuto la ventura di vedere diavoli e indiavolati, per prima cosa se l’è fatta addosso, poi è andato di corsa a convertirsi, non di rado inducendosi ad asperrima penitenza. Qualcuno, dopo una visione dell’inferno (anche solo in sogno, si badi), s’è fatto pure santo. Invece, i detective dell’occulto letterari mica ragionano sul fatto che, se ci sono i diavoli, ci deve essere anche Dio, quello cattolico per la precisione. Macchè. Eh, come disse l’indemoniata de L’esorcista di William Peter Blatty (non a caso tratto da una storia vera), «le prove le avete tutte intorno a voi, ed è per questo che siete dannati».
 

 

 

 
 
 
IL TIMONE – N. 48 – ANNO VII – Dicembre 2005 – pag. 20 – 21
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