«Combatti la buona battaglia della fede, cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei stato chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede davanti a molti testimoni» (1Tm 6,12)
«Questo è l’ordine che ti do, figlio mio Timòteo, in accordo con le profezie già fatte su di te, perché, fondato su di esse, tu combatta la buona battaglia, conservando la fede e una buona coscienza» (1Tm 1,18-19)
«Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto, mi consegnerà in quel giorno; non solo a me, ma anche a tutti coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione» (2 Tm 4,7-8)
La vita e la storia sono come un grande combattimento. Un immane conflitto, davanti al quale impallidiscono tutte le guerre umane. Non gli sono paragonabili se non come suoi momenti, immagini o conseguenze più o meno lontane. Esso è incominciato nell’Eden: «Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno» (Gen 3,15), anzi – a voler essere più precisi e profondi – è incominciato prima ancora della storia umana, in una dimensione “altra” che la trascende e l’accompagna: «Scoppiò quindi una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago. Il drago combatteva insieme con i suoi angeli, ma non prevalse e non vi fu più posto per loro in cielo» (Ap 12,7-8).
Una guerra è fatta di strategie e di tattiche, di scontri, di scaramucce e di battaglie. Queste poi possono essere più o meno importanti. Non sempre l’importanza della battaglia è proporzionale alle forze in campo, alla sua entità visibile e “calcolabile”. La battaglia più importante è quella “decisiva”. Quella che determina le sorti del conflitto. Non è detto che sia l’ultima… Ce ne possono essere ancora altre. Anche tante. Ma ormai per chi è perdente non c’è più nulla da fare. Anche le sue parziali vittorie non hanno altra consistenza che quella dei sussulti di un morente. Paragonabile ai “miglioramenti della morte”: come quando un malato terminale ha un improvviso ritorno di energie che prelude soltanto all’ultimo e decisivo tracollo.
Fra la battaglia decisiva e il giorno della vittoria che sancisce la sconfitta del nemico e l’avvento della pace può intercorrere un tempo. Può anche essere difficile, fintanto che si è immersi negli avvenimenti discernere con certezza quello decisivo.
È così anche per il grande conflitto della storia. Esso ormai è risolto. Lo scontro fra Dio e il suo Messia, il Verbo fatto carne, e il disperato ribelle Satana con le sue schiere di folli seguaci si è risolto sul Golgota. Il mattino di Pasqua è risuonato un grido di vittoria: è risorto! Satana e suoi sono ormai irrimediabilmente sconfitti: «Se ne ride chi abita i cieli, li schernisce dall’alto il Signore. Egli parla loro con ira, li spaventa nel suo sdegno: “Io l’ho costituito mio sovrano sul Sion mio santo monte”» (Sal 2,4-6). Il discernimento sicuro, che individua fra tutti gli eventi della storia quello veramente decisivo è dato dalla fede. Essa ci dice qual è questo avvenimento e ci dice soprattutto che esso è positivo! È la buona notizia che Gesù, il Figlio di Dio, è morto e risorto per la nostra salvezza. Morendo e risuscitando ha sconfitto il Demonio in modo decisivo e perentorio.
Perché allora la guerra continua? Perché noi dobbiamo combattere «la buona battaglia» (2 Tm 4,7) che molto spesso è proprio una «lotta penosa» (Eb 10,32)? Perché, se è stata vinta la battaglia decisiva, ancora però non siamo giunti al giorno radioso della vittoria. Alla vittoria del Capo deve partecipare in pienezza tutto il Corpo, cioè la Chiesa. Noi siamo ora nel tempo della Chiesa, cioè nel tempo contrassegnato dalle vicende per cui la vittoria di Cristo, che c’è già stata, ma non si è ancora manifestata con tutte le sue conseguenze, diventa la vittoria della Chiesa sua sposa. Ecco perché la Chiesa terrena è detta giustamente “militante”, mentre una parte di essa continua la battaglia in un altro modo ed è detta “purgante” e un’altra ancora è ormai definitivamente associata alla vittoria, al “Regno”, del sommo Re e Capitano delle forze del bene: la Chiesa “trionfante”.
Se vediamo le cose in questo modo – che è quello che ci è insegnato con chiarezza dalle Sacre Scritture – allora abbiamo motivo di essere degli inguaribili ottimisti. Anche nel bel mezzo delle peggiori traversie. Difficili traversie che però – nella fede – sboccano inevitabilmente nella più smagliante delle vittorie.
Maria, l’Immacolata, è Colei su cui il nemico non ha mai goduto – neppure per un istante – del benché minimo trionfo. Ella è così immagine e tipo della Chiesa, oltre che suo membro eminente e gloriosa Madre.
C’è guerra più sicura di quella che è già vinta? Ogni volta che partecipiamo alla Messa noi abbiamo la possibilità di rivivere la battaglia decisiva e di anticipare in noi la vittoria finale.
IL TIMONE N. 99 – ANNO XIII – Gennaio 2011 – pag. 60