Non è l’elemosina né l’altruismo: è la natura di Dio stesso, che ci rende capaci di amarlo come lui ci ama. Ed è più eccellente persino della fede. Un’analisi alla luce della Bibbia e della Tradizione
Non confondiamola con la solidarietà
Uno dei rischi più gravi è quello di confondere la carità cristiana con la solidarietà o con altre forme di aiuto. L’elemento caratteristico che fa la differenza è l’origine, la fonte e la consapevolezza di questa origine. La carità è la natura stessa di Dio, che mi ama con l’amore con il quale ama se stesso. E proprio per il fatto che Dio mi ama e mi coinvolge nel suo dinamismo di amore, allora io sono reso capace di amare con il suo stesso amore: è questa la carità cristiana. È una sorta di abilitazione, di potenziamento che Dio opera in noi: Gesù Cristo, amandoci, ci costituisce capaci di amare a nostra volta con il suo cuore e il suo slancio, con le sue motivazioni ed i suoi fini. Questo è il disegno di salvezza nel quale ognuno di noi è chiamato ad entrare attivamente: un disegno di amore salvifico che si realizza mediante l’amore oblativo, cioè l’amore che diventa offerta di sé. È quanto accenna san Paolo nella lettera agli Efesini. Quindi, la carità trova la sua origine in Dio stesso e ci rende conformi alla vita di Cristo.
La solidarietà, l’altruismo, la generica benevolenza sono buone disposizioni dell’animo umano, cioè sono delle virtù e come tali sono apprezzabili, possono condurre a compiere gli stessi gesti cui può condurre la carità. Ma l’origine e la meta della solidarietà, dell’altruismo e della generica benevolenza sono diverse dall’origine e dalla meta della carità: infatti, la solidarietà nasce non tanto dal fatto di sapere che Dio mi ama, non tanto dall’esigenza di corrispondere all’amore di Dio, ma dalla consapevolezza di appartenere a una stessa comunità e di avere interessi e finalità comuni. Mentre la carità ha come meta Dio stesso, cioè il partecipare alla sua stessa vita di amore e di felicità, la solidarietà umana ha come meta una realtà più immediata, l’aiuto vicendevole. La teologia classica sinteticamente insegna che il “motivo formale” della carità è Dio stesso, cioè la consapevolezza e la riconoscenza di essere amati da Dio e la volontà di corrispondere a tanto amore, mentre il “motivo formale” della solidarietà o dell’altruismo è la consapevolezza di avere in comune qualcosa con la persona amata.
La carità è vincolo di perfezione (Col 3,14)
È, cioè, la più perfetta tra tutte le virtù e conduce tutte alla massima perfezione. Ma perché?
Ogni virtù umana, come le virtù cardinali della prudenza o della giustizia, perfeziona l’uomo, e lo perfeziona relativamente a qualche aspetto della sua vita, della sua attività in vista del raggiungimento di qualche obiettivo. Ad esempio, la virtù della giustizia perfeziona la mia volontà perché mi rende capace di riconoscere e realizzare in modo costante il diritto dell’altro. Mi perfeziona relativamente alle relazioni sociali ed in vista di una meta prossima, che è la pacifica e ordinata convivenza civile. La carità, invece, mi relaziona innanzitutto con Dio, perché è un amore di risposta all’amore ricevuto da Dio; poi mi relaziona con me stesso e con il mio prossimo, perché mi rende capace di amare me e il mio prossimo con lo stesso cuore e la stessa volontà di Gesù Cristo; e infine mi orienta a raggiungere non tanto un fine prossimo, ma un fine ultimo e definitivo, che è Dio stesso, il suo amore beatificante, e questo non solo nella vita futura, ma già nel corso di questa esistenza almeno in modo iniziale.
La carità estende questa sua opera di perfezionamento a tutte le virtù. Ma come? Mediante la volontà umana. Ogni virtù, per essere tale, deve essere una disposizione volontaria dell’animo, cioè per poter dire «sono giusto o ho la virtù della giustizia», devo voler esercitare la giustizia, devo voler compiere atti di giustizia: alla radice della vita virtuosa c’è il nostro agire volontario. Ora la carità è una virtù che perfeziona proprio la volontà umana, rendendola capace di amare come e perché Dio ama. E poiché ogni atto virtuoso è sempre un atto volontario, se la volontà è perfezionata dalla carità, anche l’atto virtuoso di una virtù cardinale, come la giustizia, parteciperà del dinamismo dell’amore di carità, cioè avrà non solo la meta prossima della pacifica e ordinata convivenza civile, ma mirerà anche alla meta ultima e definitiva di Dio e della sua beatitudine amorosa.
È più perfetta della fede
La carità, poi, è anche più perfetta della fede (1 Cor 13,13). Questo lo si può dimostrare sulla base del confronto tra la carità e la fede.
Entrambe sono virtù teologali, cioè hanno Dio come origine: solo Dio è la causa efficiente della fede e della carità, nessuno può causare a se stesso la fede e la carità; possiamo disporci a ricevere queste virtù, con la preghiera, con la pratica dell’umiltà, accostandoci ai sacramenti, ma non siamo noi a originare queste virtù, è Dio che le dona. Sono teologali anche perché Dio ne è l’oggetto: con la fede noi conosciamo Dio e ciò che Dio dice di sé e del creato; e con la carità noi amiamo Dio e ciò che Dio ama. Ma la differenza è questa.
La fede perfeziona l’intelligenza umana e le fa conoscere Dio stesso. Questo processo di conoscenza fa uso del linguaggio e dei concetti umani, quindi di concetti limitati, finiti, che sono per loro natura riduttivi della realtà senza limiti che è Dio. La fede, per quanto perfezioni l’intelligenza, ha un limite oggettivo: riduce Dio nei limiti finiti dei nostri concetti, per quanto possano essere concetti e idee contenute nella rivelazione storico-biblica.
La carità, invece, perfeziona la volontà e la volontà si porta sulla persona amata così come questa è in se stessa. L’amore e la volontà comportano un movimento dalla persona che ama verso la persona amata per raggiungere il possesso della stessa persona amata, nella sua reale identità e non nell’idea che noi ci siamo fatti di essa. Per questo la carità è più eccellente anche rispetto alla fede: mira a gioire ed amare Dio per quello che Dio è in se stesso.
RICORDA
«Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei un bronzo risonante o un cembalo squillante. Se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza e avessi tutta la fede in modo da spostare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla. Se distribuissi tutti i miei beni per nutrire i poveri, se dessi il mio corpo per essere arso, e non avessi la carità, non mi gioverebbe a nulla». (San Paolo, 1° Lettera ai Corinzi 13,1)
DA NON PERDERE
IL TIMONE N. 97 – ANNO XII – Novembre 2010 – pag. 54 – 55
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