«Il “Catechismo della Chiesa Cattolica” […] di cui oggi ordino la pubblicazione in virtù dell’autorità apostolica, è un’esposizione della fede della Chiesa e della dottrina cattolica, attestate o illuminate dalla Sacra Scrittura, dalla Tradizione apostolica e dal Magistero della Chiesa. Io lo riconosco come uno strumento valido e legittimo al servizio della comunione ecclesiale e come una norma sicura per l’insegnamento della fede. Possa servire al rinnovamento al quale lo Spirito Santo incessantemente chiama la Chiesa di Dio, Corpo di Cristo, pellegrina verso la luce senza ombre del Regno!» (Giovanni Paolo II, Costituzione apostolica Fidei depositum, 11 ottobre 1992).
Una decina di anni fa, un teologo moralista americano chiese al Pontefice di impegnare la propria infallibilità, ossia di compiere un atto del magistero straordinario, per affermare le verità della Chiesa nel campo della morale sessuale. La Chiesa fece diversamente, ribadendo costantemente la verità di sempre, contenuta nell’enciclica Humanae vitae di Paolo VI del 1968 e rinnovando fin dai fondamenti l’insegnamento in materia con le catechesi sull’amore umano di Giovanni Paolo II, che verranno chiamate “teologia del corpo”. La Chiesa è solita operare così, almeno dall’inizio dell’epoca moderna, spiegando fin nei particolari le proprie prese di posizione con la costante ripetizione e con il rinnovamento quando lo ritiene necessario. Soltanto eccezionalmente compie atti straordinari.
Rimane tuttavia vero che la Chiesa ha effettivamente compiuto, venti anni fa, nel 1992, un gesto di assoluta importanza, promulgando per la seconda volta in duemila anni un catechismo universale legato anche nelle date al Concilio ecumenico Vaticano II (1962-1965), così come il precedente catechismo universale, detto Tridentino, era legato al Concilio di Trento (1545-1563). Nella recente Lettera apostolica Porta fidei con la quale ha indetto l’Anno della fede, che comincerà proprio l’11 ottobre 2012 nel cinquantesimo anniversario del discorso inaugurale del Concilio del beato Giovanni XXIII e nel ventesimo anniversario del Catechismo, papa Benedetto XVI ha spiegato, citando il suo predecessore, queste coincidenze per fare comprendere che i testi conciliari «non perdono il loro valore né il loro smalto» e che devono essere «conosciuti e assimilati come testi qualificati e normativi del Magistero». Normativi, dunque, non soltanto profetici o pastorali.
Le parole riportate qui sopra sono del beato Giovanni Paolo II, accompagnano l’uscita del Catechismo nel 1992, sono semplici e accessibili. Perché non leggerle, non tenerne conto? Capita frequentemente di avere opinioni divergenti, di contestazioni alla Chiesa del passato o del presente, critiche al Magistero, ma non è frequente il ricorso al Catechismo come norma della fede cattolica. Eppure, il Papa ha scritto, sempre nella Fidei depositum, che «questo Catechismo viene loro [cioè a vescovi e fedeli, ndr] dato perché serva come testo di riferimento sicuro e autentico per l’insegnamento della dottrina cattolica».
La catechesi nella vita della Chiesa
La questione della catechesi è antica tanto quanto il cristianesimo. Certamente Gesù insegnava (ogni giorno nel tempio a Gerusalemme) e accettava di essere qualificato come maestro. La catechesi come forma di iniziazione cristiana e di educazione alla fede risale all’inizio dell’era apostolica. Nella Chiesa dei primi secoli i bambini non venivano battezzati e gli adulti che chiedevano di diventare cristiani dovevano svolgere un lungo e serio catecumenato, una sorta di corso di preparazione al sacramento del battesimo, che significava diventare figli di Cristo e membri della Chiesa. La catechesi era così una forma di educazione alla fede rivolta agli adulti e così rimase fino a quando, dal II secolo, subentrò l’abitudine di battezzare i neonati, soltanto perché i genitori chiedevano il sacramento e garantivano, con padrini e madrine, di educare nella fede i piccoli battezzandi e così questi ultimi ricevevano un catecumenato post-battesimale (cfr. CCC, 1230- 1231). Il Concilio Vaticano II ha ripristinato il catecumenato per gli adulti nella Chiesa latina. Essere cristiani significava e significa seguire Cristo portando con lui la croce in vista della Resurrezione, cioè della salvezza e della felicità per sempre. Quindi il cristianesimo è questa unica religione che si fonda sul fatto che Dio ha preso la decisione di “andare a salvare gli uomini”, ha cioè preso l’iniziativa, incarnandosi e dunque rivelandosi anzitutto con la sua Persona, la seconda della Trinità. Il cristianesimo perciò non è una dottrina, ma ha una dottrina. Si fonda sulla sequela al Figlio di Dio, ma se e quando scatta nella volontà l’adesione alla fede poi questa stessa fede deve essere imparata.
Il rigetto della catechesi nel ’900
Su questo punto sono nati alcuni problemi nel secolo scorso, perché alcuni sacerdoti e intellettuali cristiani, poi condannati dalla Chiesa (il modernismo essenzialmente), hanno cominciato a svalutare l’importanza dell’educazione alla fede, la catechesi appunto. Diventato esclusivamente una esperienza, un’adesione sentimentale a qualcosa di incomprensibile, il cristianesimo è uscito dagli anni Settanta come da una prova di purificazione, che il Signore ha permesso, e così è stata lentamente rivalutata l’importanza e la pratica della catechesi, cioè di quello che un tempo si chiamava “andare a dottrina”. Naturalmente c’era una diffidenza con alcune motivazioni valide nei confronti di questo “andare a dottrina”, che rischiava di diventare un’abitudine alla ripetizione mnemonica di formule vere, ma soltanto imparate a memoria, senza che riuscissero a diventare importanti nella vita personale e delle stesse comunità cristiane. In sostanza, mentre si insegnava la dottrina, la vita si secolarizzava e la cultura era sempre più incapace di elaborare un giudizio cattolico, alla luce del Magistero, sui fatti della vita pubblica. Ma la colpa di questa separazione tra fede e vita non era della dottrina. Le colpe della secolarizzazione erano anzitutto la scadente corrispondenza alla Grazia di Dio e poi la rivolta sempre meglio organizzata contro la civiltà cristiana, che aveva separato e contrapposto la religione, la cultura e la politica, eliminando il diritto naturale come criterio di orientamento e di giudizio delle istituzioni e in generale dei poteri significativi della società. Così la società si scristianizzava perché le persone smettevano di ragionare secondo i criteri della fede e della stessa ragione (magari in nome del razionalismo) e la loro pratica religiosa, e la stessa professione di fede, diventarono un’abitudine priva di conseguenze sulla vita quotidiana. La comunità cristiana resse e lottò per due secoli contro questa rivoluzione, ingaggiando una dura ed eroica battaglia contro le diverse ideologie che si susseguirono alla guida degli Stati occidentali, dopo la Rivoluzione del 1789, fino alla caduta del Muro di Berlino, nel 1989. In molte nazioni occidentali i cristiani divennero una minoranza (e i cattolici ancora di più) e tale sono tuttora, anche se, come in Italia, sono una minoranza significativa.
La consapevolezza della fede
In molti casi questa minoranza non ha ancora recuperato un’adeguata consapevolezza della propria fede, che è uno dei compiti principali appunto della catechesi. Molto è stato fatto per favorire il recupero della catechesi in questi ultimi tre decenni. Gli interventi sul tema di papa Paolo VI, fra i quali in particolare il discorso di chiusura al Sinodo dei vescovi sulla catechesi del 29 ottobre 1977, l’esortazione apostolica di Giovanni Paolo II Catechesi tradendae nel 1979 e soprattutto il Catechismo della Chiesa Cattolica (1992), sono i più importanti. Per fare un esempio, se i gruppi di preghiera, ai quali partecipano soltanto in Italia centinaia di migliaia di persone, “sposassero” il loro fervore con la catechesi, allora la nuova evangelizzazione potrebbe finalmente partire e dare grandi risultati di conversione. Ma purtroppo sappiamo che non è facile e che vi sono molte resistenze in questo senso. Un contributo importantissimo alla valorizzazione del Catechismo viene dalla recente Lettera apostolica che istituisce l’Anno della fede, che ho già ricordato. Se la leggete attentamente vedrete come il Catechismo della Chiesa Cattolica è il vero protagonista di questo Motu proprio di Benedetto XVI. L’anno che sta per cominciare, il 2012, che ci porterà all’Anno della fede, è una grande opportunità per rilanciare la catechesi degli adulti, che in qualche modo è la “formazione dei formatori” che poi andranno a fare catechismo ai bambini oppure agli adulti che chiederanno di essere battezzati. So che non è facile questo rilancio, ma vi è comunque un clima favorevole rispetto ad anni fa, e soprattutto vi è una grande sete di conoscenza anche in chi non frequenta la Chiesa. È una strada lunga, impegnativa, che necessita di tanto tempo. Tuttavia è una strada obbligata per chi vuole la rinascita di una societas christiana e la salvezza delle anime.
IL TIMONE N. 108 – ANNO XIII – Dicembre 2011 – pag. 58 – 59
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